Il concetto di posizione di garanzia, che fonda la responsabilità in ordine ai c.d. reati omissivi impropri, consiste nella titolarità di un dovere di protezione e di controllo finalizzato ad impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire (art. 40 cpv. cod. pen.).
Si tratta di un istituto di elaborazione giurisprudenziale, tuttavia già dalle prime righe di questo scritto si comprenderanno le ragioni per cui è stato recepito e disciplinato nel d.lgs. 81/08 (Testo Unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro).
L’obbligo risponde all’esigenza di proteggere un bene giuridico (la salute o la vita) di un altro soggetto, diverso dal garante, che non possiede i mezzi e gli strumenti per tutelarli autonomamente.
Nell’ambito della tutela dei lavoratori, questi ultimi non sono in grado di prevenire e governare i rischi cui quotidianamente sono sottoposti; non sono infatti titolari di poteri di spesa, poteri decisionali e, talvolta, neanche delle competenze idonee a conoscere i rischi sottesi alla propria attività lavorativa e, ancor meno, quali sono i mezzi per ridurli e controllarli.
Il contesto della sicurezza del lavoro fa emergere con particolare chiarezza la centralità del concetto di rischio: tutto il sistema è finalizzato a prevenire gli innumerevoli rischi e pericoli per la salute e la vita dei lavoratori. È possibile classificare diverse aree di rischio in relazione alle differenti situazioni lavorative e, parallelamente, distinte sfere di responsabilità gestionale.
Tale valutazione dei rischi viene compiuta attraverso il “Documento di Valutazione dei Rischi” (DVR), che costituisce una sorta di statuto della sicurezza aziendale. Il documento deve contenere la valutazione dei rischi, l’individuazione di misure di prevenzione e protezione, l’individuazione delle procedure, nonché dei ruoli che vi devono provvedere, affidati a soggetti muniti di adeguate competenze e poteri.
Si tratta quindi di una sorta di mappa dei poteri e delle responsabilità.
Dunque, in sintesi, il soggetto titolare della posizione di garanzia è colui che ha il potere/dovere di gestire il rischio, come specificato nel sistema antinfortunistico aziendale che è tradizionalmente fondato su diverse figure garanti, titolari questi ultimi di diverse funzioni e diversi livelli di responsabilità organizzativa e gestionale.
Il primo garante non può che essere il datore di lavoro, ossia quel soggetto che, secondo il Testo Unico sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, è titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore, ovvero il soggetto che, a seconda dell’organizzazione aziendale che dirige, ha la responsabilità dell’organizzazione stessa o dell’unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa.
Il dirigente costituisce il livello di responsabilità intermedio. Questi è colui che attua le direttive del datore di lavoro, organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa, in virtù di competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli. Il dirigente, dunque, è tenuto a cooperare con il datore di lavoro nell’assicurare l’osservanza della disciplina legale nel suo complesso e, quindi, nell’attuazione degli adempimenti che l’ordinamento demanda al datore di lavoro. Tale ruolo è, tuttavia, limitato e conformato ai poteri gestionali di cui dispone concretamente.
Poi ancora, il preposto è colui che sovraintende alle attività, attua le direttive ricevute controllandone l’esecuzione, sulla base e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico.
Da ultimo, ma non per importanza, vi sono i lavoratori che hanno assunto un ruolo sempre più attivo nel sistema prevenzionistico, fino ad assurgere al ruolo di primi garanti della sicurezza in azienda; tant’è vero che il primo degli obblighi ai medesimi imposto ex art. 20 d.lgs. 81/08 è quello di “prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro”.
Una volta individuate le principali figure che compongono la “piramide della sicurezza” occorre cercare di delimitare le sfere di responsabilità.
Tale operazione, già difficile “sulla carta”, risulta ancora più complessa di fronte al caso concreto. Per fare ciò, è necessario muovere dal principio di cui all’art. 41 cpv cod. pen., a mente del quale la diversità dei rischi interrompe, per meglio dire separa, le sfere di responsabilità. Il dettato normativo, naturalmente, non esclude la possibilità di una cooperazione colposa tra più garanti, laddove le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento.
Alcune “linee guida” possono essere estrapolate dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione. Di rilevante importanza appare, in particolare, la nota sentenza Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, Espenhahn e altri (sentenza Thyssenkrupp), nella quale viene affermato che “nell’individuazione del garante, soprattutto nelle istituzioni complesse, occorre partire dalla identificazione del rischio che si è concretizzato, del settore, in orizzontale, e del livello, in verticale, in cui si colloca il soggetto che era deputato al governo del rischio stesso, in relazione al ruolo che questi rivestiva. Ad esempio, semplificando nel modo più banale, potrà accadere che rientri nella sfera di responsabilità del preposto l’incidente occasionato dalla concreta esecuzione della prestazione lavorativa; in quella del dirigente il sinistro riconducibile al dettaglio dell’organizzazione dell’attività lavorativa; in quella del datore di lavoro, invece, l’incidente derivante da scelte gestionali di fondo.”
Quanto alla responsabilità del lavoratore, invece è la giurisprudenza è unanime nel ritenere che le norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro perseguono il fine di tutelare il lavoratore persino in ordine ad incidenti derivati da sua negligenza, imprudenza ed imperizia. Ne deriva che la condotta impudente del lavoratore non è tale da configurare una causa da sola sufficiente a produrre l’evento qualora sia riconducibile all’area di rischio inerente all’attività svolta dal lavoratore medesimo.
Il datore di lavoro sarà esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive organizzative ricevute. Tale comportamento è interruttivo non perché eccezionale ma perché eccentrico rispetto al rischio lavorativo che il garante è chiamato a governare.
Sul punto, tra le decisioni più recenti si segnala la sentenza della Corte di Cassazione penale n. 22034 depositata il 18 maggio 2018 che ha confermato l’assoluzione di un datore di lavoro per le lesioni che ad un lavoratore erano state causate da altro lavoratore con condotta del tutto imprevedibile ed eccentrica rispetto alle mansioni assegnate nell’ambito del ciclo produttivo. Più specificamente, era accaduto che un dipendente dell’imputato avesse ceduto gratuitamente un fusto di gasolio di proprietà del suo datore di lavoro, ormai vuoto – il cui uso normale era quello di un qualunque recipiente di combustibile, utilizzato per contenerlo e trasportarlo – al dipendente di un’altra impresa attiva nello stesso cantiere, che lo aveva richiesto per farne un uso personale e privato, in nulla attinente al lavoro che si svolgeva in loco. Quest’ultimo aveva operato il taglio della lamiera con un flessibile munito di disco abrasivo, con l’assistenza del lavoratore poi infortunato. La Corte di cassazione ha convalidato l’assunto dei giudici di merito, per i quali si era trattato di un comportamento che aveva introdotto un rischio estraneo a quello lavorativo ed ha precisato che, in rapporto a ciò, è “irrilevante che il fatto si sia verificato sul luogo in cui i predetti prestavano attività lavorativa, poiché deve escludersi ogni relazione tra i comportamenti in questione e il lavoro cui gli stessi erano addetti”.
Nel caso concreto, la valutazione circa la sussistenza di profili di colpevolezza di un soggetto qualificato (formalmente oppure in concreto) quale titolare di posizione di garanzia muove da un giudizio ex ante circa la prevedibilità ed evitabilità dell’evento. Dunque, in tema di colpa generica, l’individuazione della regola cautelare non scritta va effettuata provvedendo, prima, a rappresentare l’evento nei suoi elementi essenziali, poi, a formulare l’interrogativo se tale evento fosse prevedibile ex ante ed evitabile con il rispetto della regola cautelare in oggetto (cosiddetto comportamento alternativo lecito).
Accanto ai diversi profili di responsabilità sopra delineati, occorre parallelamente considerare anche la c.d. colpa in organizzazione che può essere imputata alla società qualora, a seguito di infortunio, venga accertata anche la violazione del Modello di Organizzazione Gestione e Controllo adottato ai sensi del d.lgs. 231/2001.
La legge n. 123 del 3 agosto 2007, che ha introdotto nell’ambito del D. Lgs. 231/2001 l’art. 25-septies, in seguito riformulato dall’art. 300 d.lgs. 81/2008, ha esteso la responsabilità amministrativa dell’ente anche ai delitti di cui agli artt. 589 e 590, c. 3 c.p.
Il testo vigente dell’art. 25-septies individua tre distinte fattispecie di illecito amministrativo, segnatamente:
- il delitto di omicidio colposo commesso con violazione dell’art. 55, comma 2 d.lgs. 81/2008;
- il delitto di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro;
- delitto di lesioni personali colpose gravi o gravissime commesso con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro.
Come è noto, l’art. 5 del d.lgs. 231/2001 configura due distinti livelli di responsabilità da reato dell’ente, distinguendo le ipotesi in cui il reato sia stato commesso:
a) da persone in posizione apicale, che rivestono funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale, nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dell’ente stesso;
b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a).
È bene precisare che, in continuità con quanto previsto dall’art. 299 d.lgs. 81/2008 che consacra il c.d. principio di effettività, ai fini dell’accertamento nel caso specifico, ciò che rileva è la funzione in concreto svolta e non la qualifica formale del soggetto agente.
Ciò premesso, in linea generale, si può correttamente ritenere che i datori di lavoro debbano essere ricondotti ai soggetti apicali, mentre, logicamente, i preposti e i lavoratori ai soggetti sottoposti. Quanto alla figura del dirigente, in via ordinaria, è riconducibile alla categoria dei sottoposti poiché “attua” le disposizioni del datore di lavoro, ai sensi dell’art. 2 lett. c) d.lgs. 81/2008.
L’importanza circa l’adozione del modello di organizzazione di cui all’art. 30 d.lgs. 81/2008 viene espressamente evidenziata all’art.16, comma 3, laddove si specifica che l’obbligo di vigilanza imposto al datore di lavoro si intende assolto con l’adozione e l’efficace attuazione del modello.
Dunque, l’accertamento di una eventuale responsabilità dell’ente è riconducibile ad un deficit organizzativo che si sostanzia nella mancata adozione di misure idonee ad evitare la commissione del reato presupposto: l’attività valutativa dovrà essere condotta alla luce della cornice generale del D.Lgs. 231/2001, ma con specifico riguardo alle previsioni del D.Lgs. 81/2008, e in particolare dell’art. 30, che detta i requisiti minimi che il Modello deve possedere al fine di poter soddisfare la propria funzione preventiva ed esimente in materia di salute e sicurezza sul lavoro; di contro, è evidente che, qualora la società abbia soddisfatto tutti i requisiti dati dal combinato disposto del d.lgs. 81/08 e d.lgs. 231/2001, può andare esente da tale responsabilità.
Vista l’elevata specificità e tecnicità della questione il legislatore ha previsto la redazione di apposite “Linee Guida UNI-INAIL per un sistema di gestione della salute e sicurezza sul lavoro”, prevedono un sistema di gestione che si fonda sulla seguente una sequenza ciclica:
• stabilire una politica della salute e sicurezza sul lavoro, che definisca gli impegni generali per la prevenzione dei rischi ed il miglioramento progressivo della salute e sicurezzaza;
• identificare le prescrizioni delle leggi e dei regolamenti applicabili, tutti i pericoli e valutare i relativi rischi per tutti i lavoratori, compresi i casi particolari, associati con i processi, le attività operative ed organizzative (comprese le interazioni fra gli addetti), le sostanze e i preparati pericolosi, ecc. e gli altri soggetti potenzialmente esposti (quali, ad esempio i lavoratori autonomi, dipendenti di soggetti terzi ed i visitatori occasionali);
• fissare specifici obiettivi appropriati, raggiungibili e congruenti con gli impegni generali definiti nella politica;
• elaborare programmi per il raggiungimento di tali obiettivi, definendo priorità, tempi e responsabilità ed assegnando le necessarie risorse;
• stabilire le modalità più appropriate, in termini di procedure e prassi, per gestire i programmi e sensibilizzare la struttura aziendale al raggiungimento degli obiettivi prefissati;
• attuare adeguate attività di monitoraggio, verifica e ispezione, per assicurarsi che il sistema funzioni ed avviare le opportune azioni correttive e preventive in funzione degli esiti del monitoraggio;
• effettuare un periodico riesame per valutare l’efficacia e l’efficienza del sistema nel raggiungere gli obiettivi fissati dalla politica della salute e sicurezza nonché per valutarne.
Con particolare riguardo alle piccole e medie imprese, il d.lgs. 106/2009 ha novellato il d.lgs. 81/2008 prevedendo, all’art. 30 comma 5 bis, la definizione da parte della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza sul lavoro di procedure semplificate per la adozione e la efficace attuazione dei modelli di organizzazione e gestione della salute e sicurezza nelle piccole e medie imprese, da modulare ed integrare a seconda della complessità tecnico organizzativa della struttura aziendale.
Tali linee guida, recepite con il Decreto Ministeriale del 13 febbraio 2014, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 45 del 24 febbraio, hanno lo scopo di fornire alle piccole e medie imprese che decidano di adottare un modello di organizzazione e gestione della salute e sicurezza, indicazioni organizzative semplificate, di natura operativa, utili alla predisposizione e alla efficace attuazione di un sistema aziendale idoneo a prevenire i reati previsti dall’art. 25 septies, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231.
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