LAVORATORE SORPRESO A PRELEVARE E CONSUMARE PRODOTTI – LICENZIAMENTO ECCESSIVO
Cassazione civile sez. lav. – 19/11/2021, n. 35581
RILEVATO IN FATTO
– con sentenza in data 11 maggio 2017, la Corte d’Appello di Bologna, in sede di reclamo, in parziale riforma della decisione resa dal locale Tribunale, ha dichiarato la illegittimità del licenziamento intimato a S.F. ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, come modificato dalla L. n. 92 del 2012, dichiarando, per l’effetto, risolto il rapporto di lavoro intercorso fra le parti e condannando la ESSELUNGA S.p.A. al pagamento, in favore del reclamante, di una indennità risarcitoria onnicomprensiva in misura pari a dodici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, quantificata in Euro 2.369,99, oltre interessi legali e compensando nella misura del cinquanta per cento le spese di lite;
– in particolare, la Corte ha ritenuto indubitabile che la condotta posta in essere dal dipendente, consistita nell’aver prelevato alcune bottiglie di birra, del cous cous ed un prodotto da forno – poi consumati in loco – configurasse astrattamente inadempimento degli obblighi posti a carico del dipendente e, pertanto, raffigurasse un atteggiamento antigiuridico passibile di sanzione disciplinare, segnatamente alla luce del divieto di “consumare generi alimentari o bevande alcoliche” come descritto dalle norme disciplinari affisse in bacheca, nonché dell’infrazione ivi riportata, consistente nella “appropriazione di beni e merci aziendali anche se al mero fine del consumo personale sul luogo di lavoro”, ma ha escluso la proporzionalità della sanzione espulsiva;
– per la cassazione della sentenza propone ricorso la ESSELUNGA S.p.A., affidandolo a due motivi; – resiste, con controricorso, S.F. che propone, altresì, ricorso successivo, affidato a due motivi;
– la società ha resistito con controricorso al ricorso successivo formulando, altresì, ricorso incidentale affidato a due motivi (Ndr: testo originale non comprensibile) con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Che:
– va preliminarmente disposta la riunione dei due procedimenti, talché il ricorso successivo prende la configurazione di ricorso incidentale;
– con il primo motivo del ricorso principale si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, in relazione all’art. 2119 c.c., con riguardo al ritenuto difetto di proporzionalità della sanzione espulsiva irrogata;
– con il secondo motivo si allega la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, in relazione all’art. 2118 c.c., per aver la Corte ritenuto, una volta esclusa la proporzionalità della sanzione, l’insussistenza degli estremi della giusta causa e del giustificato motivo soggettivo;
– con il primo motivo del ricorso successivo si deduce la ricorrenza dei presupposti per la sospensione necessaria del giudizio, in attesa della definizione di quello penale instaurato per gli stessi fatti nei confronti del ricorrente;
– con il secondo motivo si allega la violazione del combinato disposto degli artt. 2119,2106,1362 e 1363 c.c., nonché art. 229 CCNL;
– con il primo motivo del ricorso incidentale proposto in relazione al ricorso successivo, si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, in relazione all’art. 2119 c.c., con riguardo al ritenuto difetto di proporzionalità della sanzione espulsiva irrogata;
– con il secondo motivo del ricorso incidentale, si allega la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 5, in relazione all’art. 2118 c.c.;
– deve essere preliminarmente esaminata la questione concernente la dedotta sussistenza degli estremi per la sospensione necessaria del giudizio in attesa della definizione del procedimento penale avviato nei confronti dello S., per gli stessi fatti, in seguito all’opposizione al decreto penale di condanna emesso, questione avanzata con il primo motivo del ricorso successivo, da qualificarsi come incidentale;
– premesso che il motivo in questione appare inammissibile, configurandosi non quale censura alla decisione impugnata bensì come istanza rivolta al Collegio, va evidenziato come la sospensione necessaria del processo civile ai sensi dell’art. 295 c.p.c., art. 654 c.p.p., e art. 211 disp. att. c.p.p., in attesa del giudicato penale, può essere disposta solo se una norma di diritto sostanziale ricolleghi alla commissione del reato un effetto sul diritto oggetto del giudizio civile ed a condizione che la sentenza penale possa avere, nel caso concreto, valore di giudicato nel processo civile (cfr., in questi termini, Cass. n. 18918 del 2019);
– perché si verifichi tale condizione di dipendenza tecnica della decisione civile dalla definizione del giudizio penale, non è sufficiente, quindi, che nei due processi rilevino gli stessi fatti, ma occorre che l’effetto giuridico dedotto in ambito civile sia collegato normativamente alla commissione del reato che è oggetto dell’imputazione penale e, come è evidente, tale circostanza non ricorre nel caso di specie nel quale va confermata l’autonomia dei due giudizi;
– il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, il secondo motivo del ricorso successivo (incidentale) ed il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale al ricorso successivo possono esaminarsi congiuntamente per ragioni di ordine logico sistematico, e sono infondati;
– va premesso, al riguardo, che, secondo l’insegnamento di questa Corte (fra le più recenti, Cass. n. 13534 del 2019 nonché, in terminis, Cass. n. 7838 del 2005 e Cass. n. 18247 del 2009), il modulo generico che identifica la struttura aperta delle disposizioni di limitato contenuto ascrivibili alla tipologia delle cd. clausole generali, richiede di essere specificato in via interpretativa, allo scopo di adeguare le norme alla realtà articolata e mutevole nel tempo;
– la specificazione può avvenire mediante la valorizzazione o di principi che la stessa disposizione richiama o di fattori esterni relativi alla coscienza generale ovvero di criteri desumibili dall’ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali ma anche dalla disciplina particolare, collettiva, come nel caso in esame, in cui si colloca la fattispecie: tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro errata individuazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge (ex plurimis, Cass. n. 13453 del 2019 cit., Cass. n. 6901 del 2016; Cass. n. 6501 del 2013; Cass. n. 6498 del 2012; Cass. n. 25144 del 2010);
– conseguentemente, non si sottrae al controllo di questa Corte il profilo della correttezza del metodo seguito nell’individuazione dei parametri integrativi, perché, pur essendo necessario compiere opzioni di valore su regole o criteri etici o di costume o propri di discipline e/o di ambiti anche extragiuridici, “tali regole sono tuttavia recepite dalle norme giuridiche che, utilizzando concetti indeterminati, fanno appunto ad esse riferimento” (per tutte v. Cass. n. 434 del 1999), traducendosi in un’attività di interpretazione giuridica e non meramente fattuale della norma stessa (cfr. Cass. n. 13453 del 2019 cit., Cass. n. 5026 del 2004; Cass. n. 10058 del 2005; Cass. n. 8017 del 2006);
– nondimeno, va sottolineato che l’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c., compiuta dal giudice di merito è sindacabile in cassazione a condizione, però, che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori;
– sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice del merito, opera l’accertamento della concreta ricorrenza, nella fattispecie dedotta in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e sue specificazioni e della loro attitudine a costituire giusta causa e giustificato motivo soggettivo di licenziamento;
– quindi occorre distinguere: è solo l’integrazione a livello generale e astratto della clausola generale che si colloca sul piano normativo e consente una censura per violazione di legge: mentre l’applicazione in concreto del più specifico canone integrativo così ricostruito, rientra nella valutazione di fatto devoluta al giudice del merito, “ossia il fattuale riconoscimento della riconducibilità del caso concreto nella fattispecie generale e astratta” (in termini ancora Cass. n. 18247/2009 e n. 7838/2005 citate).
– questa Corte precisa, pertanto, che “spettano inevitabilmente al giudice di merito le connotazioni valutative dei fatti accertati nella loro materialità, nella misura necessaria ai fini della loro riconducibilità – in termini positivi o negativi – all’ipotesi normativa” (così, in motivazione, Cass. n. 15661 del 2001, nonché la giurisprudenza ivi citata);
– tale distinzione operante per le clausole generali condiziona la verifica dell’errore di sussunzione del fatto nell’ipotesi normativa, ascrivibile, per risalente tradizione giurisprudenziale (v. in proposito Cass. SS.UU. n. 5 del 2001), al vizio di cui al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., comma 1 (di recente si segnala Cass. n. 13747 del 2018);
– e’, infatti, solo l’integrazione a livello generale e astratto della clausola generale che si colloca sul piano normativo e consente una censura per violazione di legge: l’applicazione in concreto del più specifico canone integrativo così ricostruito, rientra nella valutazione di fatto devoluta al giudice del merito, “ossia il fattuale riconoscimento della riconducibilità del caso concreto nella fattispecie generale e astratta” (sul punto, fra le altre, Cass. n. 18247 del 2009 e n. 7838 del 2005);
– nel caso di specie, appare evidente che le censure, veicolate per il tramite dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, in realtà corrono lungo i binari della censura fattuale in quanto mirano ad una diversa ricostruzione della fattispecie oltre che ad una inammissibile diversa valutazione delle risultanze istruttorie di primo grado;
– entrambe le parti, pur denunciando, apparentemente, una violazione di legge, chiedono, in realtà, alla Corte di pronunciarsi sulla valutazione di fatto compiuta dal giudice in ordine alle conclusioni raggiunte con riguardo alla gravità della lamentata infrazione che avrebbe determinato, secondo l’una, il rimedio espulsivo, secondo l’altra, invece, l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione della sanzione;
– in realtà entrambe si limitano a criticare sotto vari profili la valutazione compiuta dalla Corte d’Appello, con doglianze intrise di circostanze fattuali mediante un pervasivo rinvio ad attività asseritamente compiute nelle fasi precedenti ed attinenti ad aspetti di mero fatto, tentandosi di portare di nuovo all’attenzione del giudice di legittimità una valutazione di merito, inerente il contenuto dell’accertamento compiuto circa il fatto commesso, la posizione del lavoratore all’interno dell’impresa, l’insussistenza di precedenti nonostante il lungo periodo di attività alle dipendenze dell’Esselunga, il carattere del tutto isolato dell’infrazione ascritta, le modalità di svolgimento della stessa,,(, la tenuità del valore dei beni sottratti e consumati (pari a circa otto Euro) così come ampiamente argomentati dal giudice di secondo grado;
– va, quindi, rilevato che ci si trova di fronte ad una ricostruzione della vicenda storica effettuata dai giudici del merito cui esclusivamente compete e che è invece criticata dalle parti ma il cui esito, non sconfinando in un risultato irragionevole, per i principi innanzi richiamati, si sottrae al sindacato di legittimità;
– tale ricostruzione, inoltre, non identificando quali siano i parametri integrativi del precetto normativo elastico che sarebbero stati violati dai giudici del merito, manca dell’individuazione di una incoerenza del loro giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale, così traducendosi in una censura generica e meramente contrappositiva rispetto al giudizio valutativo operato in sede di merito;
– quanto alla ritenuta insussistenza della giusta causa, quindi, è indispensabile, così come in ogni altro caso di dedotta falsa applicazione di legge, che si parta dalla ricostruzione della fattispecie concreta così come effettuata dai giudici di merito (tra le più recenti: Cass. n. 13534 del 2019 cit. e Cass. n. 6035 del 2018), altrimenti si trasmoderebbe nella revisione dell’accertamento di fatto di competenza di detti giudici;
– dal momento, poi, che gli elementi da valutare ai fini dell’integrazione della giusta causa di recesso sono, per consolidata giurisprudenza, molteplici (gravità dei fatti addebitati, portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, circostanze in cui sono stati commessi, intensità dell’elemento intenzionale, etc.) occorre guardare, nel sindacato di legittimità, alla rilevanza dei singoli parametri ed al peso specifico attribuito a ciascuno di essi dal giudice del merito, onde verificarne il giudizio complessivo che è scaturito dalla loro combinazione e saggiarne la coerenza e la ragionevolezza della sussunzione nell’ambito della clausola generale;
– poiché si tratta di una decisione che è il frutto di selezione e valutazione di una pluralità di elementi, la parte ricorrente, per ottenere la cassazione della sentenza impugnata sotto il profilo del vizio di sussunzione, non può limitarsi ad invocare una diversa combinazione dei parametri ovvero un diverso peso specifico di ciascuno di essi, ma deve piuttosto denunciare che la combinazione e il peso dei dati fattuali, così come definito dal giudice del merito, consente comunque la riconduzione alla nozione legale di giusta causa di licenziamento (cfr. Cass. n. 18715/2016 cit.) o, per il caso che qui interessa, anche al giustificato motivo soggettivo;
– d’altra parte secondo quanto affermato dalle Sezioni unite, “il compito del controllo di legittimità può essere soltanto quello di verificare la ragionevolezza della sussunzione del fatto” (in termini, Cass. SS.UU. n. 23287 del 2010; Cass. SS.UU. n. 1414 del 2004, n. 20024 del 2004, n. 19075 del 2012; per i notai: Cass. SS.UU. n. 4720 del 2012, n. 6967 del 2017) e, pertanto, va ribadito che la Corte non può, “sostituirsi al giudice del merito nell’attività di riempimento dei concetti giuridici indeterminati… se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza” e “il sindacato sulla ragionevolezza è quindi non relativo alla motivazione del fatto storico, ma alla sussunzione dell’ipotesi specifica nella norma generale, quale sua concretizzazione” (così Cass. SS.UU. n. 23287 del 2010);
– orbene, nel caso di specie, la Corte, ha ritenuto l’insussistenza non solo di una irrimediabile lesione del vincolo fiduciario, ma anche di un inadempimento sì grave da configurare un giustificato motivo soggettivo e tale valutazione, immune da vizi logici, non può essere censurata in sede di legittimità;
– in sostanza, parte ricorrente (nel ricorso principale e nei due motivi di ricorso incidentale al ricorso successivo) ribadisce che secondo il suo giudizio – che è solo quello personale della parte che vi ha interesse; – il fatto addebitato sarebbe idoneo a costituire giusta causa o giustificato motivo soggettivo, criticando l’apprezzamento diverso dei giudici d’appello in ordine alla proporzionalità della sanzione, il che tuttavia esula dal controllo di questa Corte (ex pluribus: Cass. n. 2289 del 2019; Cass. n. 8293 del 2012; Cass. n. 7948 del 2011; Cass. n. 24349 del 2006; Cass. n. 3944 del 2005; Cass. n. 444 del 2003), la quale in queste valutazioni “non può sostituirsi al giudice del merito”, come ammoniscono le sentenze delle Sezioni unite civili citate;
– proprio con riguardo alla proporzionalità tra addebito e recesso, questa Corte ha affermato che rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza;
– spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva, non sulla base di una valutazione astratta dell’addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all’assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo (cfr., fra le più recenti, Cass. n. 17321 del 2020);
– nel caso di specie, il giudice di secondo grado, con valutazione in concreto, sottratta, si ripete, al sindacato di legittimità, proprio alla luce del complessivo atteggiarsi della vicenda, valutata in fatto, ha escluso la configurabilità della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo reputando sproporzionata rispetto all’accadimento ascritto la sanzione espulsiva;
– quanto, infine, al secondo motivo del ricorso successivo, esso non si confronta con la decisione di merito, poiché integralmente incentrato sulla confutazione degli elementi costitutivi della giusta causa che, invece, unitamente al giustificato motivo soggettivo è stata esclusa nel caso di specie;
– alla luce delle suesposte argomentazioni, quindi, tutti i ricorsi vanno respinti;
– la reciproca soccombenza induce alla compensazione integrale delle spese di lite;
– sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte di entrambi i ricorrenti, principale e incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 1 bis, art. 13, comma 1 quater, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso principale, il ricorso successivo, il ricorso incidentale. Compensa integralmente le spese di lite. Ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, principale e incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 10 marzo 2021. Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2021