25.7.2022 – Corte di Cassazione Civile – Sezione I – Ordinanza n. 22616 del 19.7.2022

L’ASSEGNO DI MANTENIMENTO DEVE TENERE CONTO ANCHE DI QUANTO FACENTE PARTE IL REDDITO “OCCULTO” AL FISCO

Cassazione civile sez. I – 19/07/2022, n. 22616

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 5103/2018, pubblicata il 09/05/2018, dichiarava la separazione personale dei coniugi M.E. e Mi.Ca., addebitandola al marito; assegnava la casa coniugale alla moglie, quale genitore convivente con il figlio maggiorenne non autosufficiente economicamente; poneva a carico del marito l’obbligo di contribuire al mantenimento del figlio, mediante il versamento alla madre della somma di Euro 1.200,00 mensili, da rivalutarsi annualmente, oltre al pagamento del 100% delle spese straordinarie; stabiliva in favore della moglie un assegno di mantenimento di Euro 1.300,00 mensili, da rivalutarsi annualmente; compensava, in parte, le spese di lite.

La ricorrente proponeva appello contro tale decisione, lamentando l’insufficienza della quantificazione degli assegni. Censurava la statuizione nella parte in cui, ai fini della determinazione del tenore di vita familiare e delle effettive condizioni economiche del marito, aveva escluso qualsivoglia rilevanza ai redditi derivanti dall’attività libero professionale del marito asseritamente non dichiarati al fisco. Per questo insisteva sia per l’accoglimento dell’ordine di esibizione, formulata in primo grado, sia sul compimento di accertamenti di polizia tributaria. Al ricorso venivano allegati nuovi documenti.

Il Mi., nel costituirsi, chiedeva il rigetto dell’impugnazione e, solo per il caso di ammissione delle prove avversarie, chiedeva l’accoglimento delle istanze istruttorie formulate in primo grado, producendo anch’egli nuovi documenti.

Con sentenza n. 2526/2019, depositata il 10/06/2019 e notificata alla ricorrente l’11/06/2019, la Corte d’appello respingeva l’impugnazione proposta da M.E., confermando la decisione di primo grado e condannando l’appellante al pagamento delle spese di lite.

Avverso tale statuizione, la M. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

L’intimato si è difeso con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, ha depositato le proprie conclusioni scritte, chiedendo l’accoglimento del ricorso. 

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione o falsa applicazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 156 e 337 ter c.c.), per avere la Corte d’appello ritenuto che l’eventuale disponibilità di entrate sottratte all’imposizione fiscale, di cui tutto il nucleo familiare aveva in passato beneficiato, non potesse essere preso a parametro di riferimento per determinare l’assegno spettante al coniuge separato e al figlio, mentre invece avrebbe dovuto considerare che ciò che rilevava era il tenore di vita matrimoniale, a prescindere dal fatto che le disponibilità di cui godeva la famiglia fossero o meno sottratte all’imposizione fiscale.

Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione o falsa applicazione di legge (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., all’art. 2729 c.c. e alla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9, esteso in via analogica al giudizio di separazione, al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36, come modificato dalla L. n. 413 del 1991, art. 19, comma 1, lett. d), e all’art. 337 ter c.c., u.c.), per avere la Corte d’appello negato indagini di polizia tributaria e ulteriori approfondimenti istruttori mediante ordini di esibizione ex art. 210 c.p.c., escludendo anche il ricorso alle presunzioni gravi, precise e concordanti, sull’erroneo presupposto che le eventuali entrate sottratte all’imposizione fiscale non potessero costituire parametro di riferimento del tenore di vita familiare.

Secondo la ricorrente, l’applicazione dell’erroneo principio, per cui i redditi non dichiarati non possono essere considerati ai fini della determinazione degli assegni, ha comportato uno “sbarramento istruttorio”, che ha prodotto il risultato di un “appiattimento” sulle risultanze fiscali, impedendo l’ingresso nel processo di elementi rilevanti ai fini della ricostruzione dell’effettivo tenore di vita familiare.

2. Il controricorrente ha preliminarmente dedotto l’inammissibilità del ricorso avversario, ritenuto comunque infondato.

2.1. In particolare, con riferimento al primo motivo, il Mi. ha affermato che la Corte di merito aveva sì enunciato il principio censurato con il primo motivo di ricorso, ma non l’aveva poi applicato, operando una valutazione ponderata di tutte le risultanze processuali.

Con riferimento al secondo motivo, il controricorrente ha dedotto che la censura si risolveva in una non consentita critica alle valutazioni di merito operate dalla Corte d’appello, evidenziando che la mancata adozione degli ordini di esibizione e l’esclusione di indagini della polizia tributaria erano state da quest’ultima ritenute superflue sulla base di quanto già acquisito in atti.

2.2. L’eccezione di inammissibilità riferita al primo motivo di ricorso non è accoglibile, tenuto conto che si fonda su una complessiva valutazione della decisione impugnata, che attiene alla fondatezza, e non all’ammissibilità, del motivo.

2.3. Anche l’eccezione d’inammissibilità riferita al secondo motivo di ricorso non risulta fondata, non cogliendo l’essenza della censura, nella parte in cui attiene, non al tenore delle valutazioni di merito operate dalla Corte d’appello, ma alla conformità a diritto dei presupposti giuridici che hanno portato a tali valutazioni.

3. Il primo e il secondo motivo devono essere esaminati congiuntamente, essendo tra loro strettamente connessi, e risultano entrambi fondati sia pure nei termini di seguito evidenziati.

3.1. Com’e’ noto, l’art. 156 c.c., comma 1, dispone che “Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri”.

Per quanto riguarda i figli, il successivo art. 155 c.c., rinvia alle disposizioni riguardanti i cosiddetti giudizi separativi, ove l’art. 337 ter c.c. (applicabile anche ai figli maggiorenni ancora non indipendenti economicamente) stabilisce che “Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando: 1) le attuali esigenze del figlio. 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori. 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore. 4) le risorse economiche di entrambi i genitori. 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”.

3.2. La giurisprudenza di legittimità è consolidata nel ritenere che, il giudice di merito, per quantificare l’assegno di mantenimento spettante al coniuge al quale non sia addebitabile la separazione, deve accertare, quale indispensabile elemento di riferimento, il tenore di vita di cui la coppia abbia goduto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, accertando le disponibilità patrimoniali dell’onerato.

A tal fine, non può limitarsi a considerare soltanto il reddito emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell’onerato, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, quali la disponibilità di un consistente patrimonio, anche mobiliare, e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso (così, tra le tante, Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9915 del 24/04/2007).

Anche l’assegno di mantenimento in favore dei figli minori, o maggiori d’età ma non autosufficienti economicamente, deve essere determinato considerando le esigenze del beneficiario in rapporto al tenore di vita goduto durante la convivenza dei genitori, tenendo conto di tutte le risorse a disposizione della famiglia, non potendo i figli di genitori separati essere discriminati rispetto a quelli i cui genitori continuano a vivere insieme (cfr. già Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9915 del 24/04/2007 e, di recente, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 16739 del 06/08/2020).

E’ per questo che l’art. 706 c.p.c., nel disciplinare i procedimenti in materia di separazione personale dei coniugi, in deroga alla disciplina ordinaria dell’onere della prova, lasciata di regola alla libera iniziativa delle parti interessate, stabilisce che “Al ricorso e alla memoria difensiva sono allegate le ultime dichiarazioni dei redditi presentate”.

D’altronde, la L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9, con riferimento al giudizio di divorzio, stabilisce che “I coniugi devono presentare all’udienza di comparizione avanti al presidente del tribunale la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai loro redditi e al loro patrimonio personale e comune”.

Nello stesso articolo e’, inoltre, aggiunto che “In caso di contestazioni, il tribunale dispone indagini sui redditi e patrimoni dei coniugi e sul loro effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria”.

Per quanto riguarda i figli, ove la previsione dell’assegno per il mantenimento di questi ultimi e la determinazione del relativo ammontare è lasciato alla valutazione ufficiosa del giudice, senza il riferimento alla presenza di contestazioni, è comunque stabilito che “Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi”.

Questa Corte, in passato, ha più volte ritenuto che la L. n. 898 del 1970, menzionato art. 5, comma 9, previsto per il giudizio di divorzio, fosse applicabile in via analogica anche ai procedimenti di separazione personale, stante l’identità di ratio tra assegno in favore del coniuge separato e assegno divorzile, ricondotta alla funzione eminentemente assistenziale di entrambi (v. in particolare Cass., Sez. 1, n. 19081 del 17/06/2009Cass., Sez. 1, n. 10344 del 17/05/2005).

Ovviamente la soluzione appena prospettata deve essere ribadita, anche a seguito della nota pronuncia a Sezioni Unite (Cass. Sez. U, Sentenza n. 18287 dell’11/07/2018) che, di recente, ha riconosciuto all’assegno divorzile la funzione perequativo-compensativa accanto a quella assistenziale la quale, pertanto, ancora giustifica l’applicazione analogica.

Dall’esame delle norme sopra richiamate si evince con chiarezza che ciò che rileva, ai fini della determinazione degli assegni di mantenimento del coniuge e dei figli in sede di separazione, è l’accertamento del tenore di vita condotto dai coniugi quando vivevano insieme, a prescindere, pertanto, dalla provenienza delle consistenze reddituali o patrimoniali da questi ultimi godute, assumendo rilievo anche i redditi occultati al fisco, in relazione ai quali l’ordinamento prevede, anzi, strumenti processuali, anche ufficiosi, che ne consentano l’emersione ai fini della decisione.

Le indagini della polizia tributaria hanno proprio tale funzione, posto che, di fronte a risultanze incomplete o inattendibili, il giudice ha la possibilità di fare ricorso, anche d’ufficio, a tale mezzo di ricerca della prova, poiché l’occultamento di risorse economiche rende per definizione estremamente difficile la dimostrazione della realtà delle stesse in base alle regole dell’ordinario riparto dell’onere della prova, rischiando di pregiudicare il diritto di difesa di chi ha interesse alla loro emersione processuale.

3.4. Nel caso di specie, la Corte di appello ha richiamato e condiviso l’affermazione riportata prima nell’ordinanza del Presidente del Tribunale e poi nella sentenza di primo grado, “secondo cui “l’eventuale disponibilità in passato di entrate illecite, cioè sottratte alla imposizione fiscale, di cui tutto il nucleo familiare abbia sino ad ora beneficiato… non potrà essere presa a parametro del tenore di vita svolto dal nucleo familiare e consentita per il futuro”” (pp. 5 e 6 della sentenza impugnata, pp. 4-6 del ricorso introduttivo).

Subito dopo l’enunciazione appena riportata, la stessa Corte di merito ha aggiunto che “Ciò che conta nella presente fase di controllo della correttezza della prima decisione è che il Tribunale afferma che, al fine della determinazione dei contributi al mantenimento, “la valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiede necessariamente l’accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare”… perché in ogni caso “il giudice ben può trarre argomenti di convincimento di prova anche dal comportamento processuale delle parti in relazione agli ordini di esibizione non completamente non correttamente adempiuti”. E soprattutto rileva che, in applicazione dei suddetti principi, il Tribunale onde operare la ricostruzione dei patrimoni delle parti in lite, ha esaminato e valutato tutto il materiale probatorio che è stato acquisito agli atti su iniziativa delle parti; materiale reputato “più che idoneo a fondare una motivata pronuncia sulle sole questioni ancora controverse nel presente giudizio (… la quantificazione del contributo al mantenimento del figlio e della moglie)”” (p. 5 e 6 della sentenza impugnata).

In sintesi, la Corte d’appello: 1) ha dapprima ribadito che le eventuali disponibilità di denaro derivanti da attività sottratte al fisco, di cui la famiglia abbia goduto, non possono essere considerate ai fini della ricostruzione del tenore di vita familiare; 2) ha poi rilevato che comunque, ai fini della liquidazione degli assegni in questione, non occorre la precisa quantificazione dei redditi delle parti, potendo il giudice desumere argomenti di prova anche dal comportamento processuale delle parti in relazione agli ordini di esibizione non adempiuti o non completamente adempiuti; 3) sulla base dei suddetti principi, ha poi evidenziato che il giudice di primo grado aveva operato la valutazione di tutti gli elementi di prova acquisiti al processo, ritenuti più che idonei a fondare la statuizione sulla misura dei medesimi assegni.

Si è già evidenziato come, il principio enunciato al punto 1) non sia conforme a diritto, tenuto conto che anche le entrate sottratte al fisco contribuiscono alla ricostruzione del tenore di vita familiare. Tali entrate, ove esistenti, devono essere accertate, ovviamente anche facendo ricorso a presunzioni e ad argomenti di prova.

Nessun rilievo ai fini della decisione adottata assume il principio enunciato al punto 2), tenuto conto che nella specie il giudice non ha adottato l’ordine di esibizione richiesto, sicché non ha potuto valutare il contegno processuale in ordine allo stesso.

D’altronde, la non necessità di accertare i redditi esatti delle parti, ai fini della determinazione del contributo al mantenimento, è un principio in sé condivisibile e condiviso dalla giurisprudenza di questa Corte (v. da ultimo, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 975 del 20/01/2021Cass., Sez. 1, Sentenza n. 605 del 12/01/2017), ma attiene alla valutazione delle emergenze processuali comunque acquisite in giudizio, mentre, invece, la questione che in questa sede rileva è data dalla possibilità di far emergere nel processo eventuali redditi che, occultati per ragioni fiscali, non sono ancora entrati a far parte del giudizio.

E’, pertanto, evidente che l’affermazione di cui al punto 3) è conseguenza della valutazione di irrilevanza degli eventuali redditi sottratti al fisco, che giustifica, la ritenuta sufficienza della completa valutazione degli elementi di prova acquisiti.

3.5. Non può, dunque ritenersi, come dedotto dal controricorrente, che il principio enunciato al punto 1) non abbia poi influito sull’esito della decisione, risultando, anzi, il contrario da quanto appena emerso.

4. Non risulta, conseguentemente, conforme a diritto la statuizione di rigetto della richiesta di indagini di polizia tributaria per due ragioni, tra loro strettamente connesse.

4.1. Com’e’ noto, la previsione della possibilità di disporre anche d’ufficio le menzionate indagini di polizia tributaria costituisce una deroga ai principi generali in materia di onere della prova (Sez. 6-1, Ordinanza n. 23263 del 15/11/2016; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 2098 del 28/01/2011Cass., Sez. 1, Sentenza n. 16575 del 18/06/2008; Sez. 1, Sentenza n. 10344 del 17/05/2005; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 8417 del 21/06/2000Cass., Sez. 1, Sentenza n. 6087 del 03/07/1996).

Essa è anticipata da altre disposizioni del tutto particolari, se confrontate con le regole dell’ordinario giudizio di cognizione, che riguardano i procedimenti di separazione ed anche quelli di divorzio.

E in effetti, come sopra evidenziato, l’art. 706 c.p.c., impone ai coniugi un particolare dovere di collaborazione processuale mediante la presentazione già con il ricorso o con la memoria di costituzione delle dichiarazioni reddituali.

Si è anche rilevato che la L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9, è ancora più esigente, perché prevede che, all’udienza di comparizione dinanzi al Presidente del Tribunale, i coniugi debbano presentare la dichiarazione personale dei redditi e ogni documentazione relativa ai redditi ed al patrimonio personale e comune e, in secondo luogo, è previsto il compimento di accertamenti d’ufficio anche per il tramite della polizia giudiziaria per il caso di contestazioni sulle risultanze acquisite.

Nei procedimenti appena menzionati, è richiesto un comportamento di lealtà processuale particolarmente pregnante, che si manifesta con l’offerta degli elementi probatori utili a ricostruire le effettive condizioni economiche delle parti e giunge fino a richiedere a ciascuna di esse di fornire al giudice elementi di prova contrari al proprio personale interesse, giustificati dalla particolarità della materia del contendere, legata ad interessi aventi rilievo costituzionale (artt. 2,29 e 30 Cost.).

In tale ottica, mutuando prassi consolidate in numerose Corti di merito, la legge delega per la riforma del processo civile (L. n. 106 del 2021), nel delineare i principi e i criteri direttivi del rito unificato – denominato “procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie” (compresi, dunque, i giudizi di separazione personale dei coniugi, ma anche quelli di divorzio e i cosiddetti giudizi separativi) – espressamente stabilisce che, ove siano formulate domande di natura economica, il legislatore delegato dovrà prevedere che le parti debbano depositare con il ricorso introduttivo o con la comparsa di costituzione, le denunce dei redditi e la documentazione attestante le disponibilità mobiliari, immobiliari e finanziarie delle parti degli ultimi tre anni, prevedendo l’introduzione di sanzioni per il mancato deposito della documentazione senza giustificato motivo ovvero per il deposito di documentazione inesatta o incompleta (L. n. 106 del 2021, art. 1, comma 23, lett. f) e lett. h)). E’ pure espressamente stabilito che il legislatore delegato disciplini i poteri istruttori officiosi di indagine patrimoniale (L. n. 106 del 2021, art. 1, comma 23, lett. t)).

4.2. Il potere del giudice di disporre indagini della polizia tributaria è la massima espressione della particolarità della disciplina regolatrice dei procedimenti in esame. Qualora ritenga che gli elementi di prova offerti non siano sufficienti o attendibili, infatti, è lo stesso giudice che, per il tramite della polizia tributaria, interviene dando disposizioni ufficiose, per accertare la reale situazione economica e patrimoniale dei coniugi.

In quanto deroga ai generali principi dell’onere della prova, è di fondamentale rilievo la delimitazione dell’ambito di operatività di tale potere ufficioso.

4.3. In tale ottica, questa Corte ha più volte precisato che la L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9, non può essere letto nel senso che il “potere” del giudice di disporre indagini di polizia tributaria debba essere considerato come un “dovere” imposto dalla “mera contestazione” delle parti in ordine alle rispettive condizioni economiche (v. Cass. Sez. 1, n. 10344 del 17/05/2005).

La relativa istanza e la contestazione dei fatti incidenti sulla posizione reddituale del coniuge devono, infatti, basarsi su fatti specifici e circostanziati (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 23263 del 15/11/2016, con riferimento all’assegno divorzile; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 2098 del 28/01/2011, con riguardo al contributo al mantenimento dei figli).

Lo stesso principio è stato enunciato espressamente con riguardo ai giudizi di separazione, in virtù della sopra menzionata applicazione analogica della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9 (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 10344 del 17/05/2005).

Per poter fondatamente richiedere l’attivazione dei poteri ufficiosi in questione, non basta, dunque, contestare genericamente la veridicità delle allegazioni e delle prove altrui, ma occorre che siano offerti fatti concreti, in grado di mettere in discussione la rappresentazione della parte avversa in ordine alle condizioni di vita delle parti, come avviene proprio nel caso in cui siano prospettate entrate occultate al fisco.

Ovviamente tale onere di allegazione probante non arriva fino alla dimostrazione dell’effettiva maggiore entità delle consistenze reddituali della controparte e dell’incidenza delle stesse sul tenore di vita familiare o sulle condizioni economiche delle parti.

Ciò che rileva è la deduzione di fatti concreti, risultanti dagli atti di causa, che inducano a far ritenere che la parte detenga sostanze economiche o patrimoniali ulteriori rispetto a quelle rappresentate in giudizio.

Si tratta, in sintesi, della necessità di far emergere elementi circostanziati in ordine all’incompletezza o all’inattendibilità della rappresentazione delle condizioni reddituali o patrimoniali delle parti.

4.4. Questa Corte ha più volte affermato che il diniego delle indagini in questione non è sindacabile, purché esso sia correlabile, anche per implicito, ad una valutazione di superfluità dell’iniziativa e di sufficienza dei dati istruttori acquisiti (così Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 8744 del 28/03/2019Cass., Sez. 1, Sentenza n. 14336 del 06/06/2013Cass., Sez. 1, Sentenza n. 16575 del 18/06/2008Cass., Sez. 1, Sentenza n. 9861 del 28/04/2006).

E’, tuttavia, evidente che tale valutazione di superfluità deve fondarsi su corretti presupposti giuridici, tra cui quelli inerenti alla individuazione degli elementi che rilevano ai fini della decisione.

In particolare, si deve tenere conto del fatto che, ai fini dell’accertamento del tenore di vita familiare, funzionale alla quantificazione dell’assegno di mantenimento in favore di moglie e figli in sede di separazione, rilevano anche i redditi sottratti al fisco e goduti dalla famiglia.

Inoltre, come precisato in alcune pronunce di legittimità pienamente condivise dal Collegio, e qui ribadite, esiste un limite alla menzionata discrezionalità del giudice.

Tale limite è rappresentato dal fatto che quest’ultimo, pur potendosi avvalere delle indagini della polizia tributaria, non può rigettare le richieste delle parti relative al riconoscimento ed alla determinazione dell’assegno sotto il profilo della mancata dimostrazione, da parte loro, degli assunti sui quali le richieste si basano, avendo in tal caso l’obbligo di disporre tali accertamenti (così Cass., Sez. 1, n. 10344 del 17/05/2005 e Cass., Sez. 1, n. 8417 del 21/06/2000; v. già Sez. 1, Sentenza n. 3529 del 21/03/1992 e Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6087 del 03/07/1996).

In altre parole, se la parte ha offerto elementi concreti e specifici a sostegno della richiesta di indagini della polizia tributaria, il giudice di merito non può rigettare la richiesta e, nel contempo, rigettare anche le domande su di essa fondate.

Tale soluzione interpretativa risponde alla ratio della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9, che, come sopra evidenziato, attribuisce al giudice il potere ufficioso di disporre accertamenti patrimoniali, al fine di far emergere nel processo consistenze economiche non palesate dalle parti, quando, in ragione del loro occultamento, l’ordinaria ripartizione dell’onere della prova renderebbe estremamente difficoltosa, se non impossibile, la loro rivelazione.

Una soluzione diversa porterebbe ad un esito del tutto contrario alla ratio appena ricordata, consentendo di creare quello “sbarramento istruttorio” lamentato dalla ricorrente, per effetto del quale, ritenute superflue le indagini della polizia tributaria, anche le domande fondate sull’esito di tali indagini vengono rigettate a causa della mancanza di prova degli assunti fondanti che, invece, avrebbero potuto essere confermati dalle indagini non disposte.

4.5. Nel caso di specie, la ricorrente ha dedotto di avere effettuato specifiche contestazioni in ordine alle risultanze acquisite al processo, che ha riportato analiticamente nel ricorso, al fine di evidenziare l’incoerenza tra il tenore di vita assicurato alla famiglia e l’entità dei redditi dichiarati dal marito (v. pp. 12-13 e 15-16 del ricorso).

la Corte di appello “alla luce del materiale probatorio già acquisito agli atti” ha confermato la valutazione di superfluità della richiesta di indagine della polizia tributaria, in base al presupposto non corretto dell’irrilevanza, ai fini della ricostruzione del tenore di vita familiare, di eventuali redditi sottratti al fisco, ma poi ha rigettato l’appello, con il quale era stata richiesta la determinazione di importi maggiori per gli assegni di mantenimento, proprio in ragione delle dedotte maggiori entrate extrafiscali.

Tuttavia, come sopra evidenziato, non possono ritenersi superflue ai fini dalla ricostruzione del tenore di vita familiare le eventuali entrate occultate al fisco.

Inoltre, in base ai principi sopra enunciati, il giudice di appello non avrebbe dovuto valutare la sufficienza o meno delle prove già acquisite, nella non corretta ottica dell’irrilevanza di possibili redditi nascosti al fisco, ma verificare se gli elementi addotti dalla ricorrente in ordine all’incompletezza e all’inattendibilità delle risultanze relative alle consistenze economiche del marito fossero così specifiche e circostanziate da giustificare la ricerca di ulteriori informazioni rispetto a quelle già acquisite, facendo ricorso alla polizia tributaria.

Solo una volta acquisite tali informazioni, il medesimo giudice avrebbe, poi, potuto valutare se le medesime fossero in grado di rappresentare un tenore di vita migliore di quello già acquisito al processo e, dunque, di giustificare un aumento degli assegni di mantenimento, oppure no.

5. In conclusione, assorbita ogni ulteriore questione, il ricorso deve essere accolto nei termini di cui in motivazione.

La sentenza impugnata deve essere cassata, in applicazione dei seguenti principi:

“In tema di separazione giudiziale dei coniugi, ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge economicamente più debole e dei figli minorenni o maggiorenni ma non economicamente autosufficienti, occorre accertare il tenore di vita della famiglia durante la convivenza dei coniugi a prescindere dalla provenienza delle consistenze reddituali o patrimoniali godute, assumendo pertanto rilievo anche i redditi occultati al fisco, all’accertamento dei quali l’ordinamento prevede strumenti processuali ufficiosi, quali le indagini della polizia tributaria.”

“Nei giudizi di separazione giudiziale dei coniugi, il potere di disporre indagini della polizia tributaria, derivante dall’applicazione analogica della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9, costituisce una deroga alle regole generali sul riparto dell’onere della prova, il cui esercizio è espressione della discrezionalità del giudice di merito che, però, incontra un limite in presenza di fatti precisi e circostanziati in ordine all’incompletezza o all’inattendibilità delle risultanze fiscali acquisite al processo. In tali casi, il giudice ha il dovere di disporre le indagini della polizia tributaria, non potendo rigettare le domande volte al riconoscimento o alla determinazione dell’assegno, fondate proprio sulle circostanze specifiche che avrebbero dovuto essere verificate per il tramite delle menzionate indagini”.

La causa deve essere rinviata, anche per quanto riguarda le spese del presente grado di giudizio, alla Corte di appello di Milano in diversa composizione.

6. In caso di diffusione, devono essere omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nella decisione, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52

P.Q.M.

La Corte

accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione e cassa la sentenza impugnata, nei limiti indicati, con conseguente rinvio della causa, anche per quanto riguarda le spese del presente grado di giudizio, alla Corte di appello di Milano in diversa composizione;

dispone che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati, a norma delD.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 11 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 19 luglio 2022 

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