MASSAGGIO TROPPO VICINO ALLE ZONE EROGENE: VIOLENZA SESSUALE
Cass. pen., sez. III, ud. 5 aprile 2022 (dep. 11 luglio 2022), n. 26476
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 9 dicembre 2020, la Corte d’appello di Genova ha confermato – quanto alla responsabilità penale – la sentenza del Tribunale di Savona dell’8 gennaio 2020, con la quale l’imputato era stato condannato in relazione ai seguenti reati: artt. 609-bis c.p., ultimo comma, art. 609-septies c.p., comma 4, n. 1), e art. 61 c.p., n. 11, perché, svolgendo l’attività di massaggiatore presso un resort, abusando della propria prestazione d’opera, con violenza consistita nella repentinità del gesto, costringeva una minorenne ospite del resort a subire atti sessuali consistiti in toccamenti ripetuti della zona anale e vaginale, oltre che strofinamenti sul corpo durante il massaggio, con l’aggravante di aver commesso il fatto con abuso di prestazione d’opera (capo a); artt. 609-bis c.p., ultimo comma, e art. 61 c.p., n. 11), perché, svolgendo la medesima attività , abusando della propria prestazione d’opera, con violenza consistita nella repentinità del gesto, costringeva una donna ospite del Resort, a subire atti sessuali consistiti in toccamenti ripetuti della zona anale e vaginale oltre che strofinamenti sul corpo durante il massaggio, con l’aggravante di aver commesso il fatto con abuso di prestazione d’opera (capo b); con la recidiva specifica reiterata.
La Corte territoriale ha rideterminato in diminuzione il trattamento sanzionatorio, previa esclusione del carattere reiterato della recidiva.
2. Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con una prima doglianza, si deducono la violazione dell’art. 500, commi 1 e 2, c.p.p. ed il vizio di motivazione in ordine all’utilizzo delle contestazioni in giudizio. A parere della difesa, la violazione sarebbe duplice poiché: per un verso, i contenuti delle querele e delle sommarie informazioni testimoniali rese dalle persone offese sarebbero entrati negli atti del processo non in quanto sulle stesse avessero riferito le testimoni, bensì a seguito delle letture offerte in udienza dal pubblico ministero; per altro verso, i giudici del gravame avrebbero fondato la prova del reato esclusivamente sulle letture delle dichiarazioni rese delle persone offese anziché utilizzarle ai soli fini della verifica della loro credibilità .
2.2. Con un secondo motivo di ricorso, ci si duole del difetto motivazionale in ordine al travisamento degli elementi prospettati dalla difesa e alla mancata valutazione di credibilità delle persone offese, con conseguente violazione del principio del ragionevole dubbio, per avere la Corte d’appello ritenuto inattendibile la ricostruzione fornita dal ricorrente – secondo cui si sarebbe trattato di massaggi molto invasivi, ma pur sempre leciti – senza addurre alcuna argomentazione. Al contrario i giudici del gravame avrebbe dato credito alle dichiarazioni rese dalle persone offese, sebbene piene di contraddizioni ed incoerenze, tanto più evidenti, tenuto conto dei racconti offerti dalle medesime prima nelle querele e poi in sede di sommarie informazioni. Dette contraddizioni avrebbero dovuto indurre i giudici a dubitare delle stesse, ma ciò non si sarebbe realizzato nel caso di specie, in cui, invece, sarebbe stata ritenuta erroneamente non convincente la prospettazione difensiva secondo cui si sarebbe trattato di manipolazioni lecite – e, precisamente, di un massaggio energico per la seconda e di toccamenti involontari per la prima – che, tuttavia, a causa della contiguità con le zone erogene, sarebbero state mal interpretate.
2.3. In terzo luogo, si lamenta la violazione dell’art. 500, commi 1 e 2, c.p.p. sul rilievo che il contenuto delle contestazioni si sarebbe basato su querele irregolari e, dunque, inutilizzabili. La difesa contesta, sul punto, la correttezza dell’iter di formazione della querela, dal momento che non sarebbero state riportate fedelmente le dichiarazioni e le volontà della querelante tedesca (prima persona offesa), con palese inquinamento degli atti da parte degli inquirenti. Nella specie, le dichiarazioni accusatorie sarebbero state assunte dai Carabinieri sebbene costoro non possedessero le competenze linguistiche necessarie a tal fine – come dimostrato dall’aver utilizzato “Google Translate” per parlare con l’interessata in inglese e poi per tradurre il tutto in italiano – cosicché di dubbia genuinità sarebbero le affermazioni contenute nei verbali, poi utilizzate in giudizio.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
1.1. Il primo motivo di ricorso – con cui si censurano la violazione dell’art. 500 c.p.p. ed il vizio di motivazione in ordine all’illegittimo utilizzo delle contestazioni – è inammissibile per manifesta infondatezza.
Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità è unanime nel riconoscere valore probatorio alla conferma del testimone immemore, nel corso della deposizione dibattimentale e, a seguito di contestazione, delle dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari (Sez. 1, n. 23012 del 14/05/2009, Rv. 244451). E ciò, sia quando il teste rimandi al più vivido ricordo dei fatti in occasione delle informazioni rese in fase di indagini, sia quando si limiti all’affermazione che quanto in precedenza dichiarato risponda al vero, giacché la risposta alla contestazione per difetto di ricordo veicola nel dibattimento quanto già dichiarato in precedenza (Sez. 2, n. 13927 del 04/03/2015, Rv. 264014; Sez. 2, n. 31593 del 13/07/2011, Rv. 250913). Pertanto, allorché il testimone manifesti genuina difficoltà di elaborazione del ricordo, le dichiarazioni predibattimentali utilizzate per le contestazioni debbono ritenersi confermate se lo stesso ne affermi la veridicità in varia guisa, anche mediante richiami atti a giustificare il deficit mnemonico, sicché le stesse possono essere recepite ed utilizzate come se rese direttamente in sede dibattimentale poiché l’art. 500, comma 2, c.p.p. concerne il solo caso di dichiarazioni dibattimentali difformi da quelle contenute nell’atto utilizzato per le contestazioni (ex multis Sez. 2, n. 35428 del 08/05/2018, Rv. 273455; Sez. 2, n. 17089 del 28/02/2017, Rv. 270091).
Nel caso di specie, i giudici di merito si sono allineati ai principi suesposti, evidenziando come si trattasse di mere precisazioni effettuate dalle persone offese all’esito delle contestazioni ed in quanto tali utilizzabili in modo del tutto legittimo come prove della penale responsabilità dell’imputato. Contrariamente a quanto asserito dalla difesa, la Corte d’appello ha debitamente confutato le doglianze prospettate sul punto, rilevando come in dibattimento le due vittime avessero ribadito il riferimento agli atti inizialmente riportati dinanzi alla polizia giudiziaria, con descrizione precisa del comportamento del ricorrente in occasione del massaggio, ben evidenziando la differenza tra manipolazioni lecite e non. Sulla base di tale quadro probatorio, che non lascia spazio a qualificazioni alternative, la sentenza della Corte d’appello risulta adeguatamente motivata, di talché le difformità – seppur assai modeste – tra la versione dei fatti fornita in giudizio e quella fornita nel corso delle indagini preliminari diventano del tutto irrilevanti trattandosi di contraddizioni marginali che cedono a fronte di accuse precise ed inequivocabili (pag. 7-8 della sentenza).
1.2. Il secondo motivo di doglianza – riferito essenzialmente al vizio di motivazione con travisamento degli elementi difensivi e mancata valutazione di credibilità della persona offesa – è inammissibile per genericità , risolvendosi in una contrapposizione assertiva al lineare percorso argomentativo che sorregge il provvedimento impugnato.
Va premesso che, secondo il consolidato orientamento di legittimità , anche a seguito della modifica apportata all’art. 606 c.p.p., comma 1, lettera e), dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. In sede di legittimità , infatti, è precluso il percorso argomentativo seguito dal ricorrente, che si risolva in una mera e del tutto generica lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità , quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (ex plurimis, Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099). Altrettanto genericamente si critica il vaglio dell’attendibilità delle persone offese, senza considerare che si tratta di una valutazione di merito non sindacabile in questa sede. Deve infatti ricordarsi che, laddove le dichiarazioni della persona offesa siano oggetto di valutazione motivata, l’attendibilità di chi le ha rese rimane una questione di fatto che, non può essere rivalutata in sede di legittimità , salvo che il giudice sia incorso in manifeste contraddizioni (Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Rv. 262575).
Orbene, anche a prescindere da tali assorbenti considerazioni di carattere generale, deve evidenziarsi come la Corte distrettuale – contrariamente all’assunto del ricorrente – ha motivato logicamente e compiutamente sulla credibilità delle persone offese e sui riscontri in atti alle loro dichiarazioni, mediante un compiuto ed articolato costrutto motivazionale privo di illogicità od incoerenze apprezzabili ex art. 606 c.p.p., nonché indenne da travisamenti dei fatti. Ed invero, la diversa valutazione dei fatti offerta dal ricorrente è stata puntualmente smentita dai giudici di merito, i quali hanno evidenziato chiaramente come dai racconti delle persone offese emergesse inequivocabilmente il compimento di massaggi certamente lontani dalle normali tecniche di manipolazione non essendo possibile rinvenire, in alcun modo, finalità terapeutiche o di benessere in dette pratiche. Il costrutto accusatorio non risulta, pertanto, indebolito dalle generiche asserzioni difensive atteso che i comportamenti tenuti dal ricorrente – e consistititi in massaggi invasivi e sgradevoli, contigui ad aree sessuali ed erogene e, in quanto tali, offensivi della sfera sessuale delle due donne, immediatamente percepiti come tali, come provato dall’immediata rivelazione degli atti subiti ai rispettivi compagni e dalla denuncia avvenuta il giorno successivo (pag. 7 sentenza) – esulano da qualsiasi tecnica di massaggio lecita e decorosa. Alla luce di ciò, l’argomentazione offerta nel provvedimento impugnato si sottrae ad ogni sindacato in questa sede, non dimenticando che in tema di valutazione probatoria delle dichiarazioni rese dalla persona offesa, esse – com’è noto – possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato senza bisogno di riscontri esterni (Sez. U., n. 41461 del 19/07/2012, Rv. 253214).
1.3. Il terzo motivo – relativo all’irregolarità ed inutilizzabilità delle querele è parimenti inammissibile.
Va al riguardo evidenziato che per giurisprudenza pacifica – cui si uniforma legittimamente la Corte d’appello – la mancata nomina di un interprete non è causa d’inutilizzabilità nè di nullità delle dichiarazioni rese da persona alloglotta che non conosca la lingua italiana (Sez. 3, n. 18280 del 13/02/2020, Rv. 279276). A ciò si aggiunga che, poiché non sussiste l’obbligo di nominare un interprete per le persone diverse dall’indagato, non può ravvisarsi alcuna nullità della querela, ostandovi peraltro il principio di tassatività fissato dall’art. 177 c.p.p., nell’ipotesi che essa sia presentata da persona straniera che non conosca perfettamente la lingua italiana ma venga sentita da persona verbalizzante che è in grado di raccoglierne le dichiarazioni (Sez. 3, n. 370 del 23/11/2006, Rv. 235848).
Tanto premesso, nel caso di specie la Corte di merito risulta essersi uniformata a dette regole ermeneutiche laddove ha respinto l’eccezione di inutilizzabilità della querela non ravvisando alcuna causa di nullità o inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dalle persone offese dal momento che, pur non conoscendo la lingua italiana, le stesse furono assistite dall’operante di polizia giudiziaria che mediante traduttore informatico tradusse dalla lingua madre all’italiano per sincerarsi della conformità con quanto verbalizzato e trasfuso nell’atto (pag. 6 sentenza). D’altra parte non risultano, se non quale mera ipotesi difensiva, elementi sintomatici dell’inaffidabilità della traduzione; nè la difesa – al di là dell’utilizzo del termine “lap” su cui già la Corte territoriale si lungamente diffusa è in grado di illustrare in concreto quali siano V., cosicché la
prospettazione, secondo cui le dichiarazioni predibattimentali avrebbero risentito di difficoltà di comprensione e fossero il risultato di fraintendimenti, resta una asserzione difensiva priva di pregio.
2. II ricorso, per tali motivi, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità ”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 3.000,00.
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
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