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30 Aprile 2022LA RESPONSABILITA’ EX ART. 2051 C.C. IN CAPO AL COMMITTENTE NON VIENE MENO CON LA CONSEGNA DELL’IMMOBILE ALL’APPALTATORE PER L’ESECUZIONE DEI LAVORI
Cass. civ., sez. III, ord., 22 aprile 2022, n. 12909
Rilevato che:
con sentenza resa in data 19 giugno 2019, la Corte d’appello di Milano, per quel che ancora rileva in questa sede, ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado aveva condannato, ai sensi dell’art. 2051 c.c., la società “L’Immobiliare di P. (omissis) e C. S.a.s.”, P.E. e la (omissis) S.r.l. in favore della (omissis) S.n.c. e della F.R. S.r.l., dei danni da queste ultime subiti a seguito di incendio sviluppatosi dal tetto del fabbricato ove ricadevano le unità immobiliari dalle stesse condotte in locazione, nel periodo in cui su tale struttura la (omissis) S.r.l. stava eseguendo intervento di manutenzione della guaina impermeabilizzante su incarico delle proprietarie, Immobiliare di P. E. & C. s.a.s. ed P.E.;
avverso tale decisione queste ultime propongono ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resistono la (omissis) S.n.c. e la F.R. S.r.l. depositando controricorsi;
gli altri intimati non svolgono difese nella presente sede;
la trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.;
non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero;
le ricorrenti (previo deposito di atto di costituzione di nuovo procuratore) e la controricorrente F.R. S.r.l. hanno depositato memorie ex art. 380-bis.1 c.p.c..
Considerato che:
con il primo motivo le ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2051 c.c. e dell’art. 115 c.p.c., in relazione alla ritenuta configurabilità in capo ad esse di una responsabilità oggettiva da cose in custodia, ex art. 2051 c.c., e per avere comunque escluso la sussistenza del caso fortuito, rappresentato dalla condotta colposa della appaltatrice, in tesi presumibile considerato che l’evento si era verificato in contemporanea a lavori svolti con l’utilizzo di un bruciatore a gas liquido;
rileva inoltre che non erano contestate le cause dell’incendio e che, pertanto, non avendo la Corte milanese da ciò tratto le dovute conseguenze, la stessa è incorsa anche in violazione della summenzionata norma processuale;
la censura è infondata;
osserva il Collegio come, secondo l’orientamento venutosi consolidando nella giurisprudenza di questa Corte (v. ex aliis Cass. 17/03/2021, n. 7553; 11/06/2021 n. 16609; 04/11/2021, n. 31601; 18/12/2021, n. 41709), la conclusione di un appalto di opere non comporti in alcun modo la perdita della custodia da parte del committente, non essendo in alcun modo sostenibile che la consegna dell’immobile, affinché vi siano eseguiti i lavori, equivalga a un corrispondente “trasferimento” del ruolo di custode verso i terzi, poiché una simile evenienza finirebbe con l’integrare una sorta di esonero contrattuale da responsabilità nei confronti di chi del negozio non è parte;
in breve, varrà ribadire come la conclusione dell’appalto tra due parti non possa giungere a incidere surrettiziamente sulla sfera giuridica del terzo, nel senso di deprivarlo del proprio diritto risarcitorio nei confronti del committente/custode; e d’altronde, nell’appalto d’opere – siano esse pubbliche o private – il committente non può non conservare un rapporto con il bene sul quale (o nel quale) vengono eseguite le opere, poiché l’iniziativa consistente nel disporre l’esecuzione di talune opere sul proprio bene non rappresenta null’altro che l’esercizio di un potere giuridico o di fatto su di esso; se, dunque, rispetto all’appaltatore, il titolare di tale potere è un committente, rispetto ai terzi è un custode: l’autonomia dell’appaltatore rimane un fatto di natura tecnica esclusivamente endocontrattuale, e in relazione agli illeciti extracontrattuali si riverbera sull’art. 2055 c.c., a prescindere dai casi in cui l’appalto sia ab origine concepito alla stregua di un mero schermo, o che comunque, nella fase esecutiva, si sia radicalmente svuotato, ossia a prescindere dai casi in cui il soggetto che realizza l’opera sia un mero nudus minister;
da qui l’affermazione del principio di diritto ai sensi del quale, nei confronti dei terzi danneggiati dall’esecuzione di opere effettuate in forza di in contratto di appalto, il committente è sempre gravato della responsabilità oggettiva di cui all’art. 2051 c.c., la quale non può venir meno per la consegna dell’immobile all’appaltatore ai fini dell’esecuzione delle opere stesse, bensì trova un limite esclusivamente nel ricorso del caso fortuito; il che naturalmente non esclude ulteriori responsabilità ex art. 2043 c.c. del committente e/o dell’appaltatore;
il caso fortuito, poi, non può essere applicato con una modalità peculiare e riduttiva, così da reintrodurre, per altra via, un’abusiva contrattualizzazione della fattispecie: esso non può automaticamente coincidere con l’inadempimento dell’appaltatore agli obblighi contrattualmente assunti nei confronti del committente, non potendosi sminuire il concetto di imprevedibilità/inevitabilità che costituisce la sostanza del caso fortuito previsto dall’art. 2051 c.c. come limite della responsabilità oggettiva ivi configurata;
l’imprevedibilità/inevitabilità, pertanto, non dev’essere degradata a una vuota fictio, bensì afferire a una condotta dell’appaltatore non percepibile in toto dal committente;
ciò posto, una volta che il giudice di merito abbia escluso che il fatto dell’appaltatore abbia assunto quei caratteri di eccezionalità, imprevedibilità e autonoma incidenza causale rispetto all’evento dannoso, tali da integrare il caso fortuito, la contestazione del committente che non discuta i principi di diritto sopra richiamati, deve ritenersi confinata a una mera rilettura nel merito dei fatti di causa;
tanto è quel che accade nella specie avendo la Corte d’appello espressamente escluso l’emergenza di elementi idonei a risalire alle cause dell’incendio, correttamente escludendo, in piena conformità agli esposti principi, che potesse dirsi raggiunta la prova del caso fortuito, il cui onere incombe sul custode;
con il secondo motivo le ricorrenti denunciano, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte d’appello confermato in Euro 325.000 la liquidazione del danno in favore della (omissis) s.n.c. senza detrarre l’importo già incassato dalla danneggiata dalla propria compagnia assicuratrice (omissis);
lamenta che: a) la Corte d’appello non ha neanche affrontato il motivo d’appello; b) la stessa ha fatto confusione tra l’acconto versato da (omissis) quale assicuratrice di (omissis) e quello di Euro 50.000 versato da (omissis)quale assicuratrice di (omissis); c) la motivazione spesa in sentenza ha carattere tautologico (avendo la Corte d’appello ritenuto infondata la doglianza sul rilievo che il tribunale aveva in realtà “tenuto in considerazione l’importo già versato dalla Compagnia”, tanto desumendo dal fatto che la condanna all’importo di Euro 325.000 era in dispositivo seguito dall’inciso “detratta la somma già percepita dalla (omissis)”);
il motivo è inammissibile;
oltre a sovrapporre censure l’un con l’altra incompatibili e in parte anche non riconducibili ai tipizzati vizi cassatori (omessa pronuncia, erronea ricognizione del fatto, motivazione tautologica), il motivo evidentemente non coglie l’effettivo contenuto della statuizione resa sul punto e di essa non si fa carico;
come contraddittoriamente evidenziano le stesse ricorrenti, invero, la Corte d’appello ha esaminato la doglianza in questione, giudicandola “priva di rilievo” perché – è questa in sostanza la motivazione – il dispositivo della sentenza di primo grado è, in punto di quantificazione del danno, esattamente quello che le appellanti indicano come corretto;
la censura, dunque, muove da un fraintendimento della sentenza impugnata (e si risolve dunque in un “non motivo”) ed è comunque inammissibile per carenza di interesse (dal momento che, in buona sostanza, la sentenza d’appello non dice cosa diversa da quella che essa vorrebbe dicesse);
il ricorso deve essere dunque rigettato, con la conseguente condanna delle ricorrenti al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del presente giudizio;
va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna le ricorrenti al pagamento, in favore delle controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida: a) in Euro 8.000 per compensi, in favore della (omissis) s.n.c.; b) in Euro 10.000 per compensi, in favore della F.R. S.r.l.; per entrambe oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
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