10.2.2022 – Corte di Cassazione Civile – Sezione II – Sentenza n. 2226 del 25.1.2022

LA VALUTAZIONE PER LA MANCATA CONFORMITA’ AI CANONI DI INSONORIZZAZIONE DEVE ESSERE EFFETTUATA AVENDO RIGUARDO DEI CANONI TECNICI DISPONIBILI


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Cassazione civile sez. II – 25/01/2022, n. 2226

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto ingiuntivo n. 133 del 2006 il Tribunale di Venezia ingiungeva a B.C. di pagare a favore di J.P. Costruzioni Edili la somma di Euro 82.947,26 oltre accessori, a titolo di residuo corrispettivo del contratto d’appalto avente ad oggetto la ristrutturazione di un complesso immobiliare destinato a residenza turistico alberghiera sito in (OMISSIS).

2. B.C., in proprio e quale legale rappresentante di Diani Beach di B.C. & Company opponeva il decreto. La società assumeva di essere legittimata all’opposizione in quanto soggetto che avrebbe dovuto gestire la residenza turistico alberghiera di proprietà della B.. Nel merito, entrambe le opponenti affermavano l’esistenza di vizi e difetti nell’opera e chiedevano la risoluzione del contratto d’appalto ex art. 1668 c.c. con contestuale condanna dell’appellante alla restituzione di quanto già percepito, oltre al risarcimento del danno derivante dal minor valore dell’immobile per i vizi non rimediabili.

3. Si costituiva la J.P. Costruzioni Edili eccependo il difetto di legittimazione attiva in capo a Diani Beach e la decadenza di B.C. dalla garanzia ex art. 1667 e 1668 c.c. per intervenuta accettazione dell’opera, l’assenza dei vizi e l’assenza dei presupposti per l’applicazione dell’art. 1668 c.c.. La società opposta chiamava in manleva Unipol assicurazioni S.p.A. in caso di accoglimento delle domande formulate dalla controparte. Si costituiva la terza chiamata eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva.

4. All’esito dell’istruttoria il Tribunale di Venezia accoglieva l’opposizione e per l’effetto revocava il decreto ingiuntivo. Preliminarmente dichiarava il difetto di legittimazione attiva di B.C. in qualità di socio accomandatario di Diani Beach; nel merito dichiarava la risoluzione del contratto di appalto concluso tra B.C. e J. P. Costruzioni Edili in data 12 gennaio 2004 per l’inadempimento dell’appaltatore e condannava B.C. alla corresponsione in favore della parte opposta del valore delle opere eseguite, detratti gli acconti versati, per l’importo di Euro 59.641,07, al contempo condannava J.P. Costruzioni Edili in persona del legale rappresentante al risarcimento del danno per perdita di valore dell’immobile in favore dell’attrice opponente, danno liquidato in Euro 185.000 oltre rivalutazione monetaria. Rigettava infine la domanda nei confronti di Unipol assicurazioni proposta dalla J.P. Costruzioni Edili.

5. La J.P. Costruzioni Edili proponeva appello avverso la suddetta sentenza.

6. Si costituiva in giudizio B.C. in proprio e quale legale rappresentante della società Diani Beach di B.C. chiedendo il rigetto dell’appello principale e proponendo appello incidentale quanto al mancato riconoscimento della legittimazione attiva della Diani Beach, avendo la B. sottoscritto il contratto nell’interesse della società quale terzo beneficiario.

6.1 Non veniva proposto appello contro la terza chiamata Unipol assicurazioni la quale rimaneva contumace.

7. La Corte d’Appello accoglieva in parte l’impugnazione e in parziale riforma della sentenza, ferma la revoca del decreto ingiuntivo opposto, condannava B.C. al pagamento a favore della J.P. Costruzioni Edili della minor somma di Euro 59.419,07.

In particolare, secondo la Corte d’Appello, dovevano essere rigettati i motivi relativi all’accettazione dell’opera da parte del committente, essendo i vizi non immediatamente riconoscibili.

Con riferimento al merito della controversia la questione centrale avente priorità logica sulle altre era quella relativa alla discussa applicabilità delle norme sull’isolamento acustico degli ambienti di cui al D.P.C.M. 5 dicembre 1997 con particolare riferimento alle partizioni interne orizzontali e verticali delle residenze turistico alberghiere.

La Corte d’Appello, in particolare, ricostruiva il percorso motivazionale del Tribunale che, conformemente alla consulenza tecnica d’ufficio, aveva ritenuto che l’immobile oggetto del giudizio dovesse considerarsi come unità immobiliare distinta con la conseguente applicabilità alla fattispecie del D.P.C.M. 5 dicembre 1997. Pertanto, secondo quanto accertato dal CTU, l’indice di livello di rumore del calpestio normalizzato dei solai ed il potere fonoisolante delle strutture verticali di partizione non soddisfaceva i requisiti ivi stabiliti.

Secondo la Corte d’Appello, invece, dalla definizione delle residenze turistico alberghiere contenuta nella legge Regione Veneto n. 11 del 2013 si desumeva con chiarezza l’uso turistico-ricettivo svolto da tali residenze, concepite come unità inserite in un contesto più ampio che consentiva di usufruire di alcuni servizi tipici della struttura alberghiera. Tali strutture si caratterizzavano per avere una capacità ricettiva totale o prevalente in unità abitative e un’eventuale capacità ricettiva residuale in camere. Si trattava all’evidenza di strutture ricettive a fini turistico-alberghieri non separabili funzionalmente dall’unità alberghiera, aperte al pubblico, a gestione unitaria, indifferentemente costituite da unità abitative o da camere purché le unità abitative costituissero la prevalenza nell’ambito del complesso turistico. Entrambe le tipologie di alloggio potevano, dunque, coesistere: la camera vera e propria e l’unità abitativa gravitante intorno ad un’unica struttura turistico alberghiera. Secondo la Corte d’Appello tali strutture non potevano essere equiparate a miniappartamenti intesi nella comune accezione del termine per via delle caratteristiche peculiari che le caratterizzavano in senso funzionale e, dunque, non sussisteva in relazione ad esse il presupposto applicativo del D.P.C.M. del 1997 che sorgeva solo in relazione alla necessità di isolare acusticamente strutture immobiliari indipendenti ed autonome. Tali conclusioni portavano a concludere che non sussisteva il lamentato difetto di isolamento acustico dei locali. Di conseguenza doveva essere riformata la sentenza impugnata che aveva dichiarato la risoluzione del contratto d’appalto ai sensi dell’art. 1668 c.c., per violazione dei limiti di cui al D.P.C.M. 5 dicembre 1997. Peraltro, accertate le altre difformità e defalcati i costi, la Corte d’Appello accoglieva l’impugnazione. Riteneva, invece, inammissibile l’appello incidentale non avendo l’appellante esposto alcuna critica ed essendosi limitata a riproporre la propria domanda.

8. B.C. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di tre motivi di ricorso.

9. J.P. Costruzioni Edili ha resistito con controricorso.

10. Con memorie depositate in prossimità dell’udienza camerale ex art. 380 bis 1 c.p.c. entrambe le parti hanno insistito nelle rispettive richieste.

11. All’udienza camerale del 28 maggio 2021 il Collegio ha rimesso la causa alla pubblica udienza;

12. Con avviso notificato alle parti il ricorso è stato trattato in camera di consiglio in base alla disciplina dettata dal D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di conversione n. 176 del 2020, senza la partecipazione delle parti che non hanno fatto richiesta di discussione orale, con adozione della forma di sentenza della decisione, in forza dell’art. 375 c.p.c., u.c.

13. L’Ufficio della Procura Generale ha presentato conclusioni scritte D.L. n. 137 del 2020, ex art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di conversione n. 176 del 2020, chiedendo l’accoglimento del ricorso. 

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione di cui al D.P.C.M. 5 dicembre 1997, artt. 1 e 2 nonché della L. n. 447 del 1995, art. 2, lett. b), nonché degli artt. 1667,1668 c.c. – applicabilità della normativa alla residenza turistico alberghiera – applicabilità del valore limite per isolamento dei solai (da calpestio) e delle partizioni verticali (aereo) -, risoluzione contratto per inadempimento di JP – risarcimento del danno.

La ricorrente evidenzia che, secondo la Corte d’Appello, le residenze turistico alberghiere rappresentano un’unica unità immobiliare, pertanto, il D.P.C.M. del 97 si applica solo per l’isolamento da facciata e non per le partizioni interne non dotate di indipendenza le une dalle altre funzionalmente vincolate a costituire un’unitaria struttura alberghiera.

A parere della ricorrente la Corte avrebbe errato nell’individuazione del presupposto applicativo del decreto che invece riguarda anche gli ambienti interni agli edifici, dovendosi intendere tali gli ambienti abitativi di cui all’art. 2 del D.P.C.M.. Secondo la ricorrente non sussiste un nesso tra la qualifica di residenza turistico alberghiere e l’applicabilità del D.P.C.M. 5 dicembre 1997, essendo dunque erroneo il riferimento alla disciplina di tali strutture. In conclusione, gli appartamenti che costituiscono la residenza turistico-alberghiera rientrano certamente nella definizione di ambiente abitativo, trattandosi di suddivisioni interne dell’edificio destinato funzionalmente alla permanenza di nuclei di persone distinte. Gli appartamenti sono destinati all’utilizzazione da parte di distinti fruitori e sono suscettibili di autonomo godimento e generano autonomo reddito. Il D.P.C.M. deve essere inteso sulla base della finalità concreta del provvedimento ovvero la necessità di tutela degli ambienti abitativi dal rumore prodotto da terzi che sussiste quando il soggetto genera rumore distinto da quello che lo subisce. Pertanto, quantomeno rispetto alle partizioni verticali, le singole partizioni delle residenze turistico alberghiere sono soggette al valore limite di cui al D.P.C.M..

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione di norme di diritto del D.P.C.M. 5 dicembre 1997, artt. 1 e 2 alla fattispecie.

In ogni caso, anche laddove si intendesse aderire alla prospettazione per la quale le residenze turistico alberghiere costituiscono un’unica unità immobiliare, esse dovrebbero soggiacere al valore limite per l’isolamento da calpestio previsto dal D.P.C.M. 5 dicembre 1997, atteso che tale valore non è specificato con l’asterisco nella tabella B allegata al decreto e, pertanto, deve applicarsi anche alle unità immobiliari distinte.

2.1 I primi due motivi, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono fondati.

Al fine di chiarire il contesto normativo nel quale si inserisce il D.P.C.M. 5 dicembre 1997, giova premettere che la L. 26 ottobre 1995, n. 447, art. 3, comma 1, lett. e), (Legge quadro sull’inquinamento acustico), ha attribuito allo Stato la determinazione dei requisiti acustici passivi e di quelli delle sorgenti sonore degli edifici, rinviando la relativa disciplina ad apposito decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.

In ottemperanza a tale disposizione, è stato emanato il D.P.C.M. 5 dicembre 1997, che determina i suddetti requisiti, al fine di ridurre l’esposizione umana al rumore, e prescrive i limiti espressi in decibel che gli edifici costruiti dopo la sua entrata in vigore devono rispettare.

Nella materia in esame è poi intervenuta la direttiva 2002/49/CE, relativa alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale, che è stata recepita con il D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 194 (Attuazione della direttiva 2002/49/CE relativa alla determinazione e alla gestione del rumore ambientale), ed a seguito della scadenza della delega prevista dalla L. 31 ottobre 2003, n. 306, art. 14 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità Europee. Legge comunitaria 2003), la L. 7 luglio 2009, n. 88, art. 11 ha nuovamente delegato il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi al fine di integrare nell’ordinamento la direttiva citata e di assicurare l’omogeneità delle normative di settore. In particolare, la L. n. 88 del 2009, art. 11, comma 5 ha previsto che “in attesa del riordino della materia, la disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti di cui alla L. 26 ottobre 1995, n. 447, art. 3, comma 1, lett. e), non trova applicazione nei rapporti tra privati e, in particolare, nei rapporti tra costruttori-venditori e acquirenti di alloggi sorti successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge”.

E’ intervenuta la L. 4 giugno 2010 n. 96, art. 15, che ha sostituito la disposizione sopra riportata con la seguente: “In attesa dell’emanazione dei decreti legislativi di cui al comma 1, l’art. 3, comma 1, lett. e, L. 26 ottobre 1995 n. 447, si interpreta nel senso che la disciplina relativa ai requisiti acustici passivi degli edifici e dei loro componenti non trova applicazione nei rapporti tra privati e, in particolare, nei rapporti tra costruttori-venditori e acquirenti di alloggi, fermi restando gli effetti derivanti da pronunce giudiziali passate in giudicato e la corretta esecuzione dei lavori a regola d’arte asseverata da un tecnico abilitato”.

Tale ultima disposizione è stata dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza della Corte Costituzionale n. 103 del 2013 perché norma non di mera interpretazione ma dal contenuto profondamente “innovativo”.

Pertanto, nel caso di specie, ratione temporis trova applicazione il D.P.C.M. 5 dicembre 1997 in quanto il contratto stipulato tra le parti è anteriore all’approvazione della L. n. 88 del 2009, art. 11, comma 5, che dispone la non applicabilità del suddetto decreto ai rapporti sorti successivamente alla data di entrata in vigore della medesima L. n. 88 del 2009.

Peraltro, la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che, anche per i rapporti sorti successivamente, il D.P.C.M. può, in ogni caso, essere preso come punto di riferimento per il rispetto delle regole dell’arte nella costruzione degli edifici. Si è detto, infatti, che il D.P.C.M. 5 dicembre 1997, anche se non di immediata vigenza nei rapporti fra privati in favore degli acquirenti, può comunque essere considerato come criterio fattuale di riferimento per determinare lo stato dell’arte esigibile all’epoca di realizzazione del fabbricato al fine di verificare la sussistenza dei gravi difetti di insonorizzazione agli effetti dell’art. 1669 c.c. (Sez. 2, Ordinanza n. 7875 del 2021). In altri termini l’accertamento dell’eventuale responsabilità per un vizio inerente all’isolamento acustico deve essere attuato tenendo conto delle norme tecniche di insonorizzazione degli edifici e dei canoni tecnici sulle sorgenti sonore suggerite dalle ordinarie regole dell’arte tra le quali il suddetto D.P.C.M. può essere preso come modello di riferimento (Sez. 2, Ordinanza n. 21922 del 2021).

Ciò premesso, deve osservarsi che l’art. 2 del D.P.C.M. richiama la nozione di ambienti abitativi fissata dalla L. 26 ottobre 1995, n. 447, art. 2, comma 1, lett. b). Tale ultima diposizione definisce gli ambienti abitativi nel seguente modo: ogni ambiente interno ad un edificio destinato alla permanenza di persone o di comunità ed utilizzato per le diverse attività umane, fatta eccezione per gli ambienti destinati ad attività produttive per i quali resta ferma la disciplina di cui al D.Lgs. 15 agosto 1991, n. 277, salvo per quanto concerne l’immissione di rumore da sorgenti sonore esterne ai locali in cui si svolgono le attività produttive.

Il D.P.C.M. richiama la suddetta definizione e precisa che: ai fini dell’applicazione del decreto, gli ambienti abitativi di cui alla L. 26 ottobre 1995, n. 447, art. 2, comma 1, lett. b), sono distinti nelle categorie indicate nella tabella A allegata al decreto. La tabella A inserisce nella categoria C gli edifici adibiti ad alberghi, pensioni ed attività assimilabili.

La questione posta dal ricorso riguarda l’applicabilità del suddetto D.P.C.M. a tutti gli ambienti abitativi, anche se riferiti ad un’unica unità immobiliare, oppure se nella definizione di unità abitativa si debba tener conto anche dell’unità immobiliare nel quale gli stessi si inseriscono. In particolare, secondo la Corte d’Appello, il D.P.C.M. non si applicherebbe alle strutture alberghiere, in quanto, costituite da un’unica unità immobiliare anche se con una pluralità di ambienti abitativi.

Ritiene il collegio che la tesi secondo la quale alle strutture alberghiere non possa applicarsi il D.P.C.M. 5 dicembre 1997 è destituita di fondamento. Infatti, una tale interpretazione è in contrasto con la lettera del D.P.C.M. e ne determina una sostanziale e integrale disapplicazione nonostante l’esplicito riferimento alle strutture alberghiere nella citata tabella A del D.P.C.M. 5 dicembre 1997 richiamata anche nella tabella B con riferimento a tutte le voci in essa indicate.

Come evidenziato dal Procuratore Generale, ai sensi della definizione di cui alla L. 26 ottobre 1995, n. 447, art. 2,comma 1, lett. b), come sopra riportata, i dodici mini-appartamenti di cui si compone la RTA per cui è causa integrano dodici distinti ambienti abitativi, con la conseguenza che nella fattispecie in esame devono trovare applicazione, oltre ai valori limite per l’isolamento di facciata, anche i valori limite per l’isolamento delle pareti verticali interne e per l’isolamento da calpestio. La sentenza impugnata ha errato nel valorizzare l’unitarietà della struttura alberghiera, in quanto aperta al pubblico e necessariamente dotata di locali comuni per gli ospiti, al fine di escludere la necessità dell’isolamento interno verticale e orizzontale.

Deve, infine, precisarsi che la tabella B allegata al medesimo decreto indica espressamente che il valore Rw è riferito a elementi di separazione tra due distinte unità immobiliari e allo stesso tempo indica che il suddetto valore rw 50 costituisce il limite di riferimento dei requisiti passivi anche per la categoria C della tabella A (ovvero per edifici adibiti ad alberghi, pensioni o attività assimilabili). Ciò deve interpretarsi nel senso che il suddetto valore rw 50 si applica anche agli edifici adibiti a strutture alberghiere come quello in esame ma solo con riferimento agli elementi di separazione di due distinte unità immobiliari e non a tutti gli ambienti interni degli edifici come individuati dalla L. 26 ottobre 1995, n. 447, art. 2, comma 1, lett. b.

In conclusione, spetterà alla Corte d’Appello in sede di rinvio, fare applicazione del D.P.C.M. 5 dicembre 1997 al fine di stabilire la sussistenza o meno del difetto di costruzione dell’edificio e le eventuali conseguenze sul rapporto contrattuale in corso tra le parti.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 1668 c.c. mancato riconoscimento del risarcimento del danno per inadempimento al contratto di appalto e al relativo capitolato.

La censura ha ad oggetto la statuizione della Corte d’Appello che pur riconoscendo altri vizi e difetti dell’opera non ha riconosciuto il relativo risarcimento del danno in capo alla ricorrente soprattutto in relazione all’inadempimento dei punti 25 e 27 del contratto.

3.1 Il terzo motivo è assorbito dall’accoglimento dei primi due.

4. La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione che deciderà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità. 

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione che deciderà anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 16 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2022

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