28.11.2021 – Corte di Cassazione Civile – Sezione VI – Ordinanza n. 35955 del 22.11.2021

APPARTAMENTI: ILLEGITTIMO APRIRE UN ACCESSO ALLE SCALE DIFFERENTE RISPETTO A QUELLO PRINCIPALE

Cassazione civile sez. VI – 22/11/2021, n. 35955

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

D.F.M. ha presentato ricorso articolato in unico motivo avverso la sentenza n. 1503/2018 della Corte d’appello di Palermo, pubblicata il 13 Luglio 2018.

Resiste con controricorso il Condominio (OMISSIS), Palermo.

Il Tribunale di Palermo, con sentenza del 3 marzo 2014, respinse la domanda del Condominio (OMISSIS) volta ad ottenere la condanna del condomino D.F.M. a chiudere l’accesso sul pianerottolo della scala A dell’edificio condominio, con il quale l’appartamento del D.F. condivide un muro perimetrale. Il Condominio aveva dedotto che il fabbricato è composto da due scale, scala A e scala B, che servono distintamente due diversi gruppi di appartamenti, rientrando l’appartamento del D.F. tra quelli serviti dalla scala B. Il Tribunale, qualificata la domanda come negatoria servitutis, ritenne non configurabile una situazione di condominio parziale della scala A e perciò non superata la presunzione di comunione ex art. 1117 c.c., con conseguente legittimità dell’opera realizzata dal D.F..
La Corte d’appello di Palermo ha poi riformato totalmente la sentenza di primo grado, affermando, all’opposto, che la scala A non svolge alcuna funzione di utilità per le unità immobiliari servite dalla scala B, neppure consentendo l’accesso al lastrico solare, né essendo su di essa collocati il vano contatori ed il vano archivio, posti in uno spazio sottostante raggiungibile senza necessità di utilizzare la scala A.

D.F.M. nell’unico motivo di ricorso deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 1117,1118,1119,1123,1124,1131 e 2697 c.c., dell’art. 61disp. att. c.p.c. e dell’art. 115 c.p.c., nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. La censura richiama la giurisprudenza in tema di condominio parziale ed assume che tale situazione può ravvisarsi per le scale solo laddove il complesso immobiliare sia dotato di ingressi autonomi. La Corte d’appello avrebbe omesso di considerare il fatto che il Condominio (OMISSIS) ha un unico portone ingresso, dal quale si accede ad entrambe le scale. Il ricorrente sostiene che i condomini della scala B possono comunque trarre utilità dalla scala A “anche soltanto, ad esempio, al semplice banale scopo di salire e scendere da quella scala per fare un po’ di movimento”. Afferma il ricorrente, pertanto, di essersi legittimamente servito della cosa comune, in relazione all’art. 1122 c.c., visto che il muro perimetrale nel quale è stato aperto il varco è “un muro perimetrale dell’appartamento e non dell’edificio”. Mancherebbe anche la prova della distinta ripartizione delle spese relative alla manutenzione della scala A.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso dovesse essere dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1), il presidente ha fissato l’adunanza della Camera di Consiglio.

Il ricorrente ha presentato memoria.

Il motivo di ricorso è sprovvisto dei caratteri di tassatività e specificità imposti dall’art. 360 c.p.c. e dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, riducendosi ad una critica generica della sentenza impugnata, formulata sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati. Il vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è dedotto mediante l’indicazione di nove disposizioni asseritamente violate, ma mancano specifiche argomentazioni, intese a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbano ritenersi in contrasto con ciascuna delle norme individuate dal ricorrente come regolatrici della fattispecie. D’altro canto, la censura si risolve nell’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, vizio che inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità. Quanto all’invocazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, manca il riferimento all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), atteso che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio in questione qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

La sentenza impugnata ha peraltro deciso la questione di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame del motivo di ricorso non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa, con conseguente inammissibilità del ricorso ex art. 360 bis c.p.c., n. 1 (Cass. Sez. U., 21/03/2017 n. 7155).

La Corte di Palermo ha accertato in fatto che i condomini delle unità immobiliari servite dalla scala B del Condominio (OMISSIS) non traggono alcuna utilità dalla scala A, in quanto essa non consente neppure l’accesso al lastrico solare, al vano contatori ed al vano archivio, svolgendo sul punto un apprezzamento delle risultanze istruttorie espresso in una conseguente motivazione fornita delle argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni della decisione. L’infondatezza in diritto delle censure del ricorrente discende dunque dalle seguenti considerazioni.

Il nesso di condominialità, presupposto dalla regola di attribuzione di cui all’art. 1117 c.c., è ravvisabile in svariate tipologie costruttive, sia estese in senso verticale, sia costituite da corpi di fabbrica adiacenti orizzontalmente, purché le diverse parti siano dotate di strutture portanti e di impianti essenziali comuni, come appunto quelle res che sono esemplificativamente elencate nell’art. 1117 c.c., con la riserva “se il contrario non risulta dal titolo”. E’ dunque agevole ipotizzare come possano esservi, nell’ambito dell’edificio condominiale, delle parti comuni, quali, ad esempio, il tetto, o l’area di- sedime, o i muri maestri, o le scale (e ciò indipendentemente dall’eventuale unicità del portone d’ingresso, come nella specie, in quanto distinta parte comune rispetto alle scale), o l’ascensore, o il cortile, che risultino destinati al servizio o al godimento di una parte soltanto del fabbricato. Secondo la giurisprudenza, è in siffatte ipotesi automaticamente configurabile la fattispecie del condominio parziale “ex lege”: tutte le volte, cioè, in cui un bene, come detto, risulti, per le sue obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato al servizio e/o al godimento, in modo esclusivo, di una parte soltanto dell’edificio in condominio, esso rimane oggetto di un autonomo diritto di proprietà, venendo in tal caso meno il presupposto per il riconoscimento di una contitolarità necessaria di tutti i condomini su quel bene (Cass. Sez. 2, 24/11/2010, n. 23851; Cass. Sez. 2, 17/06/2016, n. 12641; Cass. Sez. 2, 16/01/2020, n. 791). Mancano, quindi, i presupposti per l’attribuzione, ex art. 1117 c.c., della proprietà comune a vantaggio di tutti i partecipanti se le cose, i servizi e gli impianti di uso comune, per oggettivi caratteri materiali, appaiano necessari per l’esistenza o per l’uso, ovvero siano destinati all’uso o al servizio non di tutto l’edificio, ma di una sola parte (o di alcune parti) di esso. Come venne autorevolmente chiarito da Cass. Sez. U, 07/07/1993, n. 7449, in tema di condominio negli edifici, l’individuazione delle parti comuni, risultante dall’art. 1117 c.c. – il quale non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria -, e che può essere superata soltanto dalle opposte risultanze di un determinato titolo, non opera affatto con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari.

E’ agevole da superare l’ulteriore considerazione del ricorrente circa la possibilità che i condomini della scala B utilizzino la scala A ànche soltanto “per fare un po’ di movimento”, in quanto i termini “servire” ed “utilità” adoperati dall’art. 1123 c.c., comma 3, sul quale poggia la figura del cosiddetto condominio parziale, fanno riferimento alla utilizzazione obbiettiva della “res”, e dunque all’utilità prodotta (indipendentemente da qualsiasi attività umana) in favore delle unità immobiliari dall’unione materiale o dalla destinazione funzionale delle cose, degli impianti, dei servizi.

Fraintende tali principi la memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2, presentata dal ricorrente, quando paventa che “le due scale dell’unico edificio” finirebbero così per “costituire due condomini tra loro diversi”, in quanto è appunto conseguenza della disciplina di cui all’art. 1123 c.c., comma 3, non “moltiplicare” i condomini, ma distinguere in rapporto all’utilità tratta dalle parti comuni i gruppi di condomini obbligati a contribuire alle spese e le correlate situazioni di contitolarità.

Così pure infondata è l’obiezione che il varco sarebbe stato aperto in “un muro perimetrale dell’appartamento e non dell’edificio”, in quanto, in un edificio in condominio, le scale oggetto di proprietà comune a norma dell’art. 1117 c.c., n. 1 -, comprendono l’intera relativa “cassa”, di cui costituiscono componenti essenziali ed inscindibili le murature che la delimitano, assolvano o meno le stesse, in tutto o in parte, anche la funzione di pareti delle unità immobiliari di proprietà esclusiva cui si accede tramite le scale stesse (Cass. Sez. 2, 07/05/1997, n. 3968).

Deve dunque affermarsi che è illegittima l’apertura di un varco praticata da un condomino nel muro dell’edificio condominiale al fine di mettere in comunicazione l’appartamento di sua proprietà esclusiva con l’andito di una scala destinata a servire un’altra parte del fabbricato, comportando tale utilizzazione l’imposizione sul bene oggetto di condominio parziale di un peso che dà luogo ad una servitù in favore di una unità immobiliare esterna alla limitata contitolarità di esso, con conseguente alterazione della destinazione della cosa comune (arg. da ultimo da Cass. Sez. 6 – 2, 25/02/2020, n. 5060).

Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile. Le spese del giudizio di cassazione vengono regolate secondo soccombenza, con condanna del ricorrente al rimborso in favore del contro ricorrente.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 10 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2021

Rispondi

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: