29.11.2021 – Corte di Cassazione Civile – Sezione III – Sentenza n. 36645 del 25.11.2021

NEONATO CON SINDROME DI DOWN – NO AL RISARCIMENTO SE MANCA LA PROVA DELLA VOLONTA’ A RICORRERE ALL’ABORTO

Cassazione civile sez. III – 25/11/2021, n. 36645

FATTI DI CAUSA

1. L.S. è stata ricoverata presso la (OMISSIS), dove è stata seguita per il parto e dove è nato il figlio C.A. affetto, tuttavia, da sindrome di Down.
La L., insieme al marito C.R., entrambi in proprio, nonché quali rappresentanti dei minori C.A. e C. hanno agito in giudizio avverso la clinica per ottenere il risarcimento dei danni dovuti a due violazioni imputate alla struttura: quella di non avere informato della possibilità di fare amniocentesi o altro esame in grado di individuare la malattia; quella di non avere prescritto ed effettuato esami diagnostici durante le prime tre settimane di gravidanza, consigliate per gestanti di età avanzata ed utili ad individuare la malattia di cui era affetto il feto.
Il Tribunale ha ritenuto che non fosse adeguatamente provata né l’una né l’altra negligenza ed ha rigettato la domanda.

2. E’ stato proposto appello da tutte le parti soccombenti con un unico motivo che ha nuovamente sottoposto alla corte di secondo grado le due negligenze imputabili alla struttura sanitaria, ma il gravame è stato rigettato sul presupposto che una indagine, fatta nelle prime settimane, non avrebbe consentito di individuare la trisomia ed il morbo di cui era afflitto il feto, secondo quanto stabilito dal CTU, e che, quanto al consenso informato, non v’era prova della volontà di abortire in caso di accertata malformazione.

3. Ricorrono i predetti con due motivi. V’e’ controricorso della (OMISSIS). RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Innanzitutto, è infondata l’eccezione di giudicato interno svolta dalla Fondazione quanto alla legittimazione attiva di C.A. e C., i due figli, nel cui interesse agiscono i genitori.
Vero è che il Tribunale, in primo grado, aveva ritenuto il difetto di legittimazione attiva, ma è altresì vero che i due hanno proposto appello e che in quel giudizio c’e’ stata una pronuncia di merito, di rigetto, della loro domanda, con conseguente implicita decisione sulla legittimazione attiva.

4.1. Nel merito, i ricorrenti fanno due motivi di ricorso, in nessuno dei quali si indicano le norme violate, ma ci si limita a prospettare una “falsa applicazione di norme di diritto”.
Possono essere esaminati insieme, in quanto pongono due questioni simili.
Il primo motivo, infatti, contiene censura della sentenza impugnata sia quanto alla omessa informazione circa la possibilità di una amniocentesi o di altro esame volto ad accertare la malformazione (p. 9) sia la mancanza di prova di esami strumentali nelle prime settimane di gravidanza.
Questa ultima doglianza è ribadita sotto forma di mancata produzione, e dunque prova, di quanto è stato fatto dai sanitari in quelle prime settimane.

5. Entrambi i motivi sono inammissibili.
Invero, sia il Tribunale che la Corte di appello hanno escluso la responsabilità della clinica quanto a questi due aspetti con un giudizio di fatto, qui non censurabile.
Quanto alla mancata effettuazione di esami strumentali, la decisione prende atto delle conclusioni della CTU secondo cui neanche dall’esame morfologico eseguito alla 19^ settimana era dato evincere la malformazione.
Questo giudizio di fatto, oltre che non censurabile qui, non e’, in realtà neanche censurato dai ricorrenti con l’due motivi di ricorso.
Quanto al consenso informato, la corte di merito ha fatto applicazione della regola stabilita dalle sezioni unite di questa Corte secondo cui chi agisce deve dare prova che la gestante, se adeguatamente informata, avrebbe deciso, ricorrendone i presupposti, l’interruzione della gravidanza e che tale prova che può essere ricavata anche mediante presunzioni (Cass. Sez. Un. 25767/ 2015).
E’ però stato accertato, con giudizio di fatto, ossia con valutazione delle prove rimessa alla discrezionalità del giudice, che una simile prova non è stata fornita, ed anzi, secondo la corte di secondo grado, la circostanza non sarebbe stata neanche allegata, nel senso che le parti non hanno neanche fatto cenno alla possibilità di abortire in caso di accertata malformazione.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, risolvendosi in un’istanza di rivalutazione del fatto. 6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 2.000 di cui 200 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dallaL. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1 bis.
In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma delD.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2021

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