CONCESSIONI BALNEARI – UNA TUTELA INDENNITARIA PER I CONCESSIONARIA USCENTE

Il presente elaborato, scritto a quattro mani dall’Avv. Andrea Bellani e dall’Avv. Chiara Sandoli, si pone l’obiettivo di illustrare il quadro normativo e gli sviluppi giurisprudenziali in materia di concessioni di beni marittimi demaniali, fornendo infine un’analisi della disciplina nazionale, comunitaria ed internazionale applicabile al caso di specie al fine di prospettare una tutela indennitaria ai concessionari uscenti a seguito degli ultimi interventi legislativi e delle decisioni giurisprudenziali del Consiglio di Stato con le sentenze n. 17 e 18 del 9.11.2021.

1. Concessioni Demaniali in generale

Le concessioni demaniali sono disciplinate dal codice della navigazione e rientrano nella più ampia materia dell’utilizzazione e gestione del demanio marittimo[1].

La disciplina normativa che regola la materia è stata successivamente devoluta alle amministrazioni regionali di talché si presenta una stratificazione di interventi legislativi nazionali e regionali, ai quali deve aggiungersi il successivo apporto comunitario che ha reso tutto il sistema concessorio ancor più complesso e articolato. 

La questione relativa alla disciplina che regola il sistema delle concessioni balneari è stata altresì oggetto di procedimento di infrazione da parte della Commissione Europea.

1.1. Le concessioni turistico-ricreative nell’ordinamento nazionale

I beni appartenenti al cd. demanio marittimo sono definiti all’art. 822 del Codice civile e ulteriormente specificati all’art. 28 del Codice della navigazione, ai sensi del quale “fanno parte del demanio marittimo: il lido, la spiaggia, i porti, le rade; le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell’anno comunicano liberamente col mare; i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo”[2].

Tali beni, che come è noto ai sensi dell’art. 823 c.c. sono inalienabili, possono tuttavia essere oggetto di diritti a vantaggio di un privato, diritti che vengono costituiti tramite un provvedimento amministrativo, solitamente una concessione, emanato dallo Stato o dall’ente pubblico territoriale proprietario del bene[3]

Il codice della navigazione, all’articolo 36 c. II, ha individuato due differenti tipologie di concessioni[4]

  • Concessioni per licenza: di durata non superiore a quattro anni e relative a impianti di non difficile rimozione
  • Concessioni per atto formale: di durata superiore ai quattro anni e per impianti di difficile rimozione. 

Ad oggi, le concessioni demaniali, prevedono l’affidamento di beni marittimi di proprietà demaniale a soggetti privati verso il pagamento di un canone. I concessionari provvedono quindi all’utilizzo e alla gestione del bene demaniale in maniera imprenditoriale.

Ciò facendo accrescono il bene intrinseco del bene marittimo loro concesso. L’utilità che la società rinviene nel bene non è data dal bene in sé, ma dall’organizzazione e dalla gestione imprenditoriale impressa da chi lo gestisce. 

Conseguentemente al passare degli anni e all’evoluzione della società, talune esigenze di utilizzazione del demanio per i “pubblici usi del mare”, dapprima previste dall’art. 36 codice della navigazione, (difesa militare, pesca, produzione) sono progressivamente venute meno, lasciando lo spazio a nuove ed ulteriori utilizzazioni dei beni demaniali marittimi, connesse a finalità turistiche, sportive, ricreative. 

Ad oggi, oltre alle attività produttive ed ai pubblici servizi, le concessioni marittime possono pertanto essere rilasciate anche per finalità turistico-ricreative, ovvero per le seguenti attività: a) gestione di stabilimenti balneari; b) esercizi di ristorazione e somministrazione di bevande, cibi precotti e generi di monopolio; c) noleggio di imbarcazioni e natanti in genere; d) gestione di strutture ricettive ed attività ricreative e sportive; e) esercizi commerciali; f) servizi di altra natura e conduzione di strutture ad uso abitativo, compatibilmente con le esigenze di utilizzazione di cui alle precedenti categorie di utilizzazione”[5]. 

Il D.L. 400 del 1993, convertito in l. 4 dicembre 1993, n. 494, precisa che “le concessioni di cui al presente articolo possono avere durata superiore a sei anni e comunque non superiore a venti anni in ragione dell’entità e della rilevanza economica delle opere da realizzare e sulla base dei piani di utilizzazione delle aree del demanio marittimo predisposti dalle regioni”[6]. 

In base al D.P.R. 24.7.1977, n. 616, le funzioni amministrative sul demanio costiero, lacuale e fluviale, in relazione ad utilizzazioni aventi finalità turistico-ricreative, sono delegate alle Regioni ed agli altri enti territoriali, ad esclusione dei porti e delle aree di preminente interesse nazionale, quali indicate nel D.P.C.M. 21.12.1995. Inoltre, il d.lgs. 31.12.1998, n. 112 ha attribuito alle Regioni le competenze relative al rilascio di concessioni delle aree demanio marittimo. 

1.2. La Direttiva Bolkestein

Negli ultimi anni la disciplina relativa alle concessioni demaniali marittime, in particolare quelle con finalità turistico-ricreative, è stata oggetto di successivi interventi normativi, dovuti al contrasto tra la normativa nazionale ed i principi comunitari relativi alla libertà di stabilimento ed alla tutela della concorrenza, i quali impongono che il rilascio ed il rinnovo di concessioni demaniali marittime siano preceduti da procedure competitive, tali da assicurare trasparenza, non discriminazione, parità di trattamento, principi invero recepiti e applicati dalla nostra giurisprudenza amministrativa[7]

La direttiva Bolkestein si applica, introdotta con la finalità “di agevolare l’esercizio della libertà di stabilimento dei prestatori nonché la libera circolazione dei servizi, assicurando nel contempo un elevato livello di qualità dei servizi stessi”[8].

Il testo comunitario precisa che la direttiva non si applica a talune attività[9], quali: 

  1. i servizi non economici d’interesse generale; 
  2. i servizi finanziari quali l’attività bancaria, il credito, l’assicurazione e la riassicurazione, le pensioni professionali o individuali, i titoli, gli investimenti, i fondi, i servizi di pagamento e quelli di consulenza nel settore degli investimenti, compresi i servizi di cui all’allegato I della direttiva 2006/48/CE;
  3. i servizi e le reti di comunicazione elettronica nonché le risorse e i servizi associati in relazione alle materie disciplinate dalle direttive 2002/19/CE, 2002/20/CE, 2002/21/CE, 2002/22/CE e 2002/58/CE; 
  4. i servizi nel settore dei trasporti, ivi compresi i servizi portuali, che rientrano nell’ambito di applicazione del titolo V del trattato CE; 
  5. i servizi delle agenzie di lavoro interinale; 
  6. i servizi sanitari, indipendentemente dal fatto che vengano prestati o meno nel quadro di una struttura sanitaria e a prescindere dalle loro modalità di organizzazione e di finanzia- mento sul piano nazionale e dalla loro natura pubblica o privata; 
  7. i servizi audiovisivi, ivi compresi i servizi cinematografici, a prescindere dal modo di produzione, distribuzione e trasmissione, e i servizi radiofonici; 
  8. le attività di azzardo che implicano una posta di valore pecuniario in giochi di fortuna, comprese le lotterie, i giochi d’azzardo nei casinò e le scommesse; 
  9. le attività connesse con l’esercizio di pubblici poteri di cui all’articolo 45 del trattato; 
  10. i servizi sociali riguardanti gli alloggi popolari, l’assistenza all’infanzia e il sostegno alle famiglie ed alle persone temporaneamente o permanentemente in stato di bisogno, forniti dallo Stato, da prestatori incaricati dallo Stato o da associa- zioni caritative riconosciute come tali dallo Stato; 
  11. i servizi privati di sicurezza; 
  12. i servizi forniti da notai e ufficiali giudiziari nominati con atto ufficiale della pubblica amministrazione. 

La direttiva non si applica altresì al settore fiscale. 

La direttiva Bolkestein intende semplificare le procedure amministrative, eliminare l’eccesso di burocrazia e soprattutto evitare le discriminazioni basate sulla nazionalità o per coloro che intendono stabilirsi in un altro paese europeo per prestare dei servizi.

Per raggiungere questi obiettivi propone la creazione di sportelli unici dove i prestatori di servizi possano portare a termine tutte le formalità necessarie, la possibilità di espletare queste procedure via internet, l’eliminazione di requisiti burocratici “inutili”, autorizzazioni discriminatorie e discriminazioni basate sulla nazionalità.

La direttiva adotta il principio del paese di origine, secondo il quale un prestatore di servizi che si sposta in un altro paese europeo deve rispettare la legge del proprio paese di origine. Questo per incoraggiare i prestatori di servizi a spostarsi senza doversi informare su 25 diverse legislazioni nazionali. Il principio del paese d’origine è stato totalmente abbandonato nella versione definitiva della direttiva.

Il principio del paese d’origine riguarda principalmente aspetti legali quali diplomi, regolamenti, necessità di autorizzazioni particolari. Ne è quasi del tutto escluso il diritto al lavoro, che è già regolamentato dalla direttiva 96/71/CE (relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi).

Sono dunque escluse dal principio del paese d’origine tutte le tutele fondamentali dei diritti dei lavoratori, compreso il salario minimo, salute, igiene, sicurezza, diritti delle gestanti e puerpere, diritti di bambini e giovani, parità di trattamento tra uomo e donna, ferie retribuite. Resterebbero soggetti al principio del paese di origine il diritto di sciopero, le condizioni di assunzione e di licenziamento, gli oneri previdenziali.

Esistono anche altre deroghe generali al principio di origine, soprattutto materie regolate a parte da altre norme europee, tra cui le principali sono: i servizi postali; la distribuzione di energia elettrica, gas, acqua; le qualifiche professionali; i diritti d’autore; le ragioni di ordine pubblico, salute o sicurezza. Esistono deroghe transitorie al principio di origine: trasporto di fondi, giochi d’azzardo, recupero giudiziario di crediti. In casi eccezionali, uno stato può applicare deroghe per casi individuali al principio di origine, tra cui le principali sono: esercizio di una professione sanitaria, tutela dell’ordine pubblico.

1.3. I contrasti tra diritto nazionale e diritto comunitario

I contrasti con la normativa comunitaria riguardavano in particolare il cd. “diritto di insistenza”, in base al quale veniva “data preferenza alle precedenti concessioni, già rilasciate, in sede di rinnovo rispetto alle nuove istanze”[10].

Ulteriore contrasto si individua nel sistema di “rinnovo automatico” di cui all’art. 1 c. II, del D.L. n. 400/1993, conv. con mod. dalla l. n. 494/1993[11]. Il testo precisava che le concessioni balneari avevano durata di sei anni ed alla scadenza si rinnovavano automaticamente per altri sei anni, e così “successivamente ad ogni scadenza”.

Prima dell’entrata in vigore della “Direttiva Bolkestein”, la disciplina nazionale prevedeva quindi un particolare trattamento di favore nei confronti dei soggetti già titolari della concessione demaniale in quanto, l’art. 37, c. II, cod. nav., riconosceva loro un diritto di preferenza in sede di rinnovo rispetto alle nuove istanze. In particolare, in presenza di una pluralità di domande di concessioni di beni demaniali marittimi, la disposizione in parola accordava preferenza alle richieste che importassero attrezzature non fisse e completamente amovibili e, in sede di rinnovo, ai titolari delle concessioni già rilasciate.

A questi ultimi, dunque, veniva concesso un diritto di insistenza a discapito di coloro che proponevano per la prima volta una nuova istanza. Accanto all’operatività del diritto di insistenza, l’assetto normativo precedente contemplava anche un regime di rinnovo automatico del titolo concessorio di sei anni in sei anni che, stante il disposto di cui all’art. 3, c. IV bis della legge n. 494/1993 protraeva sine die la durata della concessione, impedendo, di fatto, l’acceso ai nuovi operatori economici proprio in virtù del c.d. diritto di insistenza.

Proprio tale istituto è venuto a porsi in contrasto con la disciplina europea.

Nel 2008, la Commissione Europea, nel verificare il rispetto della Direttiva da parte dello Stato italiano, ha formalmente ammonito l’Italia con la procedura di infrazione n. 2008/4908, intimando la revisione dell’ordinamento giuridico interno al fine di armonizzare le disposizioni normative nazionali ai principi comunitari. È poi seguita una seconda procedura di infrazione comunitaria n. 2010/2734.

La previsione di un sistema di proroga automatica ed apparentemente senza limiti temporali, parallelamente alla necessità di un’apertura del settore, ha comportato l’intervento di diverse Autorità, tra cui l’AGCM, che si sono espresse e schierate a favore di un cambiamento del sistema che comporti una radicale modifica dell’intero regime delle concessioni balneari, mediante l’introduzione di procedure di gara o di evidenza pubblica

Anche la Corte Costituzionale e le Autorità Europee hanno accolto il nuovo indirizzo orientato ad una riforma strutturale delle concessioni balneari, talché si è giunti sino all’apertura di un procedimento di infrazione da parte della Commissione Europea nei confronti del Governo Italiana per la violazione della direttiva 2006/123/CE relativa i servizi nel mercato interno (Direttiva Bolkestein).

L’attenzione della Commissione, l’istituzione europea preposta al controllo sul rispetto del diritto dell’Unione Europea da parte degli Stati Membri, si è concentrata in particolar modo sull’esame dell’art. 37 del Codice della Navigazione che contrasterebbe con il principio sancito dall’art. 49 TFUE. Il sistema delle concessioni balneari ora vigente in Italia violerebbe la libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato Membro nel territorio di un altro Stato Membro.

Il diritto di insistenza, concedendo una preferenza al concessionario uscente, configura secondo la Commissione una restrizione alla libertà di stabilimento comportando in particolare una discriminazione in base al luogo di stabilimento, contraria all’art. 43 del Trattato.

1.4. Le procedure di infrazione e le modifiche normative

Nonostante il progressivo ridimensionamento dell’operatività del diritto di insistenza ad opera della giurisprudenza amministrativa, prima dell’entrat in vigore del recepimento della Direttiva Bolkestein, la Commissione Europea, con lettera inviata al governo italiano datata 29.1.2009, avviava la procedura di infrazione n. 4908/2008 nei confronti dell’Italia, ritenendo tale diritto di insistenza incompatibile con le norme in materia di libertà di stabilimento di cui all’art. 49 TFUE[12]

La Commissione ha ricordato che le persone giuridiche devono poter esercitare la libertà di stabilimento “senza essere soggette all’applicazione di norme nazionali che non rispettano il principio della parità di trattamento. […] Le misure discriminatorie sono giustificate soltanto in base a una delle deroghe previste dagli articoli 45 e 46 del trattato CE [corrispondenti agli attuali artt. 51 e 52 TFUE], peraltro nel rispetto del principio di proporzionalità”

La Commissione ha affermato che le condizioni di rilascio delle concessioni previste dall’art. 37 Cod. nav., sebbene applicabili indistintamente a tutte le imprese italiane o straniere, favorivano l’attribuzione delle concessioni del demanio alle società che disponevano già di una concessione e che, di conseguenza, erano già stabilite sul territorio nazionale. Secondo la Commissione le norme che conferiscono una preferenza al concessionario uscente, configurano restrizioni alla libertà di stabilimento e comportano in particolare discriminazioni in base al luogo di stabilimento, contrarie all’art. 43 del Trattato.

La Commissione ha rilevato che le disposizioni italiane in esame “snaturano la procedura di selezione provocando la rottura della parità di trattamento dei diversi operatori economici e, nella pratica, rendono estremamente difficile, se non impossibile, l’accesso di qualsiasi altro concorrente a dette concessioni. Tali disposizioni sono quindi tali da dissuadere altre imprese dal candidarsi e dall’offrire servizi più efficienti per le nuove concessioni, o addirittura da impedirlo”.

Rilevata in tal modo l’incompatibilità dell’art. 37, comma 2, secondo periodo, Cod. nav. con l’art. 49 TFUE, la Commissione è quindi passata a considerare se la predetta restrizione alla libertà di stabilimento potesse essere considerata giustificata in quanto necessaria e proporzionata per il raggiungimento delle finalità riconosciute quali valido motivo di deroga ai sensi degli artt. 51 e 52 TFUE. 

Pronunciandosi su questo aspetto sulla base degli elementi valutativi in quel momento disponibili, la Commissione ha escluso che il “principio di preferenza nei confronti delle imprese italiane” potesse ritenersi giustificato ai sensi degli artt. 51 o 52 TFUE. Quanto all’art. 51 TFUE (concernente le attività che partecipano all’esercizio dei pubblici poteri), la Commissione ha ricordato che detta deroga “va ristretta alle attività che, considerate di per sé, costituiscono una partecipazione diretta e specifica all’esercizio dei pubblici poteri” proseguendo “cosa che non avviene nel caso dello sfruttamento del demanio marittimo in oggetto”. Inoltre, con riferimento all’art. 52 TFUE (che contempla le deroghe alla libertà di stabilimento per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica), la Commissione ha affermato che “nessun elemento giustifica nel presente caso il ricorso ai motivi previsti dall’articolo 52” posto che la risposta fornita dal Governo italiano nel corso della procedura non era stata in grado di dimostrare che le norme nazionali controverse fossero necessarie al fine di porre rimedio ad “una minaccia effettiva ed abbastanza grave per uno degli interessi fondamentali della collettività”

Su tali basi, dunque, con la lettera di messa in mora del 29 gennaio 2009 la Commissione europea è giunta alla conclusione che l’Italia, adottando gli art. 37, comma 2, secondo periodo, Cod. nav. fosse venuta meno agli obblighi su di essa incombenti in forza dell’art. 49 TFUE, ed ha invitato il Governo italiano a fornire le proprie osservazioni al riguardo nel termine di due mesi. 

Successivamente, la Commissione europea, con nota del 4 agosto 2009, indirizzata al Dipartimento delle politiche comunitarie presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, nel richiamare anche la direttiva 2006/123/CE del 12 dicembre 2006, ha invitato l’Italia a far conoscere il calendario relativo all’adozione degli atti indispensabili ad uniformare l’ordinamento nazionale a quello comunitario.

Il Governo, nelle more della rivisitazione complessiva del quadro normativo ha provveduto a delineare le tempistiche per una conformazione del diritto nazionale rispetto quanto previsto dal diritto comunitario. 

Prima del recepimento della direttiva comunitaria, il legislatore italiano provvedeva pertanto ad abrogare, mediante l’art. 1, c. XXIIX, D.L. 30.12.2009, n. 194, convertito con modificazioni dalla L. 26.2.2010, n. 25, il diritto di insistenza, incompatibile con le procedure concorrenziali previste dal diritto dell’Unione, prevedendo allo stesso tempo la proroga delle concessioni in corso dapprima sino al 31.12.2015[13]

Successivamente, con la L. n. 25/2010 il legislatore aggiungeva una disposizione che richiamava, e di fatto reintegrando nell’ordinamento nazionale le disposizioni di cui all’art. 3, c. IV bis, D.L. n. 400/1993, richiamanti a loro volta l’art. 1, c. II, D.L. n. 400/1993, contenente la norma sul rinnovo automatico[14]

L’introduzione di tale disposizione comportava il nuovo intervento della Commissione Europea che, con lettera del 5.5.2010 a corredo della già avviata messa in mora, contestava ancora una volta il contrasto della disciplina nazionale con la direttiva Bolkestein, nel frattempo recepita con D. Lgs. n. 59 del 2010. 

Solo con l’art. 11 della L. Comunitaria n. 217 del 2011, il legislatore ha eliminato ogni riferimento al rinnovo automatico, facendo però salvo il termine di proroga sino al 2015. Il comma II del medesimo articolo delegava il governo all’adozione di un decreto legislativo contenente “la revisione e il riordino della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime”. 

Veniva con ciò archiviata la procedura di infrazione. 

1.5. Il recepimento della Direttiva Bolkestein

L’ordinamento italiano ha recepito la Direttiva Bolkestein con il D. Lgs. 59 del 2010. 

È fondamentale premettere che ai fini del testo normativo, la locuzione “autorizzazione” deve essere interpretata altresì come comprensiva della locuzione “concessione”, come anche affermato dalle sentenze della Corte di Giustizia.

L’articolo 15 del testo di recepimento la Direttiva sancisce che “Ove sia previsto un regime autorizzatorio, le condizioni alle quali è subordinato l’accesso e l’esercizio alle attività di servizi sono: a) non discriminatorie; b) giustificate da un motivo imperativo di interesse generale; c) commisurate all’obiettivo di interesse generale; d) chiare ed inequivocabili; e) oggettive; f) rese pubbliche preventivamente; g) trasparenti e accessibili”[15].

E ancora l’articolo 16 prosegue “Nelle ipotesi in cui il numero di titoli autorizzatoli disponibili per una determinata attività di servizi sia limitato per ragioni correlate alla scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche disponibili, le autorità competenti applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali ed assicurano la predeterminazione e la pubblicazione, nelle forme previste dai propri ordinamenti, dei criteri e delle modalità atti ad assicurarne l’imparzialità, cui le stesse devono attenersi” [16]. Concludendo al terzo comma “L’effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti relativi al rilascio del titolo autorizzatorio”[17].

Con ciò sancendo la necessità di modificare l’attuale sistema di rilascio delle concessioni demaniali, favorendo l’introduzione di un sistema fondato sulla predisposizione di bandi ad evidenza pubblica che individuino presupposti, requisiti e qualità del soggetto richiedente, oltre eventuali investimenti e migliorie che devono essere apportate al bene dal concessionario entrante. 

La disposizione che segna un rinnovamento radicale della disciplina è rappresentata dall’art. 16 c. IV che elimina il sistema di rinnovo automatico delle concessioni, sino a quel momento caposaldo della normativa[18]

1.6. Le proroghe ex lege 

Se da un lato la L. Comunitaria n. 27 del 2012 ha definitivamente risolto la problematica relativa al diritto di insistenza e al rinnovo automatico delle concessioni, dall’altro occorre rilevare come la stessa legge abbia avviato un sistema di proroghe ex lege conclusosi solo grazie all’intervento del Consiglio di Stato con le sentenze gemelle n. 17 e 18 del 9.11.2021.

La prima proroga, fino al 31 dicembre 2015, fu disposta dall’art. 1, c. XXIIX, D.L. n. 194 del 2009, convertito con modificazione in legge 26 febbraio 2010, n. 25. Il termine del 31 dicembre 2015 fu successivamente prorogato sino al 31 dicembre 2020 per effetto della successiva legge 24 dicembre 2012, n. 228, e, infine, approssimandosi la scadenza del 31 dicembre 2020, l’art. 1, commi 682 e 683 della legge di bilancio per l’anno 2019 ha disposto l’ulteriore proroga fino al 31 dicembre 2033[19].

1.7. Il nuovo intervento della Commissione Europea

Come già accaduto nel 2008, lo stato italiano è nuovamente oggetto di una procedura di infrazione da parte della Commissione Europea. L’organo esecutivo dell’Unione Europea ritiene che le disposizioni dell’ordinamento nazionale in merito al rilascio di autorizzazioni relative all’uso del demanio marittimo per il turismo balneare e i servizi ricreativi, a seguito degli ultimi interventi di proroga sino al 2033 delle concessioni già rilasciate, contrastino con il diritto comunitario.

La Commissione osserva che gli Stati membri sono tenuti a garantire che le autorizzazioni, il cui numero sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali, siano rilasciate per un periodo limitato e mediante una procedura di selezione aperta, pubblica e basata su criteri non discriminatori, trasparenti e oggettivi. L’obiettivo è fornire a tutti i prestatori di servizi interessati la possibilità di competere per l’accesso a tali risorse limitate, di promuovere l’innovazione e la concorrenza leale e offrire vantaggi ai consumatori e alle imprese, proteggendo nel contempo i cittadini dal rischio di monopolizzazione di tali risorse. 

La Commissione[20] evidenzia come la Corte di Giustizia, con la sentenza “Promoimpresa” (cause riunite C-458/14 e C-67/15) del 14 luglio 2016, abbia stabilito che la normativa pertinente e la pratica esistente a quel tempo in Italia di prorogare automaticamente le autorizzazioni vigenti delle concessioni balneari erano incompatibili con il diritto dell’Unione. L’Italia non ha attuato la sentenza della Corte. Da allora è intervenuta un’ulteriore proroga delle concessioni vigenti fino alla fine del 2033, con divieto alle autorità locali di avviare o proseguire procedimenti pubblici di selezione per l’assegnazione di concessioni, che altrimenti sarebbero scadute, violando così il diritto dell’Unione. 

La Commissione ritiene dunque che la normativa italiana, oltre a essere incompatibile con il diritto dell’UE, sia in contrasto con la sostanza della sentenza della Corte di Giustizia e crei incertezza giuridica per i servizi turistici balneari, scoraggi gli investimenti in un settore fondamentale per l’economia italiana e già duramente colpito dalla pandemia da coronavirus, causando nel contempo una perdita di reddito potenzialmente significativa per le autorità locali italiane[21].

1.8. L’intervento del Legislatore

A seguito delle sentenze gemelle del Consiglio di Stato n. 17 e 18 del 9.11.2021, il Governo ha intenzione di determinare le modalità di assegnazione delle Concessioni Balneari che saranno necessariamente oggetto di gare pubbliche entro e non oltre il 31 dicembre 2023. Entro il primo giorno dell’anno 2024, le concessioni dovranno già essere assegnate ad un nuovo concessionario, sia esso un privato oppure la pubblica amministrazione.

Il governo, con un emendamento, ha previsto che il disegno di legge in materia di concorrenza preveda una delega allo stesso Esecutivo che dovrà provvedere, nel termine di 6 mesi, a disciplinare l’intera materia secondo le disposizioni comunitarie della Direttiva Bolkestein. Il comunicato stampa del Consiglio dei Ministri riunitosi martedì 15 febbraio 2022 così recita 

“Proposta emendativa al disegno di legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021 (A.S. 2469) in materia di concessioni demaniali marittime. Il Consiglio dei ministri ha approvato l’emendamento al disegno di legge concorrenza relativo alle modalità di affidamento delle concessioni demaniali.  La proposta di modifica mira a migliorare la qualità dei servizi con conseguente beneficio per i consumatori, a valorizzare i beni demaniali e, al contempo, a dare certezze al settore.  Il testo prevede che le concessioni in essere continuano ad avere efficacia fino al 31 dicembre 2023.  Per assicurare un più razionale e sostenibile utilizzo del demanio marittimo, favorirne la pubblica fruizione e promuovere, in coerenza con la normativa europea, un maggiore dinamismo concorrenziale nel settore, il Governo è delegato ad adottare entro sei mesi dall’entrata in vigore del Disegno di legge Concorrenza, decreti legislativi aventi la finalità di aprire il settore alla concorrenza, nel contempo tenendo in adeguata considerazione le peculiarità del settore.”

2. La Giurisprudenza 

2.1. I Tar successivi alla prima proroga

Successivamente alla chiusura della procedura di infrazione, abrogate quindi le disposizioni al diritto di insistenza ed al rinnovo automatico, la conclusione della “faccenda concessioni balneari” era ancora lontana (e lo è tutt’oggi) dalla risoluzione. Le concessioni sono state infatti prorogate dapprima al 2015, successivamente 2020 ed ora sino al 2033, quest’ultima proroga è venuta meno a seguito delle sentenze gemelle del Consiglio di Stato n. 17 e 18 del 9.11.2021. 

Le proroghe, come vedremo, hanno sollevato problemi di compatibilità con il diritto comunitario che sono stati devoluti dapprima alle corti regionali e successivamente alle corti europee. L’oggetto dei numerosi ricorsi all’autorità giudiziaria competente si individua nella disparità di trattamento tra i concessionari uscenti ed i concessionari subentranti.

Secondo un primo orientamento, la proroga sino al 2015 deve ritenersi valida, avendo carattere transitorio al fine di consentire al legislatore di riorganizzare la materia delle concessioni marittime[22]. Le corti regionali ribadiscono la legittimità della proroga, precisando che non deve ritenersi in contrasto con la dir. 2006/123/CE, dato il suo carattere transitorio, finalizzato a consentire il completamento degli ammortamenti. Orientamento dapprima avvalorato anche dal consiglio di Stato[23]

Per quanto riguarda la seconda proroga, sino al 2020, il Tribunale Amministrativo Liguria ritiene la proroga quale “disciplina eccezionale posta in essere dal legislatore allo scopo di tutelare gli interessi dei concessionari nelle more dell’adeguamento della normativa nazionale ai principi di matrice europea”[24]. Mentre il TAR Molise ritiene che “tale conclusione non potrebbe certo resistere a fronte di ulteriori modifiche legislative che introducessero proroghe ulteriori, le quali, di fatto, eliminerebbero il connotato di provvisorietà della disciplina in questione, reintroducendo surrettiziamente il diritto di insistenza dei concessionari in violazione del principio di concorrenza”[25].

Il secondo orientamento della giurisprudenza amministrativa, poi divenuto prevalente, ha invece messo in luce l’effettivo contrasto e l’incompatibilità tra la proroga ex lege delle concessioni marittime ed i principi comunitari contenuti nel TFUE. 

Diversi Tribunali Amministrativi Regionali hanno ritenuto le proroghe legislative del 2015 e del 2020 in contrasto con i principi comunitari, in quanto escludono il confronto competitivo tra operatori e continuano “a consentire e riconoscere un sostanziale “diritto di insistenza” sulle concessioni demaniali marittime in essere”[26].

Tali ultime decisioni amministrative hanno rimesso alla Corte di giustizia UE la questione pregiudiziale, ritenendo entrambe le proroghe ex lege in contrasto con i principi di libertà stabilimento nonché con la direttiva servizi. 

2.2. La Corte di Giustizia: la sentenza “Promoimpresa”

Con la sentenza della Corte di Giustizia dell’unione Europea del 14 luglio 2016[27], il giudice comunitario ha statuito che le concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative vadano annoverate tra le autorizzazioni all’esercizio di attività economiche.

Le domande di pronuncia pregiudiziale[28] vertono sull’interpretazione dell’articolo 12 della direttiva 2006/123/CE[29] del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (GU 2006, L 376, pag. 36), nonché degli articoli 49[30], 56[31] e 106[32] TFUE.

Tali domande sono state presentate nell’ambito di due controversie: nella prima (causa C-458/14) la Promoimpresa Srl si contrappone al Consorzio dei Comuni della Sponda Bresciana del Lago di Garda e del Lago di Idro (Italia) (in prosieguo: il «Consorzio») e alla Regione Lombardia (Italia) in merito, in primo luogo, alla decisione del Consorzio di negare alla Promoimpresa il rinnovo di una concessione di cui essa beneficiava ai fini dello sfruttamento di un’area demaniale e, in secondo luogo, alla decisione della Giunta Regionale Lombardia di assoggettare l’attribuzione delle concessioni demaniali a una procedura di selezione comparativa; nella seconda controversia (causa C-67/15) il sig. Mario Melis e a. si contrappongono al Comune di Loiri Porto San Paolo (Italia) (in prosieguo: il «Comune») e alla Provincia di Olbia Tempio (Italia) in merito a decisioni relative all’approvazione del piano di utilizzo del litorale e all’attribuzione di concessioni di beni del demanio marittimo nonché a misure con cui la polizia municipale ha ordinato al sig. Melis e a. di rimuovere talune attrezzature dal demanio marittimo.

Premesso che spetta al giudice nazionale stabilire se l’articolo 12, comma 1, della suddetta direttiva si applichi alle concessioni marittime balneari e lacuali, cosicché dette concessioni abbiano ad oggetto un numero limitato di autorizzazioni per via della scarsità delle risorse naturali, la Corte ha affermato che il rilascio di tali concessioni deve comunque essere soggetto a una procedura di selezione tra i candidati potenziali che presenti tutte le garanzie di imparzialità e di trasparenza, ed in particolare un’adeguata pubblicità. 

Nonostante le eccezioni opposte dal Governo italiano circa l’esigenza di una proroga automatica delle autorizzazioni al fine di tutelare il legittimo affidamento dei titolari delle autorizzazioni, in un’ottica di “ammortamento” degli investimenti iniziali da loro effettuati, la Corte sottolinea come una sorta di diritto ad un legittimo ed automatico rinnovo delle autorizzazioni/concessioni richiederebbe, caso per caso, una verifica dei requisiti che giustifichino concretamente l’affidamento del concessionario. Per di più, se le concessioni che presentano un interesse transfrontaliero certo (così come presente nella causa C-458/14, tenuto conto della situazione geografica del bene e del valore economico di tale concessione) sono state assegnate dalle autorità pubbliche in spregio ad una procedura di trasparenza ad un’impresa con sede nello Stato membro dell’amministrazione aggiudicatrice, costituendo una disparità di trattamento a danno di imprese con sede in un altro Stato membro che potrebbero essere interessate alla suddetta concessione, nonché una violazione dell’articolo 49 TFUE.

Ciò in quanto le concessioni demaniali, secondo la Corte di Giustizia, “costituiscono atti formali, qualunque sia la loro qualificazione nel diritto nazionale, che i prestatori devono ottenere dalle autorità nazionali al fine di poter esercitare la loro attività economica”[33].

Ai punti 52-56, la Corte di Giustizia affronta la questione della tutela del legittimo affidamento dei concessionari.

Premette il Giudice eurounitario che il legislatore dell’Unione ha previsto che, in seno alle procedure selettive, è possibile tener conto di considerazioni legate a motivi imperativi di interesse generale, limitatamente alla fase di selezione dei candidati. Invero, una giustificazione fondata sul principio della tutela del legittimo affidamento richiede una valutazione caso per caso che consenta di dimostrare che il titolare dell’autorizzazione poteva legittimamente aspettarsi il rinnovo della propria autorizzazione e ha effettuato i relativi investimenti. Dunque, tale giustificazione non può essere invocata validamente a sostegno di una proroga automatica istituita dal legislatore nazionale e applicata indiscriminatamente a tutte le autorizzazioni in questione.

Ai punti 58-74 della sent. Promoimpresa viene poi affrontata la questione della compatibilità della proroga ex lege al 2020 con il diritto primario dell’Unione e cioè con gli artt. 49, 56 e 106 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea. Si tratta in particolare dei principi di libertà di stabilimento (art. 49 TFUE ex articolo 43 del TCE), libertà di prestazione dei servizi (art. 56 TFUE ex articolo 49 del TCE), parità di trattamento e divieto di discriminazione in base alla nazionalità (artt. 49 e 56 TFUE), trasparenza e non discriminazione (art. 106 TFUE ex articolo 86 del TCE).

In particolare, la Corte ribadisce che “qualora siffatta concessione presenti un interesse transfrontaliero certo, la sua assegnazione in totale assenza di trasparenza ad un’impresa con sede nello Stato membro dell’amministrazione aggiudicatrice costituisce una disparità di trattamento a danno di imprese con sede in un altro Stato membro che potrebbero essere interessate alla suddetta concessione. Una siffatta disparità di trattamento è, in linea di principio, vietata dall’articolo 49 TFUE[34]”.

2.3. Il consiglio di Stato – Le “Sentenze gemelle” 9 novembre 2021

Le due decisioni[35], denominate poi Sentenze Gemelle, sono molto articolate ma, allo stesso tempo, in grado di fornire una chiara riposta ai quesiti posti dal Consiglio di Stato e, più in generale, dalla giurisprudenza. In particolare, vengono deferiti all’Adunanza Plenaria due ricorsi in appello[36] su controversie concernenti il rigetto di istanze di proroga di concessioni ma le cui decisioni di primo grado avevano avuto esiti diametralmente opposti.

Le pronunce in esame muovono da una valutazione preliminare: verificare se effettivamente la nuova normativa nazionale sia o meno incompatibile con i principi europei.

Le questioni di diritto rinviate dal Presidente del Consiglio di Stato all’Adunanza sono le seguenti:

“1) se sia doverosa, o no, la disapplicazione, da parte della Repubblica Italiana, delle leggi statali o regionali che prevedano proroghe automatiche e generalizzate delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative; in particolare, se, per l’apparato amministrativo e per i funzionari dello Stato membro sussista, o no, l’obbligo di disapplicare la norma nazionale confliggente col diritto dell’Unione europea e se detto obbligo, qualora sussistente, si estenda a tutte le articolazioni dello Stato membro, compresi gli enti territoriali, gli enti pubblici in genere e i soggetti ad essi equiparati, nonché se, nel caso di direttiva self-excuting, l’attività interpretativa prodromica al rilievo del conflitto e all‘accertamento dell’efficacia della fonte sia riservata unicamente agli organi della giurisdizione nazionale o spetti anche agli organi di amministrazione attiva” e

“2) nel caso di risposta affermativa al precedente quesito, se, in adempimento del predetto obbligo disapplicativo, l’amministrazione dello Stato membro sia tenuta all’annullamento d’ufficio del provvedimento emanato in contrasto con la normativa dell’Unione europea o, comunque, al suo riesame ai sensi e per gli effetti dell’art. 21-octies della legge n. 241 del 1990 e s.m.i., nonché se, e in quali casi, la circostanza che sul provvedimento sia intervenuto un giudicato favorevole costituisca ostacolo all’annullamento d’ufficio;

3) se, con riferimento alla moratoria introdotta dall’art. 182, comma 2, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, come modificato dalla legge di conversione 17 luglio 2020, n. 77, qualora la predetta moratoria non risulti inapplicabile per contrasto col diritto dell’Unione europea, debbano intendersi quali «aree oggetto di concessione alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto» anche le aree soggette a concessione scaduta al momento dell’entrata in vigore della moratoria, ma il cui termine rientri nel disposto dell’art. 1, commi 682 e seguenti, della legge 30 dicembre 2018, n. 145”

Come si è già detto, la questione era stata sottoposta al vaglio dalla Corte di giustizia U.E. con la sentenza 14 luglio 2016, in cause riunite C-458/14 e C-67/15, Promoimpresa, la quale ha affermato, in sintesi, i seguenti principi:

a) l’articolo 12, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, deve essere interpretato nel senso che essa osta a una misura nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che prevede la proroga automatica delle autorizzazioni demaniali marittime e lacuali in essere per attività turistico‑ricreative, in assenza di qualsiasi procedura di selezione tra i potenziali candidati;

b) l’articolo 49 TFUE deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella di cui ai procedimenti principali, che consente una proroga automatica delle concessioni demaniali pubbliche in essere per attività turistico‑ricreative, nei limiti in cui tali concessioni presentano un interesse transfrontaliero certo;

L’Adunanza plenaria afferma sin da subito che deve essere ribadito il principio secondo cui il diritto dell’Unione impone che il rilascio o il rinnovo delle concessioni demaniali marittime (o lacuali o fluviali) avvenga all’esito di una procedura di evidenza pubblica, con conseguente incompatibilità della disciplina nazionale che prevede la proroga automatica ex lege fino al 31 dicembre 2033 delle concessioni in essere. 

Dunque, la normativa nazionale contrasta tanto l’art. 49 TFUE quanto l’art 12 della Direttiva Servizi.

Le Sentenze in questione evidenziano tre questioni principali di fondamentale e di primaria evidenza:

1) la sussistenza di un “interesse transfrontaliero certo”;

2) qualificazione di questo settore come risorsa scarsa;

3) valutare se i principi affermati nella direttiva Bolkestein possano essere estesi anche alle concessioni demaniali.

Le prime due questioni vengono risolte affermando che in merito alle concessioni demaniali marittime, non si può negare né l’interesse transfrontaliero certo né la scarsità della risorsa: numeri alla mano è evidente che in virtù dell’introito generato da questo settore e visto il chilometraggio di spiaggia e la percentuale di concessioni instaurate, esse possiedano entrambi i presupposti richiesti dalla direttiva Bolkestein.

Motivazione per cui la “questione italiana” diverge dalla medesima che vede come protagonisti gli stati di Spagna e Portogallo, le cui coste non sono caratterizzate da percentuali di concessioni balneari neanche lontanamente paragonabili a quella italiana.

In particolare l’Adunanza plenaria evidenzia che “a causa del ridotto canone versato all’Amministrazione concedente, il concessionario ha già la possibilità di ricavare, tramite una semplice sub-concessione, un prezzo più elevato rispetto al canone concessorio, che riflette il reale valore economico e l’effettiva valenza turistica del bene.”; inoltre “in molte Regioni è previsto un limite quantitativo massimo di costa che può essere oggetto di concessione, che nella maggior parte dei casi coincide con la percentuale già assentita”.  

Già queste considerazioni traducono in termini economici un dato di oggettiva e comune evidenza, legata alla eccezionale capacità attrattiva che da sempre esercita il patrimonio costiero nazionale, il quale per conformazione, ubicazione geografica, condizioni climatiche e vocazione turistica è certamente oggetto di interesse transfrontaliero, esercitando una indiscutibile capacità attrattiva verso le imprese di altri Stati membri.

Per quanto riguarda il terzo quesito, ovvero la valutazione circa la possibile estensione alle concessioni balneari dei principi contenuti nella direttiva Bolkestein, l’Adunanza plenaria procede all’esame delle singole argomentazioni contrarie.

In primo luogo, evidenzia che l’obiettivo della direttiva non era (e non è) quello di “armonizzare” le discipline nazionali che prevedono ostacoli alla libera circolazione, ma, appunto, eliminare tali ostacoli (attraverso lo smantellamento, più che l’armonizzazione, delle leggi nazionali che ad essi forniscono una copertura normativa), al fine di realizzare un’effettiva concorrenza fra i prestatori dei servizi.

Secondariamente, quanto all’ambito di applicazione dell’art 12, afferma che “nella misura in cui pretende una procedura di gara trasparente ed imparziale per il rilascio di autorizzazioni in caso di scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, è norma volta a disciplinare il mercato interno in termini generali, applicandosi quindi a tutti i settori salvo quelli esclusi dall’ambito di applicabilità della medesima direttiva”.

Inoltre, la tutela della concorrenza (e l’obbligo di evidenza pubblica che esso implica) è una “materia” trasversale, che attraversa anche quei settori in cui l’Unione europea è priva di ogni tipo di competenza o ha solo una competenza di “sostegno”.

Quanto all’eccezione che sottolinea la necessità di distinguere tra il concetto di concessioni (atto con effetti costitutivi/traslativi che attribuisce un diritto nuovo su un’area demaniale) e autorizzazione (atto che si limita a rimuovere un limite all’esercizio di un diritto preesistente), il Consiglio di Stato ritiene che tale distinzione giuridico-formale debba essere rivista in chiave funzionale, guardando all’effetto economico del provvedimento. 

In merito alla disappliacabilità del diritto interno in favore di quello comunitario il Consiglio di Stato fa un passo oltre statuendo che anche l’Amministrazione stessa può disapplicare la normativa interna qualora in maniera palese ed evidente fosse contraria alla giurisprudenza europea, ribandendo il principio di disapplicazione finalizzato a garantire l’effettività della supremazia del diritto europeo su quello nazionale. 

Le ultime righe delle pronunce in esame guardano al futuro della disciplina delle concessioni in Italia. 

A parere dell’Adunanza Plenaria, anzitutto occorre statuire una ricorrenza: il Consiglio di Stato, consapevole di aver affermato dei principi importanti che hanno un impatto di una certa gravosità dal punto di vista socio-economico, modula gli effetti della propria pronuncia posticipando la decadenza delle concessioni balneari in essere al 31 dicembre 2023, anche qualora dovessero intervenire proroghe da parte del governo, che dovranno considerarsi tamquam non esset.

In secondo luogo, viene acclarato il diritto dei concessionari uscenti che hanno affrontato spese ed investimenti in ragione del provvedimento concessorio in loro possesso ad essere indennizzati.

Infine, per quanto riguarda la regolazione delle procedure di gara, l’Adunanza Plenaria individua una serie di principi in merito alla durata della concessione e all’eventuale diritto a concedere una seppur minima preferenza al concessionario uscente in virtù del know how e dell’esperienza specifica richiesta dal settore.  

La durata andrebbe infatti commisurata “al valore della concessione e alla sua complessità organizzativa e non dovrebbe eccedere il periodo di tempo ragionevolmente necessario al recupero degli investimenti, insieme ad una remunerazione del capitale investito o, per converso, laddove ciò determini una durata eccessiva, si potrà prevedere una scadenza anticipata ponendo a base d’asta il valore, al momento della gara, degli investimenti già effettuati dal concessionario.”

Mentre, quanto al secondo aspetto, si afferma che “i criteri di selezione dovrebbero dunque riguardare la capacità tecnica, professionale, finanziaria ed economica degli operatori, essere collegati all’oggetto del contratto e figurare nei documenti di gara. Nell’ambito della valutazione della capacità tecnica e professionale potranno, tuttavia, essere individuati criteri che, nel rispetto della par condicio, consentano anche di valorizzare l’esperienza professionale e il know-how acquisito da chi ha già svolto attività di gestione di beni analoghi (e, quindi, anche del concessionario uscente, ma a parità di condizioni con gli altri), anche tenendo conto della capacità di interazione del progetto con il complessivo sistema turistico-ricettivo del territorio locale; anche tale valorizzazione, peraltro, non potrà tradursi in una sorta di sostanziale preclusione all’accesso al settore di nuovi operatori”.

2.4. Il Tar Toscana 

All’interno del panorama giurisprudenziale assume particolare rilevanza la sentenza con il quale il TAR Toscana decideva circa la richiesta di accertamento della proprietà superficiaria sui manufatti costruiti insistenti sulla proprietà demaniale, ovvero sull’arenile e circa la richiesta di accertamento del diritto all’indennizzo derivante dalla perdita “delle utilità economiche tutte correlate alla titolarità della concessione demaniale marittima che saranno ex lege perdute allo spirare del periodo transitorio ex art. 1, comma 18, D.L. n. 194 del 2009 conv. in L. n. 25 del 2010 e succ. mod.. e integrazioni comprensive del valore delle opere immobiliari insistenti sulle relative concessioni demaniali nonché dell’avviamento e della proprietà commerciale delle relative aziende balneari”, avanzata dai titolari di concessioni balneari.

La causa viene instaurata a seguito dell’apertura della procedura di infrazione n. 2008/4908 da parte della Commissione Europea nei confronti della Repubblica Italiana, che ha poi condotto all’entrata in vigore del D.L. n. 194 del 2009, conv. in L. 26 febbraio 2010, n. 25, che ha abrogato l’art. 37 secondo comma secondo periodo Codice della Navigazione in adeguamento ai principi comunitari espressi nella direttiva Bolkstein del 2006, per cui le concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative, rilasciate anteriormente al 31.12.2009, dovranno essere sottoposte a procedure concorrenziali al momento della loro scadenza e che, per gli effetti dei provvedimenti normativi suindicati, è stato disposto il rinnovo in via transitoria delle concessioni fino al 31.12.2015, termine ulteriormente prorogato, dall’art. 34-duodecies D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. in L. 17 dicembre 2012, n. 221, fino al 31.12.2020, alla scadenza delle quali troverà applicazione l’art. 49 Codice della Navigazione.

Le società hanno promosso un giudizio civile dinnanzi al competente Tribunale di Firenze con atto di citazione notificato in data 21.9.2015, pertanto prima dell’ulteriore proroga ex lege sino al 31.12.2033 intervenuta nelle more del procedimento.

L’applicazione dell’art. 49 Codice della Navigazione avrebbe comportato la perdita di tutte le utilità economiche, materiali ed immateriali, inerenti le singole attività d’impresa, conseguentemente trasferite nella disponibilità dello Stato e successivamente ai terzi. Per tale ragione si giustifica la richiesta di un indennizzo.

Le attrici, nell’atto di citazione, facevano presente che il regime di cui al D.L. n. 194 del 2009, conv. in L. n. 25 del 2010, era stato sottoposto all’esame della Corte di Giustizia U.E., a seguito di rinvii pregiudiziali effettuati dal Tar Lombardia (causa c.d. Promoimpresa C-485/14) e dal Tar Sardegna (cd. causa Melis C- 67/15), al fine di verificarne la compatibilità con il diritto comunitario (desumibili dagli artt. 49 e 56 TFUE e dalla sentenza Laezza) e con l’art. 117 Cost. in relazione all’art. 1 del Primo Protocollo Addizionale alla Convenzione per la Salvaguardia dei diritti Dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, come interpretato dalla Corte EDU. Richiamavano inoltre la possibilità del giudice di disapplicare l’art. 49 Codice della Navigazione (in contrasto con la normativa comunitaria come interpretata dalle Corti Sovranazionali) o, in ipotesi, di ritenere giustificate ragioni per investire in via pregiudiziale la Corte di Giustizia U.E. ex art. 267 TFUE. 

“Le attrici fondavano l’asserita sussistenza del diritto di “proprietà superficiaria” sui beni inamovibili realizzati su aree demaniali marittime (e del conseguente diritto all’indennizzo allo spirare del termine del periodo transitorio) per aver esercitato la facoltà di sfruttare il bene demaniale loro concesso proprio per l’esercizio dell’impresa balneare e sulla scorta della possibilità di scindere in orizzontale l’assetto dominicale, per cui si perpetuava il diritto di proprietà in capo allo Stato per il bene demaniale – arenile – in questione, mentre per i manufatti ivi insistenti era venuto in essere il diritto superficiario in capo al concessionario, sia pure avente natura temporanea e soggetto ad una peculiare regolazione in ordine al momento della sua modificazione o cessazione o estinzione. Escludevano, altresì, che i manufatti potessero essere considerati delle pertinenze demaniali marittime, in assenza dei presupposti di cui all’art. 29 del cod. nav., e inoltre escludevano che si potesse verificare l’accessione gratuita in favore dello Stato ex art. 49 cod. nav. dei detti beni legittimamente dalle stesse realizzati in costanza di rapporto concessorio”[37].

Dopo che il Tribunale di Firenze dichiarava la propria incompatibilità in favore del Tribunale Amministrativo, le società hanno proposto ricorso al TAR Toscana per sentire pronunciare sentenza sulle medesime conclusioni già presentate in sede civile. 

Essendo la scadenza delle concessioni prorogata ulteriormente sino al 31.12.2033 per effetto dell’art. 1, c. 682, della legge n. 145/2018, il TAR ha rilevato la carenza di interesse legittimo in quanto “l’azione di accertamento non può prescindere dall’esistenza di un pregiudizio attuale del diritto, pregiudizio che, nel caso di specie, non può verificarsi prima della cessazione delle concessioni demaniali di cui le ricorrenti sono attualmente titolari”.
Essendo le domande delle ricorrenti inevitabilmente ed inscindibilmente legate all’esercizio futuro ed eventuale di poteri dell’amministrazione concedente, manca il presupposto della sussistenza di un interesse attuale e concreto che assurga a giustificazione del gravame 

Il ricorso è stato pertanto dichiarato inammissibile, in quanto al momento della pronuncia l’Amministrazione non ha adottato un provvedimento di revoca o decadenza.

3. La natura del bene demaniale marittimo oggetto della concessione

Prima di individuare le fonti giuridiche, nazionali e internazionali, sulla base delle quali è possibile ricavare il principio cardine per la richiesta allo stato, da parte del concessionario uscente, dell’indennizzo conseguente alla scadenza della concessione; appare necessario determinare la natura del bene demaniale marittimo.

Onorevole dottrina[38] differenzia i beni appartenenti al demanio marittimo rispetto ai beni oggetto di concessione di produzione. In questo ultimo caso ciò che rileva “non è il bene in sé, quanto l’uso del bene a fini produttivi”. La concessione di produzione presuppone che l’utilità del concessionario derivi dalla produzione industriale derivante dall’attività costituita e/o installata sul bene stesso.

La concessione di beni appartenenti al demanio marittimo, che interessa ai fini del presente studio, costituisce una vera e propria concessione di beni intesi alla stregua della delimitazione spaziale entro la quale il concessionario avvia la propria attività di impresa. Prosegue la citata dottrina sancendo che il pubblico interesse “attiene all’esserci di queste attività dei privati, non alle attività in quanto tali”.

La differenza sostanziale tra le due tipologie appena esplicate si rinviene nel fatto che le prime presuppongo una determinata attività industriale, alla quale viene destinato il bene concesso (es. cava o miniera), mentre per le seconde non rileva la tipologia dell’attività alla quale il bene viene destinato, in quanto qualsiasi destinazione prescelta dal concessionario viene ritenuta dall’Amministrazione Pubblica quale esplicazione dell’interesse pubblico generale.

A tale conclusione è pervenuta anche la suprema giurisprudenza amministrativa con la sentenza del Consiglio di Stato Sezione VI n. 2620 del 2014 che, nell’escludere l’applicabilità del rito abbreviato degli appalti alle aste per l’affidamento in concessione di beni del demanio marittimo, ha osservato come, mediante tali procedure di gara, l’Amministrazione persegue il fine di affidare in concessione la superficie demaniale, non ricorrendo invece un’ipotesi di acquisizione di lavori e servizi da parte della stessa Amministrazione

E ancora, l’anno successivo, facendo proprio l’orientamento appena riportato del consiglio di Stato, in materia di contratti pubblici, il giudice della regione Toscana ha affermato come le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 163/2006 non si applichino “alle procedure ad evidenza pubblica riguardanti le concessioni demaniali marittime, le quali rientrano nella categoria dei contratti attivi, avendo come causa giuridica l’uso particolare di un’area demaniale dietro pagamento di un canone di concessione”[39]. In conclusione, nella medesima sentenza si legge che le concessioni demaniali marittime “restano regolate dalla disciplina speciale data dal codice della navigazione, dal relativo regolamento e dalle altre norme di legge relative al regime delle stesse concessioni”

Il principio sotteso alle predette decisioni amministrative si individua nel diritto per il concessionario di godere, in via esclusiva, di un bene dello Stato, che viene così trasferito da un uso generale ad uno speciale, individuando in ciò la causa giuridica del rapporto concessorio.

Si instaura pertanto un rapporto obbligatorio tra concessionario e Stato. Tale rapporto individua obbligazioni corrispettive in cui lo l’Ente Pubblico mette a disposizione del privato un bene (demaniale) e gli concede la facoltà di goderne come meglio ritiene, in via esclusiva e senza vincoli, con il solo limite temporale della durata della concessione. Dal canto suo, il privato concessionario si impegna al pagamento di un canone a titolo di corrispettivo.

La Corte di Giustizia rinviene una riconducibilità della causa del rapporto di concessione del bene demaniale marittimo con il contratto di locazione di cui al diritto civile. L’aspetto comune tra concessione e “locazione di un bene immobile, consiste nel mettere a disposizione una superficie, specificamente una parte del demanio marittimo, dietro corrispettivo, garantendo all’altra parte contrattuale il diritto di occuparlo e di utilizzarlo e di escludere le altre persone dal godimento di un tale diritto”[40] . Sostanzialmente la Corte di Giustizia riconosce la facoltà del concessionario di godere di un bene, in cambio del corrispettivo di un canone, in qualità di unico titolare del diritto. 

La stessa Unione Europea specifica il contenuto del diritto conseguente alla conclusione di contratti di concessione di beni demaniali con la Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 2 del 26.2.2014 stabilendo al Considerando 14 come le autorizzazioni e le licenze con cui l’Autorità Pubblica stabilisce le condizioni per l’esercizio di un’attività economica rientrino nell’oggetto della Direttiva n. 2006/12/CE e come “taluni accordi aventi per oggetto il diritto di un operatore economico di gestir e determinati beni o risorse del demanio pubblico, in regime di diritto privato o pubblico, quali terreni o qualsiasi proprietà pubblica, in particolare nel settore dei porti marittimi o interni o degli aeroporti, mediante i quali lo Stato oppure l’amministrazione aggiudicatrice o l’ente aggiudicatore fissa unicamente le condizioni generali d’uso senza acquisire lavori o servizi specifici, non dovrebbero configurarsi come concessioni ai sensi della presente direttiva. Ciò vale di norma per i contratti di locazione di beni o terreni di natura pubblica che generalmente contengono i termini che regolano la presa di possesso da parte del conduttore, la destinazione d’uso del bene immobile, gli obblighi del locatore e del conduttore per quanto riguarda la manutenzione del bene immobile, la durata della locazione e la restituzione del possesso del bene immobile al locatore, il canone e le spese accessorie a carico del conduttore”[41].

La lettura congiunta dei citati punti della Direttiva n. 2014/23/UE rimarcano una netta distinzione tra le autorizzazioni all’esercizio di servizio e i titoli di godimento di un bene demaniale. Se i secondi fossero stati assimilabili ai primi, il considerando 15 non avrebbe avuto ragione di essere formulato. 

3.1. Il diritto all’indennizzo per il concessionario uscente 

3.1.1. Il diritto nazionale: la proprietà superficiaria 

Il diritto del concessionario di beni demaniali sulle opere costruite è qualificabile in termini di proprietà superficiaria. La giurisprudenza ha affrontato, nel corso degli anni, la questione relativa alla natura del diritto del concessionario sul bene edificato su proprietà statale, giungendo sino ad adire la Corte Costituzionale che ha sancito il principio secondo cui, sino alla data di decadenza, scadenza o revoca della concessione, il bene edificato è di proprietà del concessionario[42]

La stessa Corte Costituzionale, nella medesima pronuncia afferma che “la stessa giurisprudenza del Consiglio di Stato ha riconosciuto che «non tutti i manufatti insistenti su aree demaniali partecipano della natura pubblica – e dell’inerente qualificazione demaniale – della titolarità del sedime, poiché solo ad alcuni, nella stessa dizione della legge, appartiene la natura pertinenziale. Per gli altri (che la legge indica come impianti di difficile o non difficile rimozione: definizione che appare inadatta a stabilire una differenza di categoria, dato che anche gli immobili pertinenziali sono o possono essere, di per sé, rimovibili con facilità o con difficoltà) si deve allora riconoscere, per esclusione, la qualificazione di cose immobili di proprietà privata fino a tutta la durata della concessione, evidentemente in forza di un implicito diritto di superficie”[43].

Il corretto inquadramento del diritto soggettivo facente capo ai titolari di concessioni di beni demaniali marittimi, ai fini dell’ordinamento nazionale, muove dall’articolo 952 codice civile[44]. Si assiste pertanto ad una scissione della proprietà del suolo dalla proprietà di ciò che viene edificato al di sopra di esso. Il diritto del superficiario è un vero e proprio diritto di proprietà. Il diritto derivante dalla costruzione di un manufatto superficiario, e quindi il diritto sulla costruzione stessa, è imprescrittibile. 

Posto il diritto di proprietà del concessionario che ha edificato sulla superficie del bene demaniale marittimo oggetto del rapporto concessorio, occorre determinarne il valore. A tale esigenza ha dato risposta granitica la giurisprudenza della Corte di Cassazione. La suprema Corte di merito afferma innanzitutto che il diritto appena individuato ha contenuto economicamente valutabile a prescindere dal suo esercizio, rimesso alla volontà del superficiario: il rapporto tende alla formazione di un diritto di proprietà a vantaggio del concessionario su quella che sarà la costruzione. Il diritto di superficie di cui sono titolari i concessionari viene considerato, infatti, come diritto soggettivo a natura reale (con obblighi accessori) di godimento su suolo altrui[45]

Con successiva sentenza, la medesima Corte di Cassazione determina la natura del diritto di superficie quando questi sia conferito da un ente pubblico. In questo caso, facendo espresso riferimento al conferimento del diritto di superficie su un bene appartenente al patrimonio o su di un bene demaniale (come nel caso che ci compete) specificando che l’atto faccia sorgere un vero e proprio diritto soggettivo[46]

Quanto al testo normativo di riferimento in materia di concessioni di beni marittimi demaniali, il Codice della Navigazione (R.D. 27 del 1942), appare chiaro come alle concessioni demaniali marittime per la gestione di stabilimenti balneari debba essere riconosciuto un carattere “reale”. Da ciò discende che il concessionario, non solo è proprietario e titolare dell’azienda costituita ed avviata al di sopra del bene demaniale, ma è altresì titolare del diritto soggettivo di proprietà di tutti i fabbricati edificati al di sopra del suolo, spazialmente identificato dalla concessione. 

Tale conclusione è altresì confermata dalla Corte di Cassazione, secondo la quale “invero, in caso di stabilimento balneare che incide su area demaniale si deve distinguere fra la concessione della mera disponibilità dell’area da quella che comporta (come dedotto nel caso in specie) la collocazione di opere stabili. In questo secondo caso la posizione del concessionario è assimilabile ad un diritto di proprietà con conseguente applicazione dell’ICI. Si veda in proposito la sentenza 1718 del 26 gennaio 2007 secondo cui il diritto del concessionario di uno stabilimento balneare, il quale abbia ottenuto, nell’ambito della concessione demaniale, anche il riconoscimento della facoltà di edificare e mantenere sulla spiaggia una costruzione, più o meno stabile, e consistente in vere e proprie strutture edilizie o assimilate (sale ristoranti, locali d’intrattenimento o da ballo, caffè, spogliatoi muniti di servizi igienici e docce, etc.), integra una vera e propria proprietà superficiaria, sia pure avente natura temporanea e soggetta ad una peculiare regolazione in ordine al momento della sua modificazione, cessazione o estinzione (decisione in materia di assoggettamento dell’atto con cui il diritto venga alienato ad INVIM)”[47]

L’acquisizione della proprietà superficiaria ex art. 952 c.c. è stata da ultimo riconosciuta dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato in una controversia nella quale l’Amministrazione Pubblica chiedeva che, a seguito dell’edificazione di un manufatto sul bene demaniale in forza di regolare atto di concessione di bene marittimo demaniale, venissero ricalcolati i canoni alla stessa dovuti dal concessionario a seguito della edificazione di un manufatto inamovibile. Rigettando la richiesta della Pubblica Amministrazione, che già si riteneva proprietaria dell’edificato manufatto a seguito del rinnovo della concessione, ha stabilito che il principio dell’accessione gratuita, fortemente penalizzante per il diritto dei superficiari e per gli investimenti, dovrebbe ritenersi riferito all’effettiva cessazione e non alla mera scadenza del rapporto concessorio, in relazione all’esigenza di assicurare che le opere “non amovibili”, destinate a restare sul territorio o ad essere rimosse con inevitabile distruzione, siano nella piena disponibilità dell’ente proprietario dell’area, ai fini di una sua corretta gestione per prevalenti finalità di interesse pubblico” ed infine sancendo che “le opere realizzate dai concessionari sulla superficie demaniale sono, ai sensi dell’art. 952 c.c., d’esclusiva proprietà privata c.d. superficiaria fino al momento dell’effettiva scadenza o revoca anticipata della concessione”[48].

3.1.2. Il diritto internazionale

Posto quanto rilevato nel paragrafo precedente, appare opportuno verificare e analizzare quanto determinato dalla giurisprudenza internazionale alla luce dei testi normativi comunitari. 

Il principio cardine si rinviene nell’articolo 17 della Carta di Nizza[49], la quale costituisce una fonte europea superiore di inevitabile applicazione ogniqualvolta la tutela del diritto di proprietà, da intendersi nella nozione convenzionale di tale termine come derivante dalla elaborazione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, riferita all’art. 1 del 1° protocollo addizionale della CEDU, entri in conflitto con l’attuazione del diritto comunitario.  

Il principio è fatto proprio dall’Unione Europea che lo richiama espressamente nel testo elaborato dalla Direttiva Servizi, si riporta “la presente direttiva rispetta l’esercizio dei diritti fondamentali applicabili negli Stati membri quali riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e nelle relative spiegazioni, armonizzandoli con le libertà fondamentali di cui agli articoli 43 e 49 del trattato”.[50] L’Unione Europea impone l’applicazione e l’interpretazione della Direttiva Servizi conformemente ai principi e diritti riconosciuti dalla Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea e dalle singole Carte Costituzionali degli Stati Membri.

Alla luce del contenuto dell’art. 17 della Carta di Nizza, l’oggetto del diritto di proprietà non può essere costituito dai soli beni materiali, dovendo essere ricompresi anche tutti quelli immateriali derivanti dalle “utilità” del rapporto concessorio e quindi la “proprietà commerciale”. Il titolare della concessione di un bene marittimo demaniale sul quale è stata avviata un’attività commerciale deve pertanto ritenersi titolare di un diritto di proprietà della stessa azienda creata sul bene, oggetto di protezione da parte della CEDU. Anche la Corte Costituzionale è intervenuta al riguardo, precisando quanto segue “A proposito della nozione di «bene», ai sensi dell’art. 1 del Protocollo addizionale alla CEDU, la giurisprudenza della Corte EDU – alla quale hanno fatto riferimento anche il rimettente e gli intervenienti funzionari del Ministero della giustizia – è costante nell’affermare che essa può comprendere sia «beni attuali» sia valori patrimoniali in virtù dei quali il ricorrente può pretendere di avere almeno una «aspettativa legittima» («ésperance légitime» in francese e «legitimate expectation» in inglese) di ottenere il godimento effettivo di un diritto di proprietà (Grande Camera, sentenza 7 febbraio 2013, Fabris contro Francia, e sentenza 28 settembre 2004, Kopecky contro Slovacchia; in senso conforme, tra le tante, sezione seconda, sentenza 23 settembre 2014, Valle Pierimpiè Società agricola s.p.a. contro Italia, e sentenza 18 maggio 2010, Plalam s.p.a. contro Italia). Non può, all’opposto, essere considerata un «bene» la mera «speranza» («espoir» in francese e «hope» in inglese) di vedersi riconosciuto un diritto di proprietà che si è nell’impossibilità di esercitare effettivamente (Grande Camera, decisione 2 marzo 2005, Von Maltzan e altri contro Germania e sentenza 28 settembre 2004, Kopecky contro Slovacchia; in senso conforme, sezione seconda, sentenza 23 settembre 2014, Valle Pierimpiè Società agricola s.p.a. contro Italia)”[51].

La Corte Costituzionale richiama un procedente della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Valle Pierimpiè Soc. Agricola S.p.a c. Italia) che ha evidenziato come “la notion de «biens» évoquée à la première partie de l’article 1 du Protocole no 1 a une portée autonome qui ne se limite pas à la propriété de biens corporels et qui est indépendante des qualifications formelles du droit interne: certains autres droits et intérêts constituant des actifs peuvent aussi passer pour des «droits patrimoniaux» et donc des «biens» aux fins de cette disposition”ovvero che la nozione di bene di cui alla prima parte dell’articolo 1 Protocollo n. 1 ha una portata che trascende dal concetto di materialità. E ancora, la stessa Corte Europea sancisce “la notion de «biens» peut recouvrir tant des «biens actuels» que des valeurs patrimoniales, y compris des créances, en vertu desquelles le requérant peut prétendre avoir au moins une «espérance légitime» d’obtenir la jouissance effective d’un droit de propriété”. Affinché rilevi l’espérance légitime ai fini della CEDU è sufficiente che si fondi su un “base suffisante en droit interne” e quindi che “l’espérance légitime de pouvoir continuer à jouir du bien doit reposer sur une «base suffisante en droit interne», par exemple lorsqu’elle est confirmée par une jurisprudence bien établie des tribunaux ou lorsqu’elle est fondée sur une disposition législative ou sur un acte légal concernant l’intérêt patrimonial en question”[52].

L’interesse legittimo è pertanto ritenuto sufficiente dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per l’ottenimento di un ristoro qualora lo stesso sia leso, la perdita di un’aspettativa viene tutelata dal diritto sovrannazionale della CEDU. Quanto al caso di specie, il titolare di una concessione avente ad oggetto un bene marittimo demaniale sul quale lo stesso titolare ha avviato un’attività commerciale (stabilimento balneare) è titolare di un interesse legittimo che deve trovare riconoscimento e tutela dal diritto nazionale ed internazionale.

L’interesse legittimo del titolare di una concessione, avente ad oggetto un bene marittimo demaniale, deve essere individuato nell’aspettativa di godere del bene demaniale e a mantenere nel corso degli anni la gestione dell’impresa avviata. L’aspettativa in questione si fondava, dapprima nel diritto di insistenza (ora abrogato), successivamente nei ripetuti interventi legislativi di proroga automatica del termine, da ultimo il rinnovo al 2033 ex L. n. 145 del 30.12.2018 (Legge di bilancio per l’anno 2019). Sino alle sentenze gemelle n. 17 e 18 del Consiglio di Stato del 9.11.2021, i concessionari godevano di un’aspettativa legittima di durata delle concessioni demaniali e, consequenzialmente, del diritto soggettivo di proprietà dei manufatti ivi edificati. Artefice di tale interesse legittimo è pertanto lo Stato italiano che, per opera del legislatore, ha instaurato nei concessionari l’aspettativa di una durata concessoria protratta ancora per diversi anni.

3.2. L’illegittimità costituzionale dell’art. 49 Codice della Navigazione

L’art. 49 del Codice della Navigazione sancisce, al termine del periodo previsto dall’atto amministrativo di concessione del bene demaniale, la devoluzione allo stato delle opere inamovibili edificate al di sopra del bene ovvero la rimozione delle stesse, in ogni caso senza il riconoscimento di alcun indennizzo per il concessionario uscente[53]. Tale disposizione determinerebbe l’acquisizione da parte dello Stato, non solo del bene immobile edificato sopra di esso, ma altresì dell’attività commerciale avviata dal concessionario, privandolo della proprietà commerciale da essa derivante. Una tale interpretazione comporterebbe che l’applicazione alle concessioni demaniali marittime della Direttiva Servizi in combinato disposto con l’appena citato art. 49 Codice della Navigazione veda nei concessionari uscenti i soggetti penalizzati. Ciò determinerebbe, infatti, la circolazione forzosa senza indennizzo di aziende e di diritti reali superficiari dal patrimonio dei concessionari uscenti al patrimonio di quelli subentranti, con una perdita economica dei primi e un ingiustificato arricchimento da parte dei secondi. Unitamente ai beni immobili circoleranno inoltre anche beni immateriali, quali l’avviamento commerciale, la cui titolarità non può che essere del concessionario uscente.

Fortunatamente l’art.49 Codice della Navigazione non può e non deve essere applicato in tali termini. L’applicazione del combinato disposto come appena esplicitato sarebbe indubbiamente contrastante con i principi affermati dalla Carta di Nizza e dall’articolo 1 del 1° protocollo addizionale della CEDU. L’applicazione delle disposizioni normative in questi termini, comporterebbe per i concessionari uscenti, uno spoglio della proprietà materiale e immateriale e quindi una lesione del legittimo affidamento fondante su una disposizione normativa, citando la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo “sur une disposition législative ou sur un acte légal”[54]. Richiamando quanto appena esposto nel punto 3.2., l’aspettativa legittima dei concessionari balneari rientra a pieno titolo nella nozione europea di proprietà. Senza dimenticare che oltre ad un’aspettativa legittima, i titolari di una concessione di un bene marittimo demaniale sono titolari di un diritto soggettivo di proprietà superficiaria oltreché della proprietà commerciale. 

La disposizione di cui all’art. 49 del Codice della Navigazione è ritenuta, dallo stesso Consiglio di Stato, una previsione “fortemente penalizzante per il diritto dei superficiari e per gli investimenti che potrebbero contribuire alla valorizzazione del demanio marittimo”[55], e non dovrà trovare applicazione né in caso di scadenza della concessione né in caso di effettiva cessazione del rapporto concessorio in quanto incostituzionale.

L’incostituzionalità dell’art. 49 deriverebbe dal contrasto con l’art. 42 della Costituzione[56], alla luce anche degli interventi comunitari di cui all’art.1 del 1° protocollo addizionale alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dall’art.17 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea. Le due disposizioni ora richiamate, grazie al meccanismo di riconoscimento ex art. 117 della Costituzione[57], devono essere considerate quali norme di rango costituzionale e, in caso di conflitto con le stesse disposizioni costituzione, ad esse deve essere riconosciuta diretta applicabilità all’interno dell’ordinamento nazionale. 

In forza di tale tesi, il cui principio di diritto è avvalorato da numerose sentenze della Corte Costituzionale[58], l’ordinamento costituzionale italiano al fine di riconoscere e tutelare diritti soggettivi di proprietà, deve avere riferimento non solo delle disposizioni di diritto interno, ma anche delle disposizioni di diritto internazionale e comunitario. A differenza della Costituzione italiana, la quale si occupa del diritto di proprietà in relazione ai Rapporti Economici, l’art.17 della Carta di Nizza riconosce la proprietà tra i Diritti di Libertà, estendendone di fatto la portata.

 La nozione di proprietà, alla stregua dell’interpretazione comunitaria, ricomprende tutto ciò che costituisce il patrimonio di beni del privato, e quindi anche la proprietà commerciale, e l’avviamento economico. L’elaborato della Carta di Nizza del 2000 è la codificazione conseguente alle precedenti decisioni della Corte di Giustizia, la quale già ha avuto modo di esprimersi su una questione relativa al diritto di proprietà per certi versi assimilabile al caso di specie ed in particolare si riporta “una disciplina comunitaria che avesse per effetto di spogliare l’affittuario, alla scadenza del contratto di affitto, del futuro del proprio lavoro o degli investimenti effettuati nell’azienda affittata, senza indennizzo, sarebbe in contrasto con le esigenze inerenti alla tutela dei diritti fondamentali nell’ordinamento giuridico comunitario”[59]. Prosegue, e conclude, la Corte di Giustizia sancendo senza spazio di equivoci che gli Stati Membri sono tenuti a dare attuazione dei vincoli comunitari.

L’importanza fondamentale di tale sentenza, esplicativa del diritto europeo, sancisce come il depauperamento al patrimonio del concessionario uscente, che conseguirebbe alla perdita ed al subentro di terzi nella titolarità del compendio aziendale, non potrebbe che essere indennizzato. Agli occhi dello scrivente appare limpida l’applicabilità del medesimo principio di diritto al caso che ci compete.

Da ultimo si riporta il più recente orientamento della Corte di Giustizia in merito al diritto di indennizzo a seguito di espropriazione della proprietà “occorre rilevare che l’art.17 della carta, relativo al diritto di proprietà, prevede ormai, al par.1, in particolare, che – nessuna nei modi previsti dalla legge e contro il pagamento in tempo utile di una giusta indennità per la perdita della stessa – e che – l’uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti dall’interesse generale. 86- Orbene, nella misura in cui il diritto a un indennizzo discende direttamente dall’art.17 della carta, il semplice fatto che né la direttiva 2000/29 né la decisione di esecuzione 2015/789 prevedano, di per sé stesse, un regime di indennizzazione o che esse non impongano l’obbligo esplicito di prevedere un regime siffatto, non può essere interpretato nel senso che tale diritto sia escluso. Ne consegue che la decisione summenzionata non può essere considerata invalida per tale ragione”[60].

3.3. In conclusione

Alla luce di tutto quanto sopra esposto, conformemente al diritto nazionale e all’ordinamento comunitario così come interpretato e applicato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e dalla Corte di Giustizia, nonché segnatamente alle decisioni della Corte Costituzionale e del Consiglio di Stato, si può concludere quanto segue.

I ripetuti rinnovi automatici, ai sensi e per gli effetti dell’allora vigente art. 1 c. II, del D.L. n. 400/1993, conv. con mod. dalla l. n. 494/1993, prima e le successive proroghe ex lege della concessione demaniale, l’ultima quella prevista dalla L. n. 145 del 2018 fino al 2033 hanno consolidato in capo al concessionario la proprietà dei beni legittimamente realizzati sull’arenile demaniale e la titolarità delle attività commerciali avviate dagli stessi.

Successivamente alle sentenze gemelle del Consiglio di Stato del 9.11.2021, e quindi la fissazione del termine ultimo per l’attuazione del diritto comunitario in materia di rilascio delle concessioni balneari a far data dal 1.1.2024, e il venir meno delle proroghe ex lege precedentemente illustrate si determinerà l’applicazione dell’art. 49 del Codice della Navigazione e quindi l’acquisizione di beni privati al patrimonio dello Stato. Tale disposizione è tuttavia contraria, per le ragioni sopra esposte e qui richiamate, sia all’art. 42 Costituzione, sia all’art. 1 del 1° Protocollo Addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, sia all’art. 17 della Carta di Nizza. 

Ai sensi dell’art. 1 del 1° Protocollo Addizionale alla Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nell’affermare il principio dell’equo indennizzo a favore dei soggetti privati dei loro beni nelle procedure espropriative per pubblica utilità ha osservato come tale disposizione i riferisca con previsione chiaramente generale ai beni, senza operare distinzioni in ragione della qualitas rei[61].

Parimente, e di conseguenza, una volta scaduto il periodo di proroga dovranno essere quindi indennizzati i titolari di concessioni demaniali che da quel momento non saranno più titolari del diritto di proprietà così come determinato dall’applicazione del diritto comunitario. 

4. Oltre alla richiesta di indennizzo

L’intervento delle sentenze gemelle del Consiglio di Stato n. 17 e 18 del 9.11.2021, con il quale il giudice amministrativo ha individuato il termine ultimo della proroga alle concessioni balneari al 31.12.2023, e l’intervento del Consiglio dei Ministri, con il quale il governo ha di fatto confermato l’intenzione di predisporre un sistema fondato sull’evidenza pubblica per il rilascio delle future concessioni balneari, determinano la necessità, per gli attuali concessionari, di agire per salvaguardare la propria attività d’impresa. 

4.1. Quantificazione del valore dell’attività economica 

Verificata la possibilità di ricorrere all’Autorità Giudiziaria al fine di richiedere l’accertamento e la determinazione dell’indennizzo che dovrà essere corrisposto al concessionario uscente, occorre individuare gli strumenti più adatti per la sua corretta quantificazione.

A tal fine rileva la Norma UNI 11729:2018, tale norma specifica i metodi e le procedure per la stima del valore di mercato di un’impresa balneare.

La determinazione del valore di mercato dell’impresa balneare implica l’identificazione e la gestione univoca di metodologie finalizzate alla misurazione quantitativa qualitativa delle caratteristiche del compendio oggetto della valutazione e, conseguentemente, la necessità di definire uno strumento normativo univoco volto a disciplinare procedimenti e metodologia di calcolo, secondo criteri oggettivi, a beneficio di tutti i soggetti coinvolti (cittadino-consumatore, professionisti, istituti di credito, società immobiliari, ecc.).

Il processo di valutazione deve essere razionale, basato su un processo logico-metodologico condivisibile e dimostrabile al fine di ridurre al minimo giudizi soggettivi da parte del valutatore, nonché neutrale e oggettivo, anche al fine di prescindere da eventuali elementi distorsivi della domanda e dell’offerta.

La presente norma, che specifica in maniera appropriata i principi e procedimenti per la determinazione del valore di mercato dell’impresa balneare, secondo metodologie conformi agli standard nazionali e internazionali, consentirà di rendere ripercorribile il processo e il prodotto (servizio) finalizzato a fornire informazioni trasparenti e analisi attendibili, affinché possa essere elaborato un rapporto di valutazione di elevata qualità, funzionale alla definizione di operazioni di finanziamento, procedure giudiziali e, in generale, qualsiasi tipologia di transazione economica.

La norma UNI 11729:2018 costituisce uno strumento utile per un settore economico rilevante per il Paese, sempre più competitivo a livello internazionale.

L’ottenimento della norma in questione potrebbe essere un ottimo punto di partenza per la determinazione del quantum relativo l’indennizzo da richiedere allo Stato conseguentemente alla scadenza del rapporto concessorio, quantomeno come indice valutativo dell’attività d’impresa avviata sul bene demaniale.


[1] Artt. 28 e seguenti codice della navigazione.

[2] Art. 28 codice della navigazione.

[3] Art. 823 c.c. “I beni che fanno parte del demanio pubblico sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano”.

[4] Art. 36 c. II “Le concessioni di durata superiore a quindici anni sono di competenza del ministro [per la marina mercantile] (1). Le concessioni di durata superiore a quattro, ma non a quindici anni, e quelle di durata non superiore al quadriennio che importino impianti di difficile sgombero sono di competenza del direttore marittimo. Le concessioni di durata non superiore al quadriennio, quando non importino impianti di difficile sgombero, sono di competenza del capo di compartimento marittimo”.

[5] Art. 1 D.L. 400 del 1993.

[6] Artt. 3 c. IV bis D.L. 400 del 1993.

[7] D. Lgs. 59 del 2010 di attuazione della Direttiva Bolkestein. 

[8] Art. 1 Direttiva Bolkestein.

[9] Art. 2 Direttiva Bolkestein.

[10] Art. 37 c. II codice della navigazione “Al fine della tutela dell’ambiente costiero, per il rilascio di nuove concessioni demaniali marittime per attività turistico-ricreative è data preferenza alle richieste che importino attrezzature non fisse e completamente amovibili. A’ altresì data preferenza alle precedenti concessioni, già rilasciate, in sede di rinnovo rispetto alle nuove istanze. Qualora non ricorrano le ragioni di preferenza di cui ai precedenti commi, si procede a licitazione privata”.

[11] Art 1 c. II D.L 400 del 1993 “Le concessioni di cui al comma 1, indipendentemente dalla natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attività, hanno durata di sei anni. Alla scadenza si rinnovano automaticamente per altri sei anni e così successivamente ad ogni scadenza, fatto salvo il secondo comma dell’articolo 42 del codice della navigazione”.

[12] Articolo 49 TFUE “Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro.

La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’articolo 54, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali.”

[13] Art. 1 c. XXIIX D.L. n. 194 2010 “Ferma restando la disciplina relativa all’attribuzione di beni a regioni ed enti locali in base alla legge 5 maggio 2009, n. 42, nonché alle rispettive norme di attuazione, nelle more del procedimento di revisione del quadro normativo in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi, lacuali e fluviali con finalità  turistico-ricreative,  ad  uso  pesca, acquacoltura ed attività produttive ad essa connesse,  e  sportive,  nonché quelli destinati a porti turistici, approdi e  punti di ormeggio dedicati alla nautica da diporto, da realizzarsi, quanto  ai  criteri  e  alle modalità di affidamento di tali concessioni, sulla base di intesa in sede di Conferenza Stato-regioni ai sensi dell’articolo 8,  comma  6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, che è conclusa nel  rispetto  dei principi di concorrenza, di libertà di  stabilimento,  di  garanzia dell’esercizio, dello sviluppo, della valorizzazione delle  attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti, nonché  in  funzione del superamento del diritto di insistenza  di  cui  all’articolo  37, secondo comma, secondo periodo,  del  codice  della  navigazione,  il termine di durata delle concessioni in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto e in scadenza  entro  il  31  dicembre  2018  è prorogato fino al 31 dicembre 2020, fatte salve le  disposizioni  di cui all’articolo 03, comma 4-bis, del decreto-legge 5  ottobre  1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4  dicembre  1993, n. 494. All’articolo 37, secondo comma, del codice della navigazione, il secondo periodo è soppresso.”

[14] Art. 1c. VII ter L. n. 25 del 2010 “al comma 18, le parole: “che è soppresso dalla data di entrata in vigore del presente decreto” sono soppresse, le parole: “entro il 31 dicembre 2012” sono sostituite dalle seguenti: “entro il 31 dicembre 2015” e sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: “fatte salve le disposizioni di cui all’articolo 03, comma 4-bis, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494. All’articolo 37, secondo comma, del codice della navigazione, il secondo periodo è soppresso”

[15] Articolo 15 D. Lgs. 59 del 2010.

[16] Articolo 16 c. I D. Lgs. 59 del 2010.

[17] Articolo 16 c. III D. Lgs. 59 del 2010.

[18] Articolo 16 c. IV D. Lgs. 59 del 2010 “Nei casi di cui al comma 1 il titolo è rilasciato per una durata limitata e non può essere rinnovato automaticamente, né possono essere accordati vantaggi al prestatore uscente o ad altre persone, ancorché giustificati da particolari legami con il primo”.

[19] Articolo 1 c. 682 L. 145 del 2018 “Le concessioni disciplinate dal comma 1 dell’articolo 01 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, vigenti alla data di entrata in vigore della presente legge hanno una durata, con decorrenza dalla data di entrata in vigore della presente legge, di anni quindici. Al termine del predetto periodo, le disposizioni adottate con il decreto di cui al comma 677, rappresentano lo strumento per individuare le migliori procedure da adottare per ogni singola gestione del bene demaniale”.

[20] “La Commissione desidera sottolineare che il quadro giuridico nazionale che prevede la reiterata proroga della durata delle concessioni balneari compromette gravemente la certezza del diritto a danno di tutti gli operatori in Italia, compresi gli attuali concessionari, che non possono contare sulla validità delle loro concessioni esistenti. A causa dell’illegalità del quadro normativo italiano, le concessioni prorogate dalla legislazione italiana sono impugnabili e soggette ad annullamento da parte dei tribunali italiani. Le autorità locali hanno il dovere di rifiutarsi di rinnovare le concessioni in linea con l’obbligo, che incombe a tutte le autorità nazionali, di adoperarsi al massimo per dare attuazione al diritto dell’UE e conformarsi alle sentenze della CGUE. Questa situazione di incertezza giuridica e rischio di contenzioso, che è stata protratta per molto tempo dalle autorità italiane, costituisce una minaccia reale per gli attuali concessionari nello svolgimento delle loro attività e ha gravi implicazioni, portando ad un aumento del contenzioso e del malcontento nelle comunità locali.”

[21] Di conseguenza la Commissione europea ritiene che la Repubblica italiana non abbia ottemperato agli obblighi imposti dall’articolo 12 della direttiva sui servizi e dall’articolo 49 TFUE.

[22] TAR Campania Sentenza n. 1582 del 27.9.2011 e TAR Veneto Sentenza n. 1224 e n. 1228 del 18.9.2014.

[23] Consiglio di Stato Sentenza n. 6682 del 27.12.2012 e n. 1307 del 17.3.2014.

[24] TAR Liguria Sentenza n. 55 del 20.1.2016

[25] TAR Molise Sentenza n. 162 del 17.4.2015

[26] TAR Lombardia – Milano Sentenza n. 2401 del 26.9.2014 e TAR Sardegna, Ordinanza n. 224 del 28.1.2015

[27] Promoimpresa e Melis, C-458/14 e C-67/15

[28] Corte di Giustizia dell’Unione europea, sez. V, sentenza 14 luglio 2016, n. C-458/14 e C-67/15

[29] Articolo 12 Direttiva 2006/123/CE “1. Qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento. 2. Nei casi di cui al paragrafo 1 l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami. 3. Fatti salvi il paragrafo 1 e gli articoli 9 e 10, gli Stati membri possono tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto comunitario.”

[30] Art. 49 TFUE “Nel quadro delle disposizioni che seguono, le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate. Tale divieto si estende altresì alle restrizioni relative all’apertura di agenzie, succursali o filiali, da parte dei cittadini di uno Stato membro stabiliti sul territorio di un altro Stato membro.

La libertà di stabilimento importa l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio, nonché la costituzione e la gestione di imprese e in particolare di società ai sensi dell’articolo 54, secondo comma, alle condizioni definite dalla legislazione del paese di stabilimento nei confronti dei propri cittadini, fatte salve le disposizioni del capo relativo ai capitali.”

[31] Art. 56 TFUE “Nel quadro delle disposizioni seguenti, le restrizioni alla libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione sono vietate nei confronti dei cittadini degli Stati membri stabiliti in uno Stato membro che non sia quello del destinatario della prestazione.

Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono estendere il beneficio delle disposizioni del presente capo ai prestatori di servizi, cittadini di un paese terzo e stabiliti all’interno dell’Unione.”

[32]Art. 106 TFUE “1. Gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme dei trattati, specialmente a quelle contemplate dagli articoli 18 e da 101 a 109 inclusi.

2. Le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme dei trattati, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi dell’Unione.

3. La Commissione vigila sull’applicazione delle disposizioni del presente articolo rivolgendo, ove occorra, agli Stati membri, opportune direttive o decisioni.”

[33] Punto 41 sentenza Promoimpresa

[34] Punto 65 sentenza Promoimpresa

[35] Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, Sentenza 9 novembre 2021, n. 17 e n. 18.

[36] Appelli su Tar Puglia, Lecce, sez. I, 13 gennaio 2021, n. 73 e Tar Sicilia, Catania, 15 febbraio 2021, n. 504.

[37] TAR Toscana Sentenza del 28.10.2020.

[38] GIANNINI, I beni pubblici, Roma, 196, p.115 e seguenti

[39] Sentenza T.A.R. Toscana, Sez. III, 27 maggio 2015, n. 822

[40] Corte di Giustizia CE, Sezione II, Sentenza COGEP S.r.l. C-174/06 del 25.10.2007, punto 4. 

[41] Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 2 del 26.2.2014 stabilendo al Considerando 15

[42] Corte Costituzionale, Sent. n. 29 del 2017 Al fine di stabilire la proprietà statale dei beni di difficile rimozione edificati su suolo demaniale marittimo in concessione, è determinante la scadenza della concessione, essendo questo il momento in cui il bene realizzato dal concessionario acquista la qualità demaniale”.

[43] Consiglio di Stato, sez. VI, 13 giugno 2013, n. 3308, Consiglio di Stato, sez. VI, 13 giugno 2013, n. 3307 e Consiglio di Stato, sez. VI, 10 giugno 2013, n. 3196.

[44] Art. 952 c.c. Il proprietario può costituire il diritto di fare e mantenere al disopra del suolo una costruzione a favore di altri, che ne acquista la proprietà. Del pari può alienare la proprietà della costruzione già esistente, separatamente dalla proprietà del suolo”.

[45] Corte di Cassazione Sentenza n. 6656 del 2000.

[46] Corte di Cassazione Sentenza n. 1134 del 2003

[47] Corte di Cassazione Sez.VI Sentenza n. 3761 del 2014.

[48] Consiglio di Stato Sentenza n. 229 del 2022.

[49] “Ogni persona ha il diritto di godere della proprietà dei beni che ha acquisito legalmente, di usarli, di disporne e di lasciarli in eredità. Nessuna persona può essere privata della proprietà se non per causa di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla legge e contro il pagamento in tempo utile di una giusta indennità per la perdita della stessa. L’uso dei beni può essere regolato dalla legge nei limiti imposti dall’interesse generale”.

[50] Direttiva 2006/123/CE Considerando 15.

[51] Corte Costituzionale Sentenza n. 214 del 2016.

[52] Corte Europea dei Diritti dell’Uomo Decisione Valle Pierimpiè Soc. Agricola S.p.a c. Italia del 2.9.2014.

[53] Articolo 49 Codice della Navigazione “Salvo che sia diversamente stabilito nell’ atto di concessione, quando venga a cessare la concessione, le opere non amovibili, costruite sulla zona demaniale, restano acquisite allo Stato, senza alcun compenso o rimborso, salva la facoltà dell’autorità concedente di ordinarne la demolizione con la restituzione del bene demaniale nel pristino stato.”

[54] Corte Europea dei Diritti dell’Uomo Decisione Valle Pierimpiè Soc. Agricola S.p.a c. Italia del 2.9.2014.

[55] Consiglio di Stato Sentenza n. 729 del 2017.

[56] Articolo 42 Costituzione “La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.

  La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che

ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.

  La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale.

  La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità”.

[57] Articolo 117 Costituzione “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.

[58] Corte Costituzionale Sentenza n. 48 del 2007, n. 49 del 2007, n. 170 del 1984.

[59] Corte di Giustizia Sentenza n. C-5/88 del 1.7.1989.

[60] Corte di Giustizia Sentenza del 9.6.2016 

[61] Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, decisione del 29 marzo 2006, Scordino c. Italia 

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INDICE

1. Concessioni Demaniali in generale

1.1. Le concessioni turistico-ricreative nell’ordinamento nazionale

1.2. La Direttiva Bolkestein

1.3. I contrasti tra diritto nazionale e diritto comunitario

1.4. Le procedure di infrazione e le modifiche normative

1.5. Il recepimento della Direttiva Bolkestein

1.6. Le proroghe ex lege 

1.7. Il nuovo intervento della Commissione Europea

1.8. L’intervento del Legislatore

2. La Giurisprudenza 

2.1. I Tar successivi alla prima proroga

2.2. La Corte di Giustizia: la sentenza “Promoimpresa”

2.3. Il consiglio di Stato – Le “Sentenze gemelle” 9 novembre 2021

2.4. Il Tar Toscana 

3. La natura del bene demaniale marittimo oggetto della
concessione

3.1. Il diritto all’indennizzo per il concessionario uscente 

3.1.1. Il diritto nazionale: la proprietà superficiaria 

3.1.2. Il diritto internazionale

3.2. L’illegittimità costituzionale dell’art. 49 Codice della Navigazione

3.3. In conclusione

4. Oltre alla richiesta di indennizzo

4.1. Quantificazione del valore dell’attività economica

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