27.9.2022 – Corte di Cassazione Civile – Sezione I – Ordinanza n. 27592 del 21.9.2022

NON E’ INTEGRATO: NO AL PERMESSO DI SOGGIORNO – NON PUO’ DIRSI SODDISFATTA L’INTEGRAZIONE DELLO STRANIERO CHE PRATICA UN LAVORO IRREGOLARE E SALTUARIO COME BRACCIANTE AGRICOLO

Cassazione civile sez. I – 21/09/2022, n. 27592

FATTI DI CAUSA

Con il decreto impugnato il Tribunale di Firenze ha respinto la domanda di protezione sussidiaria avanzata dal cittadino nigeriano di Benin City, in Edo State, dopo il diniego da parte della locale commissione territoriale, confermando, pertanto, il provvedimento reso in sede amministrativa.

Il decreto è stato impugnato dal soccombente sulla base di due motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese. 

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, lett. g), e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, oltre a vizio di motivazione, per non avere il Tribunale concesso la protezione sussidiaria: quanto al mancato riconoscimento della protezione per le ipotesi di cui all’art. 14 citato, lett. a) e b), mancherebbe ogni motivazione; quanto alla lett. c), il Tribunale è “arrivato a conclusioni frettolose, dimostrando di non aver compiuto un’accurata indagine sul Paese d’origine”, in violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8. Al contrario, nell’Edo State sussiste, di fatto, una situazione di violenza indiscriminata e diffusa che coinvolge l’intero territorio con il moltiplicarsi di conflitti interni e sono “senz’altro” configurabili i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, ai sensi dell’art. 14 cit., richiamato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 2, lett. f), secondo cui il rischio di “danno grave”, al cui riscontro è subordinata la predetta forma di tutela, deve essere correlato a forme di violenza indiscriminata, come nel caso di specie.

In sostanza, il Tribunale avrebbe errato nella valutazione espressa sul grado di pericolosità interna della Nigeria ritenendo insussistente una situazione di violenza indiscriminata.

1.1. – Il motivo è inammissibile, già nella sua formulazione.

Afferma il Tribunale che il ricorrente ha dichiarato di aver lasciato la Nigeria per timore di ripercussioni ad opera dei familiari della ragazza con cui aveva intrattenuto una relazione e che, rimasta incinta, era deceduta per complicanze legate all’aborto.

Il racconto è stato ritenuto generico in ordine alle minacce che il ricorrente avrebbe ricevuto dai parenti della donna, che lo avevano determinato a fuggire da (OMISSIS), ed in ogni caso non idoneo a palesare l’esistenza di un timore fondato di persecuzione, o di un qualsiasi pericolo di danno grave alla sua persona in caso di rientro nel suo paese di origine. In particolare, ha aggiunto il Tribunale che non sussiste un conflitto interno od una situazione di violenza generalizzata, che consenta neppure la concessione della protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), conclusione raggiunta previo approfondito esame delle fonti ivi indicate.

Quanto al preteso vizio di violazione di legge, occorre ricordare che esso consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa e’, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (fra le tante, Cass. 5 febbraio 2019; 13 ottobre 2017, n. 24155).

Invero, le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: 1) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; 2) quello afferente all’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che e’, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità (Cass. 14 gennaio 2019, n. 640, tra le altre).

In tema di protezione internazionale, il conflitto armato interno, tale da comportare minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona di un civile, ai sensi dell’art. 14, lett. c), cit., ricorre in situazione in cui le forze armate governative di uno Stato si scontrano con uno o più gruppi armati antagonisti, o nella quale due o più gruppi armati si contendono tra loro il controllo militare di un dato territorio, purché detto conflitto ascenda ad un grado di violenza indiscriminata talmente intenso ed imperversante da far sussistere fondati motivi per ritenere che un civile rinviato nella regione di provenienza – tenuto conto dell’impiego di metodi e tattiche di combattimento che incrementano il rischio per i civili, o direttamente mirano ai civili, della diffusione, tra le parti in conflitto, di tali metodi o tattiche, della generalizzazione o, invece, localizzazione del combattimento, del numero di civili uccisi, feriti, sfollati a causa del combattimento – correrebbe individualmente, per la sua sola presenza su quel territorio, la minaccia contemplata dalla norma (Cass. nn. 5675 e 5676, 2 marzo 2021).

Orbene, il Tribunale ha escluso con valutazione in fatto – qui non più censurabile, se non nei ristretti limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (come perimetrati da Cass., sez. un., n. 8053/2014) – l’esistenza di un conflitto armato generalizzato, avente le caratteristiche sopra delineate, in Nigeria per quanto concerne la regione di provenienza della richiedente (Ed State), non potendo tale apprezzamento di merito essere dunque rivalutato nel giudizio di legittimità.

Ma la parte ricorrente – sotto l’egida applicativa del vizio di violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – pretende invece una rivisitazione della quaestio facti, con particolare riferimento al grado di violenza indiscriminata presente nel paese di provenienza della richiedente, per accreditare innanzi alla Corte di legittimità un diverso apprezzamento dei presupposti fattuali sottesi all’applicazione della tutela di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), e ciò proprio attraverso una rilettura delle fonti di conoscenza internazionale che non è più consentita invece nel giudizio di legittimità (cfr., in termini, Cass. 31 maggio 2022, n. 17680, dimostrandosi che si reiterano ad opera del difensore le stesse ragioni di inammissibilità già stigmatizzate dalla Corte con la declaratoria relativa).

Con conseguente manifesta inammissibilità del motivo.

2. – Con il secondo motivo, deduce la violazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonché il vizio di motivazione, con riguardo alla mancata concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, il richiedente ritenendo che sussistono condizioni di invivibilità dell’area di provenienza ed una situazione grave, la quale renderebbe l’eventuale rientro in patria “idoneo a determinare un elevato grado di vulnerabilità tale da mettere in pericolo la possibilità di vivere dignitosamente e preservare la propria incolumità psicofisica”.

2.1. – Tali generiche ed astratte considerazioni si infrangono nel medesimo vizio di radicale inammissibilità, per il tentativo, in esse compiuto, di riproporre un giudizio sul fatto al giudice di legittimità.

Il Tribunale ha escluso che si rivengano, nel caso concreto, fattori di particolare vulnerabilità del richiedente, o che potrebbero in caso di rimpatrio esporlo a rischi di apprezzabile entità, tanto in ragione al paese di provenienza (quali una instabilità politica, violenza sociale non adeguatamente contenuta dagli apparati statuali, anche perché diffusamente e pervicacemente corrotti, disastri ambientali), quanto alla condizione personale del richiedente (stato di salute, età, condizioni familiari).

Il decreto riferisce, invero, che il ricorrente ha dichiarato che la sua famiglia è rimasta nel paese di origine, in tal modo avendo escluso la sussistenza di una condizione di sradicamento totale, apprezzabile sotto il profilo della condizione soggettiva di vulnerabilità; non è emersa nessuna situazione di fragilità rilevante, riferibile a traumi subìti nei paesi di transito; circa l’integrazione in Italia, il ricorrente ha dichiarato di aver lavorato irregolarmente come bracciante agricolo e di aver seguito alcuni corsi di lingua, onde non sussiste nessun inserimento nel tessuto sociale ed economico del paese, senza la possibilità di quello sviluppo futuro che, messo in comparazione con le medesime possibilità che potrebbe ottenere nel suo paese di origine in caso di rimpatrio, determinerebbe una sproporzione tra contesti di vita, concretantesi in un vulnus dei diritti fondamentali della persona.

Il Tribunale di Firenze, dunque, reputa che il tipo di lavoro (bracciantile in agricoltura e non continuativo, con salario modesto) non è sufficiente, quale come unico elemento dedotto, ad integrare la nozione di inserimento nel tessuto socio-economico, e dice che non vi è nessuna possibilità di sviluppo futuro.

A fronte di tale completa motivazione, il richiedente non spende neppure una parola relativa a fatti concreti, limitandosi a qualche generica citazione di precedenti giurisprudenziali, privi di aggancio con qualsiasi deduzione che possa avere rilievo in sede di legittimità.

Occorre ricordare che non è il reddito alto o basso in se, che rileva ai fini dell’inserimento, ma proprio l’inserimento lavorativo come tale: che non sussiste, se il lavoro è meramente occasionale e saltuario, non vi è prova di una professionalità diversa da spendere ai fini di reddito nei residui periodi, né vi sono attitudini o competenze acquisite mediante la frequentazione di corsi professionalizzanti di altro genere, ed inoltre non sia accertato che quel lavoro sia almeno il probabile indizio di sviluppo lavorativo futuro, a fronte, altresì, di un quadro di rientro coattivo che non palesi nessuna condizione drammatica. In tali casi, la persona è da assistere, ma per essa non possono utilmente ravvisarsi, ai fini di causa, una “rete relazionale” ed un inserimento nella vita sociale.

3. – Nulla sulle spese di lite, per la mancata costituzione del Ministero intimato. 

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 9 settembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2022 

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