NO AL SEQUESTRO PREVENTIVO SUI BENI OGGETTO DELLA PROCEDURA FALLIMENTARE
Cass. civ., sez. III, sent., 8 luglio 2022, n. 26275
Ritenuto in fatto
1. Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale di Benevento rigettava l’istanza di riesame proposta dalla curatela del fallimento della “(omissis) s.r.l.” avverso il decreto di sequestro preventivo disposto dal G.i.p. del Tribunale di Benevento in danno della predetta società ed avente ad oggetto la somma di 2.254 Euro, ritenuta essere provento del delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2.
2. Avverso l’indicata ordinanza, la Curatela del fallimento “(omissis) s.r.l.”, tramite il difensore di fiducia nonché procuratore speciale, ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in relazione all’art. 125 c.p.p., art. 111 Cost., art. 321 c.p.p., D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12 bis, R.D. n. 267 del 1942, artt. 42 e 43. Evidenzia il difensore che, in sede di riesame, si era contestata la legittimità del sequestro diretto del ritenuto profitto del reato nei confronti della curatela, sia da un punto di vista soggettivo che oggettivo; il Tribunale, tuttavia, ha rigettato il motivo limitandosi a riportare massime giurisprudenziali, senza misurarsi con la fattispecie concreta e senza dar conto della prevalenza delle ragioni sottese alla confisca rispetto a quelle attinenti alla tutela dei legittimi interessi dei creditori, ciò che integra il vizio di omessa motivazione.
2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione all’art. 321 c.p.p., D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12 bis, R.D. n. 267 del 1942, artt. 42 e 43. Espone il ricorrente che il sequestro sarebbe illegittimo, in quanto emesso, in via diretta, nei confronti della società (omissis) s.r.l., ma eseguito nei confronti della curatela del fallimento di tale società , e, quindi su beni di cui la (omissis) s.r.l. non aveva più la disponibilità in forza dell’intervenuto fallimento, con conseguente violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12 bis, R.D. n. 267 del 1942, artt. 42 e 43, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità puntualmente indicata nel ricorso.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione art. 321 c.p.p., D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12 bis, R.D. n. 267 del 1942, artt. 42 e 43. Secondo il ricorrente, l’illegittimità del sequestro deriverebbe, inoltre, dal fatto che la somma di denaro sequestrata è stata accredita sul conto corrente acceso dalla curatela successivamente al fallimento e, dunque, essa non può costituire il profitto del denaro, non potendo valere, nel caso di specie, il principio affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 42415 del 2021 in quanto il denaro sottoposto a sequestro è nella disponibilità di un soggetto diverso dall’autore del reato.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato in relazione al secondo motivo, con assorbimento dei motivi ulteriori.
2. È pacifico che oggetto di sequestro, disposto in via diretta nei confronti della “(omissis) s.r.l.”, è la somma di 2.254 Euro, accreditata su un conto corrente intestato alla Curatela del fallimento di tale società in data (omissis) , a seguito di vendita telematica svoltasi il 10 dicembre 2021; il sequestro è stato disposto in relazione al delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, commesso da T.L. , all’epoca amministratore della società , dichiarata fallita con sentenza del 28 marzo 2019 del Tribunale di Benevento.
3. Ciò posto, secondo l’orientamento assunto da questa Sezione, che il Collegio condivide e al quale intende dare continuità , in tema di reati tributari, è illegittimo il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 12 bis, su beni già assoggettati alla procedura fallimentare, posto che il vincolo apposto a seguito della dichiarazione di fallimento importa lo spossessamento e il venir meno del potere di disporre del proprio patrimonio in capo al fallito e l’attribuzione al curatore del compito di gestire tale patrimonio al fine di evitarne il depauperamento (Sez. 3, n. 47299 del 16/11/2021, dep. 30/12/2021, Fallimento Bellelli Engineering, Rv. 282618; Sez. 3, n. 14766 del 26/02/2020, dep. 13/05/2020, p.m. in c. Sangermano, Rv. 279382; Sez. 3, n. 45574 del 29/05/2018, dep. 10/10/2018, E., Rv. 273951).
4. Come si è condivisibilmente affermato da Sez. 3, n 47299, ove si consideri che il vincolo apposto a seguito della dichiarazione di fallimento sul patrimonio della persona fisica o giuridica che ne è la destinataria importa lo spossessamento e il venir meno del potere di disporne, automaticamente trasferito come previsto dalla L. Fall., art. 42, comma 1, agli organi della procedura fallimentare, ne consegue che a partire da tale momento il curatore subentra ope legis nell’amministrazione della massa attiva nella prospettiva della sua conservazione ai fini della tutela dell’interesse dei creditori: costoro, invero, in virtù dell’ammissione al passivo, sono portatori di diritti alla conservazione dell’attivo, in vista della ripartizione finale del ricavato derivato dalla liquidazione del patrimonio del fallito, la cui amministrazione da parte del curatore, sotto la direzione del Giudice Delegato, è finalizzata a garantire r a par condicio, attraverso la quale soltanto possono essere soddisfatti, nei limiti della capienza dell’attivo e nel rispetto delle legittime cause di prelazione, i crediti facenti capo ad ognuno.
Il profilo squisitamente privatistico dell’insolvenza è, perciò, con l’apertura della procedura fallimentare/ superato dai riflessi pubblicistici cui lo stesso procedimento, attraverso l‘indisponibilità dei beni da parte del fallito, è sotteso, correlati alla necessità che il tracollo dell’impresa non si estenda a macchia di leopardo ai soggetti che con questa abbiano avuto rapporti e, dunque, posti a salvaguardia delle esigenze economiche della collettività che, implicando la certezza del diritto, non ne consente l’assoggettabilità al vincolo penale per effetto del sequestro finalizzato alla confisca (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 45574 del 29/05/2018 – dep. 10/10/2018, Evangelista, Rv. 273951; Sez. 3, Sentenza n. 17750 del 17.12.2019, non mass.). La canalizzazione nella procedura fallimentare della composizione della crisi di impresa, così come la espulsione dell’impresa dal mercato quando ne sia accertato lo stato di decozione, rende evidente come l’interesse originario facente capo al singolo creditore resti, in ultima analisi, relegato in posizione di subalternità rispetto a quello pubblicistico che interviene, al fine di tutelare proprio il mercato, a regolamertarlo.
D’altra parte, che i beni facenti parte della massa fallimentare su cui, nella specie, la misura reale, avendo attinto le somme in giacenza sul conto corrente intestato alla curatela, è caduta, rappresentino un’entità a sé stante rispetto al patrimonio del fallito risulta evidente ove si consideri che in essa sono compresi non soltanto i beni facenti parte del patrimonio del fallito, ma altresì, atteso il potere di gestione e di amministrazione demandato alla curatela, i proventi derivati dall’esercizio del suddetto potere che, vuoi per effetto dell’esperimento fruttuoso di azioni revocatorie fallimentari, vuoi attraverso azioni di inefficacia dei pagamenti post-fallimentari, vuoi a seguito di attività strettamente liquidatorie e comunque di tutte le iniziative poste in essere dal curatore al fine di soddisfare le ragioni dei creditori concorsuali, vengono ad accrescere la massa attiva. Di nessuna rilevanza è che il fallito conservi sul suo patrimonio il diritto di proprietà atteso che questo, una volta disgiunto dal potere di gestione e di amministrazione conferito al curatore, resta congelato per tutta la pendenza della procedura fallimentare, fermo restando che, essendo la stessa finalizzata al soddisfacimento dei creditori previa liquidazione della massa fallimentare, è solo sull’eventuale residuo che il suddetto diritto spiega i suoi effetti, il che consente di definirlo come una “proprietà vincolata” al soddisfacimento dei creditori.
5. Tale conclusione, posta in dubbio da pronunce che hanno invece individuato in capo al fallito la titolarità dei beni sino al momento della vendita fallimentare (Sez. 5, n. 52060 del 30/10/2019, Angeli, Rv. 277753, e Sez. 4, n. 7550 del 05/12/2018, Sansone, Rv. 275129), è stata, da ultimo, implicitamente fatta propria da Sez. U, n. 45936 del 26/09/2019 (fallimento di Mantova Petroli Srl in liquidazione, Rv. 277257) laddove la stessa (v. par. 3.), nel richiamare espressamente il principio, affermato da Sez. 3, n. 45574 del 29/05/2018, cit., dell’esclusione della possibilità di eseguire il sequestro su beni appartenenti alla massa fallimentare, e quindi in una situazione cronologica di posteriorità rispetto alla dichiarazione di fallimento, in quanto sui beni che si trovano in questa condizione si è ormai costituito un potere di fatto della curatela, ha dato per acquisita l’esclusione della possibilità di eseguire il sequestro su beni appartenenti alla massa fallimentare.
6. Ne consegue, in definitiva, che la peculiare natura dell’attivo fallimentare derivante da tale spossessamento è di ostacolo all’applicabilità del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12 bis, che individua, quale limite all’operatività della confisca, l’appartenenza dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato a terzi estranei al reato.
7. L’ordinanza impugnata deve perciò essere annullata senza rinvio, e, con essa, anche il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.i.p, del Tribunale di Benevento del 26 gennaio 2022, con restituzione alla Curatela fallimentare della somma di denaro sequestrata.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata nonché il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.i.p. del Tribunale di Benevento del 26 gennaio 2022 e ordina la restituzione della somma di denaro in sequestro alla Curatela fallimentare avente diritto.
Manda alla cancelleria per l’immediata comunicazione al Procuratore Generale in sede per quanto di competenza ai sensi dell’art. 626.
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