
26.5.2022 – Corte di Cassazione Civile – Sezione VI – Ordinanza n. 16822 del 24.5.2022
26 Maggio 2022
28.5.2022 – Tribunale di Reggio Emilia Civile – Sentenza del 16.2.2022
28 Maggio 2022IL PRINCIPIO GENERALE DELL’INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO RISIEDE NEL CONTENUTO LETTERALE DELLO STESSO
Cassazione civile sez. II – 20/05/2022, n. 16351
FATTI DI CAUSA
1.Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., l’Avv. C.F. adì il Tribunale per chiedere la condanna del Prof. S.V.V. al pagamento dei compensi professionali di avvocato nella misura di Euro 2.070.355,06, oltre interessi e rivalutazione.
1.1. Il ricorrente espose di aver assistito il prof. S.V., unitamente all’avv. M. e l’Avv. D.M.A., in un giudizio nei confronti della Rete Ferroviaria Italiana s.p.a., dal medesimo introdotto per ottenere il compenso dovutogli quale componente della commissione di collaudo dei lavori di costruzione della linea ferroviaria (OMISSIS), determinato in Euro 9.448.800,00.
1.2. In relazione al compenso per l’assistenza e la difesa in giudizio, in occasione del conferimento della procura, le parti avevano sottoscritto un contratto per regolare nei dettagli i rapporti economici.
1.3. Prima della definizione del giudizio, con raccomandata pervenuta l’8.1.2013, il Prof. S.V. revocò il mandato.
1.4. Fissata l’udienza di comparizione secondo il rito speciale, il prof. S.V. si costituì e dedusse che, prima di introdurre rendere il giudizio nei confronti delle Ferrovie dello Stato s.p.a., si era rivolto al collega Avv. L., all’epoca componente del Consiglio Nazionale Forense, che aveva redatto un parere pro-ventate in relazione alla vicenda che lo riguardava, trasfuso integralmente nell’atto introduttivo redatto dall’Avv. C.; sostenne quindi che l’opera prestata dal ricorrente era stata marginale, limitata alla partecipazione alle udienze innanzi al Tribunale di Roma e che l’apporto rilevante difensivo era stato apportato dagli altri difensori officiati della difesa, segnatamente l’Avv. M. del Foro di Roma e l’Avv. D.M..
1.5. Egli sostenne quindi che il patto di quota lite non poteva trovare applicazione in caso di revoca dell’incarico, che era avvenuto quando non era più in vigore il D.M. n. 55 del 2014, e doveva farsi riferimento, per il compenso, al D.M. n. 140 del 2012, tenendo conto del modesto contributo apportato dall’Avv. C.. 1.6.Lamentò di essere stato indotto in errore nella determinazione della percentuale dell’8% sul valore della causa, pattuito nel quotalizio in quanto la scrittura privata era stata sottoscritta in un momento di fragilità di natura personale, a causa di problemi di salute e di difficoltà di natura finanziaria.
1.7. Il Tribunale di Napoli, con ordinanza del 21.1.2014 accolse per quanto di ragione la domanda e condannò il prof. S.V. al pagamento in favore dell’Avv. C. della somma di Euro 1.132.447, 50.
1.8. Il Tribunale escluse che le prestazioni professionali svolte dall’Avv. C. fossero state determinate da causa di liberalità per la pregressa collaborazione svolta presso lo studio del prof. S.V. ed escluse che l’apporto del ricorrente fosse stato marginale; ai fini della determinazione del compenso, il Tribunale rilevò che, nella scrittura privata, le parti avevano fatto riferimento alle tariffe vigenti e, poiché le prestazioni professionali si erano svolte fino all’udienza del 16.5.2012, dovevano essere applicate le tariffe forensi di cui al D.M. n. 140 del 2012.
1.9. Il Professore S.V. propose appello contestando la sentenza del Tribunale sia in ordine all’individuazione della data di cessazione dell’opera, che assumeva coincidere con la revoca del mandato avvenuto l’8.1.2013; aggiunse che, dopo la comunicazione dell’ordinanza del Tribunale di Roma del 19.10.2012, l’Avv. C. non aveva svolto altra attività difensiva ed aveva chiesto al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati il parere di congruità sicché avrebbero dovuto applicarsi i parametri vigenti al momento in cui era esaurita la prestazione. Il Professore S.V. reiterò le difese svolte nel giudizio di primo grado, contestando il pregio dell’attività svolta dall’Avv. C. nonché la determinazione del valore della causa, che non doveva essere determinato sulla base della domanda ma in via incidentale o, in alternativa, sulla base delle somme liquidate dal Tribunale di Roma all’esito del giudizio. Ripropose la domanda di annullamento del contratto per essere stato indotto in errore o per dolo.
1.10. L’Avv. C. si costituì e dedusse di aver partecipato alla redazione degli atti difensivi unitamente ai coodifensori, Avvocati M. e D.M., e che nella scrittura privata era stato fatto espresso riferimento alle tariffe professionali vigenti al momento dell’ultima prestazione, che era coincidente con la partecipazione all’udienza del 16.5.2012 innanzi al Tribunale di Roma; dedusse che l’eccezione di nullità del contratto per dolo o errore era stata formulata per la prima volta in appello ed era, in ogni caso, infondata in quanto il Professore S.V. era perfettamente in grado di curare i propri interessi tanto che, di suo pugno, aveva ridotto dal 10% all’8% la percentuale del quotalizio proposta dall’Avv. C..
1.11. La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 25.2.2016 accolse parzialmente l’appello e, per l’effetto ridusse il compenso dell’avvocato S.V.V. ad Euro 392.656,94, compensando per metà le spese di lite.
1.12. Durante il giudizio d’appello, vennero escussi l’Avv. L., il prof. T.F. e dell’Avv. M.C. per accertare l’attività effettivamente svolta dal C..
1.13. La Corte individuò la data di cessazione dell’incarico in coincidenza con la revoca da parte del Professore S.V., avvenuta con missiva dell’8.1.2013.
1.14. Quanto alla determinazione del compenso, la Corte distrettuale rilevò che le parti avevano stabilito un patto di quota lite, pari all’8% della somma pagata dalla società convenuta nel giudizio innanzi al Tribunale di Roma, e, in caso di esito sfavorevole, della somma di Euro 10.000,00. L’art. 8, del contratto stabiliva, inoltre che, in caso di revoca del mandato o di rinuncia, il compenso del difensore doveva essere commisurato in relazione all’attività effettivamente svolta, sulla base del valore della causa convenzionalmente determinato in Euro 150.000.000,00, secondo i valori massimi della tariffa professionale di cui al D.M. n. 55 del 2014, raddoppiati in considerazione della complessità e delicatezza dell’incarico.
1.15. La Corte di merito osservò che, sebbene le tariffe richiamate in contratto fossero state abrogate dalla L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito nella L. 24 marzo 2012, n. 27, L. n. 140 del 2012, l’applicazione della legge vigente aveva carattere sussidiario solo nelle ipotesi di assenza di un accordo mentre, nel caso in esame, il contratto aveva previsto espressamente l’applicazione del DM 127/2004 per stabilire ex ante il quantum dovuto al professionista; ne conseguiva che, nonostante il recesso fosse avvenuto nel vigore del D.M. n. 140 del 2012, andavano applicate le tariffe professionali indipendentemente dalla valutazione dell’importanza ed del pregio della prestazione professionale in quanto le parti avevano previsto ex ante i criteri di calcolo. Escluso quindi che la prestazione fosse stata resa per spirito di liberalità, la Corte distrettuale determinò il compenso sulla base della documentazione prodotta, con esclusione dei documenti tardivamente depositati in grado d’appello e sulla base delle dichiarazioni testimoniali dell’Avv. M., il quale aveva dichiarato di aver ricevuto la bozza del ricorso dall’Avv. C. e di avervi apportato qualche modifica prima del deposito; il teste confermò che l’Avv. C. aveva partecipato alle udienze, aveva suggerito di introdurre la domanda di liquidazione delle competenze professionali secondo il rito sommario, aveva collaborato nella redazione delle memorie ed aveva partecipato personalmente agli incontri in studio a (OMISSIS).
1.16. La Corte distrettuale accolse il quarto motivo d’appello proposto dal Professore S.V. relativo alla determinazione del valore della controversia, che, nella scrittura privata era stata stimata in Euro 150.000.000,00 mentre, invece, doveva essere valutata sulla base del complessivo assetto degli interessi delineato dal contratto d’opera professionale. Nella specie, le parti avevano previsto un quotalizio dell’8% in caso di vittoria, una somma modesta di Euro10.000.00 in caso di perdita ed avevano disciplinato le ipotesi di revoca e recesso; tuttavia, la vittoria costituiva il massimo conseguibile anche in caso di prestazione parziale sicché, secondo la Corte di merito, era irragionevole che dalla prestazione parziale potesse derivare un compenso superiore a quello conseguibile in caso di compimento dell’opera professionale. Poiché n Tribunale di Roma aveva accolto la domanda, riconoscendo al Prof. S.V. la somma di Euro 4.931.517,00, il massimo previsto in caso di completamento dell’incarico era pari ad Euro 392.656,94.
1.17. La Corte escluse che le condizioni personali e di salute del Prof. S.V. avessero inciso sulla formazione della volontà e che il C. avesse posto in essere raggiri per indurlo a sottoscrivere il contratto, sia per le qualità personali del contraente, sia perché la patologia medica da cui era affetto non incideva sulla sua capacità di autodeterminazione, come emergeva dalla circostanza che era stato lo stesso Prof. S.V. ad inserire delle correzioni in suo favore, riducendo il quotalizio dal 10% all’8%.
2. Per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso il Prof. S.V. sulla base di undici motivi.
2.1. Ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale l’Avv. C.F. sulla base di due motivi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: “La cessazione del
rapporto per recesso oggetto di confessione”;
indipendentemente dall’individuazione di legge che si assume violata, il ricorrente contesta che l’attività sia cessata nel gennaio 2013 con la revoca in quanto, in sede di comparsa conclusionale, l’Avv. C., procuratore di sé stesso, avrebbe confessato di aver cessato la sua attività nel maggio 2012, per aver rinunciato all’incarico; sostiene il ricorrente che, nel caso di specie, non si poneva un problema di efficacia della rinuncia fino alla designazione di un nuovo difensore poiché egli era assistito da un collegio difensivo.
2. Con il secondo motivo di ricorso, rubricato “Recesso confessato. Omessa motivazione su un punto decisivo e segnalato dalle parti”, il ricorrente ripropone la questione relativa all’accertamento del recesso sotto il profilo del vizio motivazionale, sostenendo che il Tribunale aveva accertato che l’ultimo atto difensivo risaliva al maggio 2012 ed era precedente alla revoca del mandato, avvenuta nel gennaio 2013; poiché detta statuizione non sarebbe stata impugnata, il giudicato interno avrebbe riguardato la data in cui era terminata l’attività.
3. Con il terzo motivo del ricorso principale, così rubricato: “erronea quantificazione del compenso nella misura del quotalizio sulla somma concessa in primo grado”, il ricorrente deduce che la Corte di merito ha liquidato il compenso in via equitativa, senza che le parti avessero chiesto di giudicare secondo equità, prospettando la violazione degli artt. 112 e 114 c.p.c., nonché per violazione dei canoni di interpretazione del contratto; sostiene che le parti avevano intenzione di ricorrere al patto di quota lite in caso di vittoria, al rimborso della somma di Euro 10.000,00 in caso di sconfitta ed alle tariffe vigenti in caso di scioglimento anomalo del rapporto per rinuncia o revoca.
4. Con l’undicesimo motivo di ricorso, rubricato “successione dei parametri alle tariffe”, si deduce la violazione del D.L. n. 1 del 2012, art. 9, comma 3, convertito nella L. n. 27 del 2012, e del D.M. n. 140 del 2012, art. 41; il ricorrente sostiene che, in presenza di successione di legge in materia di liquidazione per le prestazioni forense, la Corte d’appello doveva fare riferimento ai parametri entrati in vigore medio tempore e non alle tariffe forensi, sulla base del D.M. n. 127 del 2004.
1. Con il primo motivo di ricorso del ricorso incidentale, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 329 e 342 c.p.c., oltre al vizio di omessa pronuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto non sarebbe stato impugnato il capo della sentenza di primo grado, da solo in grado di sorreggere la decisione, in cui era stato affermato che il compenso andava determinato secondo le tariffe professionali vigenti. Si sarebbe quindi formato il giudicato interno sulla questione relativa al regolamento dei compensi secondo la tariffa professionale di cui al D.M. n. 127 del 2004.
6. Con il secondo motivo del ricorso incidentale, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2233 c.c., dell’art. 1362c.c. e ss., e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; si contesta l’interpretazione complessiva del contratto da parte della Corte di merito, che ha individuato un limite al compenso del difensore, in caso di revoca dell’incarico, in alcun modo convenuto tra le parti, coincidente con i compensi che il difensore avrebbe percepito nel caso in cui avesse portato a compimento l’attività difensiva. Alla stregua della chiara interpretazione letterale, il giudice non avrebbe il potere di modificare i criteri stabiliti dalle parti, adeguando la liquidazione all’importanza dell’opera se non violando i canoni di ermeneutica in relazione all’art. 8 del contratto, con cui le parti avevano predeterminato i criteri per la liquidazione del compenso in caso di revoca o recesso. L’interpretazione complessiva delle clausole avrebbe potuto aver luogo solo laddove l’intenzione delle parti non fosse desumibile dal testo contrattuale mentre, nella specie, l’interpretazione del Tribunale avrebbe travalicato il testo contrattuale. La Corte distrettuale avrebbe quindi violato l’art. 1371 c.c., in quanto avrebbe parametrato il compenso, considerando gli interessi delle parti non al momento della stipulazione del contratto ma al momento della decisione della causa, anche in caso di rinuncia e revoca del mandato, il che appariva irragionevole dal momento che a tale data non era ancora emessa la sentenza di primo grado dal Tribunale di Roma, innanzi al quale il ricorrente aveva svolto attività difensiva in favore del Prof. S.V..
6.1. I motivi vanno trattati congiuntamente per la loro connessione.
6.2. E’ fondato il secondo motivo del ricorso incidentale mentre sono infondati tutti gli altri motivi del ricorso principale e del ricorso incidentale.
6.3. Priva di fondamento è l’eccezione di giudicato sollevata dal controricorrente in quanto le statuizioni contenute nella sentenza di primo grado e le questioni di diritto ad esse sottese sono state espressamente impugnate in appello dal Prof. S.V..
6.4. Nel merito, va ribadito il principio, costantemente affermato da questa Corte, secondo cui l’interpretazione di un atto negoziale è tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui all’art. 1362 c.c. e ss..
6.5. Per far valere una violazione in sede di legittimità, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma deve altresì essere precisato in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato con la conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi
sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio
di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass., 28 novembre 2017, n. 28319; Cass., 10 febbraio 2015, n. 2465; Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536).
6.6. D’altra parte, l’interpretazione data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni (Cass. 12 luglio 2007, n. 15604; Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178); ne consegue che, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (Cass. 7500/2007; 24539/2009).
6.7. Nell’interpretazione del contratto, il primo strumento da utilizzare è il senso letterale delle parole e delle espressioni adoperate e, solo se esso risulti ambiguo può farsi ricorso ai canoni strettamente interpretativi contemplati dall’art. 1362, all’art. 1365 c.c., e, in caso di loro insufficienza, a quelli interpretativi integrativi previsti dall’art. 1366 c.c., all’art. 1371 c.c., (Cassazione civile sez. II, 11/11/2021, n. 33451).
6.8. L’interpretazione letterale deve, in ogni caso, tener conto dell’integrale contesto negoziale, ai sensi dell’art. 1362 c.c., che dei i criteri di interpretazione soggettiva di cui agli artt. 1368 e 1363 c.c., rispettivamente volti a consentire l’accertamento del significato dell’accordo in coerenza con la relativa ragione pratica o causa concreta del contratto; ne deriva che l’interprete, dopo aver compiuto l’esegesi del testo, deve ricostruire in base ad essa l’intenzione dei contraenti e verificare se quest’ultima sia coerente con le restanti disposizioni dell’accordo e con la condotta tenuta dai contraenti medesimi (Cassazione civile sez. lav., 14/09/2021, n. 24699; Cassazione civile sez. lav., 25/02/2021, n. 5234).
6.9. Sussiste quindi un discrimine tra la sussunzione fattuale, sulla scorta della quale il giudice del merito interpretato il contratto e le sue clausole, e la violazione o falsa applicazione dei criteri ermeneutici legali, delle quali è chiamata a conoscere questa Corte; discrimine che è dato cogliere laddove la sentenza di merito, piuttosto che interpretare il contratto facendo ricorso ai parametri legali, sulla base delle risultanze istruttorie, ponga a fondamento dell’interpretazione enunciazioni frutto di congetture tali da esprimere una interpretazione non plausibile.
6.10.Nel caso di specie, la Corte distrettuale ha correttamente svolto l’attività interpretativa muovendo dal testo contrattuale (pag.15 della sentenza impugnata), che prevedeva un quotalizio dell’8% in caso di vittoria ed una somma modesta, in relazione all’esito della controversia, di Euro10.000.00 in caso di perdita oltre alle spese vive. Le parti avevano, inoltre, espressamente disciplinato le ipotesi di revoca del mandato o di rinuncia da parte dell’avvocato, prevedendo che il cliente avrebbe retribuito il difensore sulla base dell’attività effettivamente svolta, attribuendo alla causa il valore di Euro 150.000.000,00. Secondo l’accertamento di fatto compiuto dalla Corte, esse avevano fatto espresso richiamo, quanto agli onorari alla “tariffa prevista nella tabella di riferimento (D.M. n. 127 del 2004), considerando gli importi massimi e raddoppiando gli stessi in considerazione della complessità e della delicatezza dell’incarico”.
6.11. Nonostante al momento della revoca, avvenuta in data 8.1.2013 il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni nella L. 24 marzo 2012, n. 27, avesse abrogato le tariffe professionali, la Corte di merito ha correttamente riconosciuto il carattere sussidiario della determinazione giudiziale, operante solo in caso di assenza di accordo tra le parti; tanto risultava sia dal testo normativo (D.M. n. 140 del 2012, art. 1) sia dalla costante giurisprudenza di questa Corte (ex multis Cass. n. 21235/13; Cass. n. 1900/17, Cass. n. 14293-18), secondo cui l’art. 2233 c.c., nel prevedere vari criteri di determinazione del compenso, attribuisce rilevanza in primo luogo alla convenzione che sia intervenuta fra le parti e, solo in mancanza di quest’ultima, in ordine successivo, alle tariffe e agli usi e, infine, alla determinazione del giudice.
6.12. Sempre proseguendo nell’interpretazione della volontà dei contraenti, la Corte di merito ha affermato che “la dettagliata regolamentazione del compenso dovuto all’Avv. C., sia per il caso che l’incarico professionale fosse portato a termine, con soluzioni divergenti in ragioni del possibile diverso esito della lite, sia per l’ipotesi dello scioglimento anticipato del rapporto (con l’indicazione dei criteri di calcolo) evidenzia la volontà dei contraenti di predeterminare con precisione, senza margine di incertezza successiva, il compenso spettante all’esito della prestazione professionale, talché la sua concreta liquidazione non richiedesse che una mera operazione aritmetica”.
6.13. Alla luce di tale articolata previsione del testo contrattuale, concluso tra due avvocati, la Corte distrettuale ha concluso che i criteri predeterminati di calcolo, sia in caso di completamento dell’attività difensiva che in caso di cessazione anticipata dell’incarico, per revoca o recesso, rendeva superflua qualsiasi considerazione in ordine all’importanza, alla difficoltà e al pregio della prestazione professionale.
6.14. In definitiva, nel liquidare il compenso, doveva essere verificata l’attività effettivamente svolta dall’Avv. C. e, sulla base di tali condivisibili premesse, il giudice d’appello ha tenuto conto delle prove documentali e delle testimonianze.
6.15. Ha poi affermato che la difesa del cliente costituisce l’ipotesi più vantaggiosa sia per il cliente che per il professionista, ragione per la quale doveva essere considerato irragionevole, in caso di prestazione parziale, riconoscere all’avvocato un compenso superiore a quello ottenuto se avesse portato a termine l’incarico fino alla decisione della causa.
6.16.Tale interpretazione è in netto contrasto con la chiara previsione del testo contrattuale che, come argomentato dalla stessa Corte di merito, aveva specificamente previsto i criteri di calcolo anche in caso di cessazione anticipata dell’incarico, sganciandoli dall’importanza, difficoltà e pregio della prestazione professionale, ben note alle parti per le loro qualità personali.
6.17. Le parti, come risulta dall’impugnata sentenza e come affermato dallo stesso Prof. S.V., avevano collaborato con altri professionisti nell’impostazione della difesa innanzi al Tribunale di Roma, avevano disciplinato il compenso, facendo riferimento alle tariffe massime del D.M. n. 127 del 2004, raddoppiate per la complessità dell’incarico. Essi avevano ben presente le attività difensive e l’importo liquidabile a titolo di onorari, secondo la tariffa professionale che, se portata a compimento, avrebbe consentito all’Avv. C. di percepire un compenso ancora più alto, considerato l’ingente valore della causa che le stesse parti avevano determinato.
6.18.Contrariamente a quanto previsto dalle parti, la Corte d’appello ha assunto come parametro della liquidazione del compenso l’importo liquidato dal Tribunale di Roma, che aveva liquidato al Prof. S.V. la somma di Euro 4.931.517,00, calcolando il massimo previsto in caso di completamento dell’incarico, pari ad Euro 392.656,94.
6.19. Vi è stata, pertanto, una violazione evidente sia dell’art. 1362 c.c., in quanto è stata interpretata l’intenzione dei contraenti sulla base di un criterio sganciato dal testo contrattuale e parametro all’esito del giudizio di primo grado, al quale le parti non avevano fatto alcun cenno nella scrittura privata.
6.20. La determinazione del valore della causa prevista in contratto, pari ad Euro 150.000.000,00 – che la Corte di merito giudica iperbolica senza motivazione- è stata arbitrariamente sostituita con il valore del decisum del Tribunale di Roma.
6.21. Nonostante la predeterminazione dei criteri di calcolo secondo rigidi parametri aritmetici, svincolati dal pregio dell’attività svolta dal difensore, anche nell’ipotesi di revoca e recesso, la Corte distrettuale ha fatto riferimento all’interpretazione complessiva delle clausole contrattuali, senza però richiamarle nel loro contenuto; anche il criterio della buona fede è stato enucleato sulla base di un’apodittica affermazione del principio dell’irragionevolezza legato alla percezione, da parte del difensore, di un compenso superiore in caso di prestazione parziale rispetto all’adempimento della prestazione totale.
6.22. Nell’affermare tale principio, la Corte di merito è incorsa nell’errore di considerare il quantum della prestazione totale sulla base del compenso stabilito dal giudice della causa in cui l’Avv. C. aveva svolto la sua attività difensiva, che le parti non avevano previsto in contratto se non nella misura del patto di quota lite, senza peraltro dare atto del valore della causa.
6.23. Il giudice d’appello ha arbitrariamente modificato i criteri stabiliti dalle parti, violando i canoni di ermeneutica in relazione all’art. 8 del contratto, con cui le parti avevano predeterminato i criteri per la liquidazione del compenso in caso di revoca o recesso.
6.24. L’interpretazione complessiva delle clausole avrebbe dovuto aver luogo solo laddove l’intenzione delle parti non fosse desumibile dal testo contrattuale con riferimento al momento della stipulazione del contratto sicché l’aver ancorato il quantum della prestazione al decisum è frutto di un’interpretazione peraltro poco plausibile.
6.25. La concreta determinazione del compenso sulla base dell’attività svolta dal difensore, con riferimento alle tariffe professionali di cui al D.M. n. 55 del 2014, ed al valore della causa indicato dalle parti, esclude in radice che le parti abbiano previsto una caparra penitenziale in danno al cliente, in caso di revoca del mandato o di recesso.
6.26. La caparra penitenziale, ai sensi dell’art. 1386 c.c., ha la sola funzione di corrispettivo del diritto di recesso attribuito nel contratto a favore di una ovvero di entrambe le parti stipulanti mentre, nel caso di specie, la determinazione del compenso era ancorata all’attività effettivamente svolta dall’avvocato.
6.27. Vi era pertanto una correlazione fra prestazione e corrispettivo, che non è svincolato dalla ragione concreta perseguita con la conclusione del contratto.
7. Con il quarto motivo del ricorso principale si censura “l’esame delle prove” da parte della Corte distrettuale; in particolare è contestata l’erronea valutazione del teste Avv. M. in relazione alla “collaborazione” fornita dall’Avv. C., senza considerare la deposizione dell’Avv. L., che avrebbe escluso ogni partecipazione ideatico- creativa dell’Avv. C..
7.1. Il motivo è inammissibile.
7.2. La doglianza in ordine all’errata valutazione delle prove, in tema di ricorso per cassazione, è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione.
7.3. La Corte di merito, nell’ambito del prudente apprezzamento delle prove (Cass. Sez. Unite 8053/2014), ha valorizzato la deposizione dell’Avv. M., al fine di verificare se la mancata sottoscrizione degli atti da parte dell’Avv. C. fosse indicativa del suo mancato apporto alla redazione di essi. Il teste aveva dichiarato che l’Avv. C. aveva personalmente trasmesso gli atti, probabilmente per posta elettronica e, dopo aver apportato qualche modifica, li aveva depositati presso la cancelleria del Tribunale di Roma. Inoltre, l’Avv. M. aveva dato atto della presenza dell’Avv. C. presso il suo studio, per la redazione delle memorie, nonché alle udienze celebrate innanzi al Tribunale di Roma fino alla revoca del mandato.
8.Con il quinto motivo di ricorso è dedotta la “carenza e motivazione apparente quanto al compenso” perché determinato senza alcun riferimento alle tariffe o alle ” voci” di tariffa e senza acquisire il parere dell’Ordine, con la conseguenza che la sentenza sarebbe pronunciata in difetto di motivazione o con motivazione apparente.
9.Con il sesto motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 1363 c.c., oltre all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’interpretazione del contratto dell’art. 8, u.c., dell’accordo, con il quale le parti, in caso di contestazione delle somme dovute al difensore in caso di revoca o rinuncia, si rimettevano al parere del Consiglio dell’Ordine.
10. Con l’ottavo e nono motivo di ricorso, il ricorrente si duole dell’omessa acquisizione del parere del Consiglio dell’Ordine Forense, con violazione dell’interpretazione del contratto, che non avrebbe tenuto conto della previsione contenuta nell’ultimo comma.
10.1. I motivi, che vanno esaminati congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.
10.2. La richiesta di parere al Consiglio dell’Ordine non era necessaria in quanto l’Avv. C. aveva chiesto la determinazione del compenso in via giudiziale.
10.3. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di compenso spettante all’avvocato, l’acquisizione del parere dell’ordine professionale è obbligatoria soltanto nel procedimento d’ingiunzione, secondo quanto prescritto dall’art. 636 c.p.c., comma 1, quando l’ammontare del relativo credito non sia determinato in base a tariffe fisse. Al di fuori del predetto ambito, la necessità del parere non è in funzione del procedimento giudiziale adottato, camerale o a cognizione piena, né dipende dal fatto che il credito sia azionato dal professionista stesso o dai suoi eredi, ma è dettata dalla tipologia del corrispettivo, nel senso che è indispensabile soltanto se esso non possa essere determinato in base a tariffe, ovvero queste, pur esistenti, non siano vincolanti. Ne consegue che il predetto parere è necessario solo quando oggetto di liquidazione siano attività non rientranti nelle previsioni della tariffa professionale, per le quali la liquidazione debba avvenire opera del giudice (Cassazione civile sez. II, 05/01/2011, n. 236).
11. Il settimo motivo di ricorso, con cui si deduce la violazione dell’art. 2697 c.c., e degli artt. 2727 e 2729 c.c., è inammissibile per difetto di specificità in quanto non indica le ragioni per le quali la sentenza impugnata ha violato o mal interpretato la legge ed il principio dell’onere della prova o della prova presuntiva ma contesta le risultanze della valutazione delle prove relative alla prestazione professionale svolta dal difensore.
12. Con il decimo motivo di ricorso, rubricato “Omessa considerazione del dolo contrattuale”, il ricorrente deduce la violazione dell’art. 1439 c.c., oltre all’omesso esame di diversi fatti decisivi per il giudizio che, se valutati correttamente avrebbero portato la Corte di merito a ritenere la sussistenza dei raggiri perché il testo contrattuale, che prevedeva condizioni particolarmente onerose per il ricorrente sarebbe stato predisposto dall’Avv. C., il quale avrebbe profittato del tono pschico e umorale del ricorrente, a causa del disturbo bipolare di cui era affetto.
12.1. Il motivo è infondato.
12.2. Il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati siano stati tali che, senza di essi, l’altra parte non avrebbe prestato il proprio consenso per la conclusione del contratto, ossia quando, determinando la volontà del contraente, abbiano ingenerato nel “deceptus” una rappresentazione alterata della realtà. Non è sufficiente una qualunque influenza psicologica sull’altro contraente, ma sono necessari artifici o raggiri, o anche semplici menzogne che abbiano avuto comunque un’efficienza causale sulla determinazione volitiva della controparte e, quindi, sul consenso di quest’ultima (Cassazione civile sez. VI, 04/11/2021, n. 31731).
12.3. La valutazione della idoneità di un certo comportamento a coartare la volontà del deceptus è riservata al giudice del merito, il quale è tenuto a motivare specificamente in ordine alle concrete circostanze, la cui prova è a carico del deceptor, dalle quali desumere che l’altra parte già conosceva o poteva rendersi conto ictu oculi dell’inganno perpetrato nei suoi confronti (Cassazione civile sez. I, 19/01/2015, n. 746).
12.4. La Corte di merito, con apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità, ha escluso che le condizioni personali e di salute del Prof. S.V. avessero inciso sulla formazione della volontà e che il C. avesse posto in essere raggiri per indurlo a sottoscrivere il contratto, in considerazione delle qualità personali del contraente e della patologia medica da cui era affetto, che non incideva sulla sua capacità di autodeterminazione, come emergeva dalla circostanza che era stato lo stesso Prof. S.V. ad inserire delle correzioni in suo favore, riducendo il quotalizio dal 10% all’8%.
13. Va, pertanto accolto il secondo motivo del ricorso incidentale, va rigettato il ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale.
14. La sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione, che regolerà le spese del giudizio di legittimità e si atterrà al seguente principio di diritto:
“Nell’interpretazione del contratto, il primo strumento da utilizzare è il senso letterale delle parole e delle espressioni adoperate e, solo se esso risulti ambiguo può farsi ricorso ai canoni strettamente interpretativi contemplati dall’art. 1362 all’art. 1365 c.c., e, in caso di loro insufficienza, a quelli interpretativi integrativi previsti dall’art. 1366 c.c., all’art. 1371 c.c.“.
“Qualora il giudice abbia fatto ricorso all’interpretazione sistematica del contratto, deve indicare il contenuto delle clausole contrattuali che ritiene prevalenti rispetto al dato letterale”.
“L’intenzione dei contraenti va ricostruita con riferimento alla conclusione del contratto e non sulla base di eventi successivi indipendenti dalla volontà delle parti”.
15. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, rigetta il ricorso principale ed il primo motivo del ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Napoli in diversa composizione.
Ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 27 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2022
Download Pdf
News
Resta aggiornato, iscriviti alla newsletter gratuita.
Riceverai aggiornamenti giurisprudenziali e articoli sulle principali e attuali tematiche e questioni di diritto.
Seguici anche su:
Contatti
telefono : +39 348 0471929
mail: ab.andreabellani@gmail.com
pec: andrea.bellani@legalmail.it
Le Sedi
Sede di Pietrasanta

Desk di Lodi

Desk di Pavia

I Professionisti
Avv. Andrea Bellani
Avv. Chiara Sandoli
Avv. Flavio Crea
Avv. Luca Giorgis
Avv. Edoardo Pedrazzini