L’ISCRIZIONE A SITI DI INCONTRI DA PATRTE DELLA MOGLIE NON E’ DA SE’ SOLA SUFFICIENTE A DETERMINARE L’ADDEBITO DELLA SEPARAZIONE
Cassazione civile sez. VI – 24/05/2022, n. 16822
FATTI DI CAUSA
1. – Il Tribunale di Cosenza ha pronunciato la separazione personale dei coniugi A.G. e B.A., rigettando le richieste di addebito della separazione e dichiarato inammissibile le ulteriori domande proposte dalle parti.
2. – In sede di gravame la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la pronuncia di primo grado. Ha osservato che dalla produzione documentale delle parti non emergeva che la moglie fosse effettivamente iscritta, durante il matrimonio, a siti di incontro e che la stessa aveva tempestivamente contestato tutte le allegazioni del marito. Ha aggiunto che non era stata comunque fornita la prova dell’efficienza causale del comportamento addebitato alla moglie sulla crisi matrimoniale, giacché A., in sede di audizione personale, aveva “indicato la scoperta dell’infedeltà della moglie (nel senso indicato) come avvenuta dopo il deposito del ricorso per separazione”.
3. – Avverso la pronuncia della Corte di Catanzaro, pubblicata il 1^ giugno 2020, ricorre per cassazione, con due motivi, A.G.. B.A. non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Col primo motivo sono denunciate violazione e falsa applicazione degli artt. 113 e 116 c.p.c. e dell’art. 2712 c.c.. La censura investe l’affermazione della Corte di merito circa la prova dell’iscrizione di B.A. a siti di incontro. Viene dedotto che il giudice di appello avrebbe sul punto formulato un giudizio contrastante con i criteri di valutazione della prova adottati dal giudice di prime cure e confliggente pure con l’obbligo di motivazione (avendo mancato la Corte di spiegare per quale ragione l’accertamento del Tribunale fosse scorretto). E’ inoltre osservato che il disconoscimento del valore probatorio della riproduzione informatica, quanto alla sua conformità ai fatti e alle situazioni rappresentate, deve essere motivato e circostanziato.
Col secondo motivo sono lamentate violazione e falsa applicazione di norme di diritto – con l’indicazione, nella rubrica della censura, dell’art. 151 c.c. – e contraddittorietà della motivazione. Assume il ricorrente che la violazione al dovere di fedeltà coniugale comporta una valutazione di responsabilità in presenza di un fondato sospetto. In altri termini, “(Anche il sospetto, rivelatosi poi fondato, determina il venir meno della fiducia che deve essere coessenziale alla stabilità del rapporto”.
2. – Il ricorso è inammissibile.
La sentenza impugnata giunge ad affermare la non addebitabilità della separazione coniugale alla moglie sulla base di due distinte rationes decidendi: l’assenza di prova dell’iscrizione di B.A. a siti di incontro e la mancanza di una correlazione causale tra l’infedeltà della predetta e la crisi matrimoniale (visto che A. aveva dichiarato di essersi avveduto della suddetta iscrizione in epoca successiva al deposito del ricorso per separazione).
La seconda ratio non è stata efficacemente censurata.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la relazione di un coniuge con estranei rende addebitabile la separazione ai sensi dell’art. 151 c.c. quando, in considerazione degli aspetti esteriori con cui è coltivata e dell’ambiente in cui i coniugi vivono, dia luogo a plausibili sospetti di infedeltà e quindi, anche se non si sostanzi in un adulterio, comporti offesa alla dignità e all’onore dell’altro coniuge (tra le tante: Cass. 19 settembre 2017, n. 21657; Cass. 12 aprile 2013, n. 8929; Cass. 11 giugno 2008, n. 15557).
Il ricorrente pare prospettare che tale sospetto si fosse insinuato in lui prima della proposizione della domanda di separazione: ma non risulta, né dal ricorso per cassazione, né dalla sentenza impugnata, che una tale circostanza sia stata allegata e, tantomeno, che essa sia stata accertata dai giudici di merito. Va allora fatta applicazione del principio per cui è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che si fondi su una situazione di fatto diversa da quella prospettata ed accertata nel giudizio di merito (Cass. 11 novembre 2015, n. 23045).
Il mancato accoglimento del secondo motivo determina l’inammissibilità del primo.
E infatti, qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, il mancato accoglimento delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (per tutte: Cass. 18 aprile 2017, n. 9752; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108; Cass. 3 novembre 2011, n. 22753).
2. – Nulla è da statuire in punto di spese.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dallaL. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 6^ Sezione Civile, il 10 marzo 2022.
Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2022
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