GUARD RAIL DIVELTO – L’ANAS NON PUO’ ESSERE CONSIDERATA RESPONSABILE: NESSUN RISARCIMENTO AI PARENTI DELLA VITTIMA
Cass. civ., sez. III, ord., 16 maggio 2022, n. 15608
Rilevato in fatto che:
1. Nel 2010, C.G. , Co.Do. , C.P. , C.A.R. e Co.Pa. , nella qualità di eredi di C.S. , deceduto in un sinistro stradale verificatosi mentre percorreva la S.S. (omissis) alla guida della propria autovettura, convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, Anas S.p.a., chiedendone la condanna a risarcire i danni subiti quali congiunti della vittima, previo accertamento della responsabilità della convenuta ai sensi dell’art. 2051 c.c..
Assumevano gli attori che il loro congiunto aveva perso il controllo del veicolo a causa di un dislivello esistente sul manto stradale ed era deceduto a causa del forte impatto dell’auto con un guard-rail che si era imprevedibilmente divelto per effetto dell’urto, si era infilato nell’abitacolo e lo aveva attraversato infilzando il conducente.
Si costituì in giudizio Anas S.p.a., chiedendo il rigetto della domanda e in via subordinata la graduazione della responsabilità dell’accaduto tenendo conto del grado di colpa della vittima, derivante dalla imprudente condotta di guida.
Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 21470/2013, rigettò la domanda per mancanza di prova in ordine all’efficienza causale della cosa in ordine al sinistro e al conseguente decesso del C. , essendo al contrario emerso che l’incidente era stato determinato in via esclusiva dal comportamento negligente del C. nell’uso della res.
Osservava in particolare il primo giudice che, degli accertamenti espletati in loco dai carabinieri nell’immediatezza del fatto era emerso tra l’altro che il giovane procedeva ad una velocità non consona allo stato dei luoghi, senza avere le cinture di sicurezza allacciate e che aveva perso il controllo dell’auto, verosimilmente per un colpo di sonno, uscendo fuori strada e percorrendo con le ruote laterali destre diverse decine di metri della banchina con erba resa umida dalla brina notturna; dopodiché la vettura munita di pneumatici non omologati ed usurati – aveva iniziato a scarrocciare invadendo la corsia di marcia opposta e urtando il Guard-rail di sinistra, con violenza tale che lo stesso aveva ceduto staccandosi dalle giunture bullonate e si era infilato nella vettura attraversando l’intero abitacolo.
Il Tribunale ha inoltre ritenuto che, benché fosse emerso che vi erano delle carenze strutturali nel guard-rail che potevano aver contribuito al distacco della barriera e, per l’effetto, all’invasione delle lamiere all’interno dell’abitacolo della vettura, non vi fosse prova che le ferite riscontrate in sede autoptica sul cadavere fossero derivate dall’impatto con le suddette barriere penetrate all’interno del mezzo. Dalle conclusioni del verbale di descrizione e ricognizione di cadavere acquisito in sede penale emergeva infatti che la causa della morte era da rinvenirsi nel trauma cranico e nello shock traumatico e non nelle ferite da corpo fendente, le quali oltretutto, con alta probabilità , erano state causate dalle lamiere della autovettura, sganciatesi e accartocciatesi a seguito del forte impatto. In ogni caso, secondo il primo giudice, poteva ritenersi “più probabile che non” che, quand’anche il pard-rail avesse resistito all’urto senza sganciarsi, il conducente sarebbe ugualmente deceduto per trauma cranico a causa del forte colpo sull’ostacolo, attesa la forte velocità e l’assenza di cinture di sicurezza.
2. La pronuncia è stata confermata dalla Corte d’appello di Roma, con la sentenza n. 1565/2019, depositata il 5 marzo 2019.
La Corte d’appello ha rilevato che, contrariamente a quanto lamentato dagli eredi C. , il Tribunale aveva adeguatamente valutato la circostanza dello sganciamento del guardrail, alla luce di quanto emergente dal verbale redatto dai carabinieri e dalla cm espletata in sede penale, escludendo però che detto guard-rail, seppur con i riscontrati difetti, avesse avuto autonoma efficienza causale rispetto all’incidente.
I giudici di secondo grado, nel condividere la motivazione del primo giudice, hanno osservato che anche altre considerazioni, di ordine logico, porterebbero ad escludere che il distacco del guard-rail rivesta il ruolo di causa esclusiva o di concausa dell’evento.
Innanzitutto, il fatto che l’auto fosse andata ad impattare sul guard-rail posto sul margine della carreggiata opposto, dopo aver scarrocciato per diverse decine di metri, porterebbe a ritenere che il C. si fosse trovato nell’impossibilità di governare il proprio veicolo a causa della velocità sostenuta e di una frenata rivelatasi inefficace ad arrestare la corsa anche per le condizioni degli pneumatici dell’auto.
Per dimostrare l’asserita incongruità della motivazione della pronuncia e quindi che non sarebbe stata solo la condotta di guida e le condizioni dell’auto a causare la morte del C. – gli eredi della vittima avrebbero dovuto indicare elementi di prova idonei a dimostrare che la manovra che aveva causato l’urto contro il guard-rail era stata una conseguenza obbligata da una anomalia della strada (come il dislivello del manto stradale, circostanza dedotta in primo grado ma sulla cui irrilevanza nella dinamica del sinistro si era formato il giudicato).
La Corte territoriale ha quindi affermato, sulla scorta del principio affermato da questa Corte con la sentenza n. 8229/2010, che non può ricollegarsi alla mera presenza del guard-rail valore di causa efficiente o di concausa dei danni che l’urto contro di esso può provocare, quando, come nel caso di specie, quell’urto violento si è verificato per cause del tutto indipendenti da condotte addebitabili all’ente proprietario.
Inoltre, la Corte ha condiviso la valutazione del Tribunale secondo cui non vi sarebbe la prova che le ferite riscontrate in sede autoptica sul cadavere siano derivate dall’impatto con il guard-rail penetrato nell’abitacolo, traendo il proprio convincimento dalle foto e dalla descrizione dei danni riportati dell’auto accidentata.
In ogni caso, secondo la Corte, la cintura di sicurezza, ove indossato, avrebbe impedito che il conducente fosse sbalzato nell’abitacolo a seguito degli urti, evitando anche l’azione lesiva del guard-rail, in quanto il lato guida risultava integro.
Alla luce di quanto sopra, la Corte d’appello ha ritenuto che il Tribunale si era correttamente attenuto ai principi normativi in merito al nesso causale in materia di responsabilità ex art. 2051 c.c., risultando accertato che erano stati i comportamenti anomali della vittima ad avere avuto efficacia autonoma ed esclusivamente causativa dell’evento letale.
3. Avverso tale sentenza propongono ricorso per cassazione, sulla base di quattro motivi, i signori C.G. , Co.Do. , C.P. , C.A.R. e Co.Pa. . Hanno depositato memoria.
Resiste con controricorso l’Anas S.p.A..
Considerato in diritto che:
4.1. Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione dell’art. 2051 c.c., e dell’art. 41 c.p., comma 2.
Secondo il ricorrente, l’imprudenza della vittima alla guida dell’auto non avrebbe potuto escludere ipso jure il rapporto di causalità tra il distacco del guard-rail difettoso e la sua penetrazione nell’abitacolo e la morte del C. (p. 49, righe 8-14).
Il nesso causale avrebbe potuto essere interrotto solo se il C. avesse tenuto una condotta eccezionale, per sé sola sufficiente a produrre l’evento e tale da rendere inutile anche la presenza di una barriera protettiva mantenuta a regola d’arte (p. 50, righe 5-10).
La condotta colposa del danneggiato non poteva integrare di per sé il caso fortuito idoneo ad escludere la responsabilità da custodia del proprietario o gestore della strada, occorrendo accertare giudizialmente l’eventuale resistenza che una barriera adeguatamente manutenuta avrebbe potuto opporre all’urto, evitando che la stessa barriera si sganciasse e penetrasse nell’abitacolo (p. 51, righe 14-20).
Restava a carico del custode offrire la prova contraria alla presunzione iuris tantum della sua responsabilità , mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè di un fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e assoluta eccezionalità , carattere che certamente non possedeva la semplice uscita di strada di un’auto e il suo successivo urto con la barriera (p. 52, righe 19-24).
Nella fattispecie in esame, la condotta del danneggiato non poteva aver assunto un ruolo causale esclusivo nella produzione dell’evento dannoso, non potendosi ritenere imprevedibile la perdita di controllo del veicolo. Al contrario, tale evenienza si doveva considerare ben prevedibile alla luce del fatto che l’Anas aveva installato delle barriere contenitiva proprio in quel punto (p. 68, righe 19-25).
I ricorrenti chiedono quindi che la sentenza sia cassata e che il giudice del rinvio – previa verifica sulla idoneità delle barriere, ove a regola d’arte, di impedire le conseguenze verificatesi – accerti se la condotta tenuta dalla vittima fosse davvero eccezionale tanto da integrare il caso fortuito (p. 70, righe 13-19).
4.2. Con il secondo motivo, si censura la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, per aver la sentenza impugnata omesso di ritenere come fatto pacifico l’urto tra il corpo del conducente e il,guarcl-rai penetrato nell’abitacolo, nonostante l’ammissione fatta dall’Anas nella comparsa di costituzione in primo grado, in violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e art. 2697 c.c. (p. 70, righe 20-24).
4.3. Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano la nullità della sentenza per contraddittorietà della motivazione.
In particolare, secondo gli eredi C. , la Corte d’appello si contraddirebbe laddove, dopo aver ritenuto non provato che le ferite sul corpo della vittima fossero da ricondurre all’impatto con il guard-ral riporta, aderendovi, il parere del consulente della procura che invece avrebbe riconosciuto l’azione lesiva del guard-rail sul corpo della vittima.
Inoltre, la sentenza farebbe immotivatamente discendere dal mancato uso della cintura di sicurezza la convinzione che le ferite che avevano causato la morte del Calvella derivassero dall’urto con le lamiere dell’auto anziché da duello con il guard-rail
Infine la sentenza sarebbe contraddittoria anche perché da un lato evidenzia che il lato guida dell’auto si presentava integro dopo l’incidente, dall’altro invece sostiene che il veicolo aveva riportato ingenti danni, peraltro solo genericamente descritti, per inferirne che le ferite non potevano che derivare dall’impatto del corpo con le lamiere dell’auto.
4.4. Con il quarto motivo, i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 3, l’apoditticità della motivazione e la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c..
La Corte d’appello avrebbe dovuto spiegare con serie argomentazioni logico fattuali perché le lesioni letali sul corpo della vittima fossero da ricondurre all’impatto con non meglio specificate parti della carrozzeria dell’auto e non piuttosto nel moncone del guard-rail che era penetrato nell’abitacolo (circostanza peraltro ammessa dalla stessa Anas).
5. 11 primo motivo è infondato.
La Corte d’appello ha rigettato la domanda di risarcimento sostanzialmente sul rilievo che la condotta anomala di guida del C. aveva avuto efficacia autonoma ed esclusivamente causativa dell’evento letale.
Contrariamente a quanto sostengono i ricorrenti, tale decisione è conforme ai principi elaborati da questa Corte in tema di responsabilità per danni cagionati da cose in custodia ex art. 2051 c.c..
Al riguardo è stato affermato che è onere del danneggiato provare il fatto dannoso e il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno e, ove la cosa sia inerte, dimostrare altresì che lo stato dei luoghi presentava un’obiettiva situazione di pericolosità , tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il verificarsi del danno (Cass. 11536/2017; Cass. 21212/2015)
:111orché venga accertato, anche in relazione alla mancata intrinseca pericolosità della cosa oggetto di custodia, che la situazione di possibile pericolo, comunque ingeneratasi, sarebbe stata superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto dello stesso danneggiato, deve escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento, e ritenersi, per contro, integrato il caso fortuito (Cass. 12895/2016).
Le ordinanze del 1 febbraio 2018, nn. 2480, 2481, 2482 e 2483 hanno inoltre statuito che “la condotta del danneggiato che entri in interazione con la cosa si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa –
1227 c.c., comma 1 e deve essere valutata tenendo anche conto del dovere generale di ragionevole cautela riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost.. Pertanto, quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale”.
Nel caso in esame, è stata accertata la condotta colposa del C. , il quale, guidando oltre i limiti di velocità , senza indossare la cintura di sicurezza, una macchina con pneumatici non a norma ed usurati, aveva perso il controllo del mezzo in un tratto di strada rettilineo, e quindi privo di particolare pericolosità , finendo violentemente contro il guard-rail della carreggiata opposto.
In tale contesto, correttamente la Corte d’appello ha concluso che la condotta del danneggiato abbia in concreto assunto un ruolo causale esclusivo nella produzione dello stesso evento dannoso, non potendosi ritenere prevedibile la perdita di controllo da parte del conducente, per cause indipendenti dalla condizione della strada e con caratteristiche tali da farlo collidere con il guard-rail della corsia opposta e dovendosi invece attendere dal conducente di un veicolo con pneumatici in condizioni non ottimali una condotta adeguata allo stato del mezzo.
Peraltro, la Corte ha ulteriormente motivato il rigetto della domanda risarcitoria evidenziando come, a monte, non risultasse nemmeno dimostrato che lo sganciamento del guard-rail e la sua penetrazione nell’abitacolo, a seguito dell’urto procurato dalla condotta colposa della vittima, avessero avuto una qualche efficienza causale nella produzione dell’evento morte, in difetto di prova che le ferite riscontrate in sede autoptica sul cadavere derivassero dall’impatto. Sul punto, la Corte territoriale ha altresì condiviso la motivazione della sentenza di primo grado, richiamata per relationem, secondo cui, dal verbale di descrizione e ricognizione di cadavere acquisito in sede penale emergeva che la causa della morte era da rinvenirsi nel trauma cranico e nello shock traumatico e non nelle ferite da corpo fendente e in ogni caso poteva ritenersi “più probabile che non” che, quand’anche il guard-rail avesse resistito all’urto senza sganciarsi, il conducente sarebbe ugualmente deceduto per trauma cranico a causa del forte colpo sull’ostacolo, attesa la forte velocità e l’assenza di cinture di sicurezza.
5.1 Il secondo, terzo e quarto motivo possono essere esaminati congiuntamente in quanto diretti a censurare l’affermazione della Corte secondo cui non era provato che le ferite rinvenute sul corpo della vittima fossero riconducibili alla penetrazione del moncone di guard.rail nell’abitacolo.
Tali motivi sono inammissibili alla stregua delle seguenti considerazioni.
Secondo l’insegnamento di questa Corte, quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità , si fonda su distinte ed autonome “rationes decidendi ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perché possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile, da un lato, che il soccombente censuri tutte le riferite rationes, dall’altro che tali censure risultino tutte fondate; ne consegue che, rigettato (o dichiarato inammissibile) il motivo che investe una delle riferite argomentazioni, sostegno della sentenza impugnata, sono inammissibili, per difetto di interesse, i restanti motivi, atteso che anche se questi ultimi dovessero risultare fondati, non per questo potrebbe mai giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base della ratio ritenuta corretta (vedi Cass. 24/5/2006 n. 12372, Cass. 21/6/2017 n. 15350).
Nel caso di specie, come si è detto, i giudici di secondo grado hanno fondato il rigetto della domanda, in considerazione dell’insussistenza del nesso di causalità tra la cosa in custodia e il danno:
– sia sul rilievo che la condotta anomala di guida del C. aveva avuto efficacia autonoma ed esclusivamente causativa dell’evento letale, integrando il caso fortuito;
– sia perché, a monte, mancavano le prove in ordine alla concreta efficienza causale del guard-rail nella morte del C. .
La circostanza che debbano essere disattese le doglianze con le quali i ricorrenti hanno confutato la prima delle rationes decidendi rende irrilevante l’esame delle censure mosse alla seconda, atteso che in nessun caso potrebbe derivarne l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile.
Si rileva peraltro che le censure dei ricorrenti non attingono nemmeno tutte le diverse argomentazioni sulla base delle quali la Corte territoriale ha escluso che lo sganciamento del guard-rail fosse causa della morte del C. . In particolare, alcuna contestazione viene mossa rispetto all’affermazione del Tribunale, riportata e condivisa dai giudici dell’appello, secondo cui dal verbale autoptico acquisito in sede penale risultava che la causa della morte era da rinvenirsi nel trauma cranico nello shock traumatico e non nelle ferite da corpo fendente.
6. 1 e spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
7. Infine, poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono i presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, che ha aggiunto l’art. 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002 (e mancando la possibilità di valutazioni discrezionali: tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dell’obbligo di versamento, in capo a parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 5.200 oltre 200 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.
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