LECITO IL RISARCIMENTO DEL DANNO PER AVER SOPPORTATO IMMISSIONI INTOLLERABILI
Cassazione civile sez. VI – 13/04/2022, n. 11930
RITENUTO IN FATTO
– che la società GE.MA.CRI.DUE S.r.l. ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 3998/20, del 24 novembre 2020, della Corte di Appello di Napoli, che – accogliendone solo parzialmente il gravame esperito contro la sentenza n. 8680/16, del 12 luglio 2016, del Tribunale di Napoli – ha confermato l’accoglimento della domanda, proposta da F.V., di risarcimento dei danni biologico e da lesione del diritto alla vita privata e familiare;
– che, in punto di fatto, l’odierna ricorrente riferisce di essere stata convenuta in giudizio da F.V., che lamentava di essere vittima di esalazioni tossiche e di immissioni rumorose intollerabili, prodotte dalla summenzionata società a causa dell’attività di raccolta, stoccaggio e commercio di carte, cartoni, vetro e plastica, svolta sul proprio fondo, limitrofo a quello dell’attrice;
– che nel giudizio di prime cure – nel quale l’attrice chiedeva vietarsi la continuazione dell’attività produttiva, oltre il risarcimento dei danni, patrimoniali e non – intervenivano R.L., F.C., M.R. e F.A., costituendosi, inoltre, dopo il decesso del R., i suoi eredi, nelle persone di F.V. e di R.A., R.G. e R.D.;
– che istruita la causa anche attraverso l’espletamento di CTU, il primo grado di giudizio si concludeva con il riconoscimento dell’intollerabilità delle immissioni di rumore e con l’accoglimento della domanda di risarcimento del danno biologico patito dall’attrice, conseguente all’accertamento di un’otopatia, ed esattamente di un “lieve disturbo distinico con associato disturbo dell’adattamento con notevole componente rivendicativa”;
– che era, inoltre, accolta pure la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alle immissioni, liquidato equitativamente in Euro 30.000,00, con esclusione, invece, dei danni patrimoniali (non essendo stato dimostrato il nesso causale tra di essi e le patologie lamentate dall’attrice), non provvedendo, infine, il giudice sull’inibitoria, attesa la cessazione, in corso di causa, dell’attività svolta dalla convenuta;
– che esperito gravame da quest’ultima, il giudice di appello – nella contumacia delle altre parti diverse da F.V. – lo accoglieva soltanto in relazione al denunciato vizio di “extrapetizione”, quanto alla liquidazione del danno morale, confermando, per il resto, la decisione del primo giudice;
– che avverso la sentenza della Corte partenopea ricorre per cassazione società GE.MA.CRI.DUE, sulla base – come detto – di due motivi;
– che il primo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5), violazione e falsa applicazione dell’art. 1996 c.c., dell’art. 132c.p.c., comma 2, n. 4), dell’art. 118 dip. att. c.p.c., comma 1, e dell’art. 111 Cost., nonché “nullità per difetto di motivazione e/o apparenza di motivazione e/o manifesta e irriducibile contraddittorietà”, per essere la stessa
motivata esclusivamente per relationem ad altri atti del processo” e comunque carente quanto alla “indicazione dei criteri per la quantificazione del danno determinato in via equitativa”
– che si censura la sentenza impugnata in relazione alla quantificazione del danno non patrimoniale che le immissioni hanno cagionato al “diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria casa di abitazione e alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiana”;
– che la decisione è censurata per essersi limitata ad affermare che l’entità del risarcimento “appare congrua sia, in relazione alle modalità della condotta illecita, sia in relazione al lunghissimo arco di tempo in cui si è protratta, da correlare quantomeno alla durata del giudizio di Primo grado”, senza indicare, secondo la ricorrente, i criteri in base ai quali essa ha fissato il “quantum debeatuy”;
– che il secondo motivo denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, – violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 1226 c.c., per avere la sentenza impugnata utilizzato “la prova di un unico fatto”, ovvero il superamento della normale tollerabilità dei rumori, “per sancire la contemporanea sussistenza del danno evento e presumere (in re ipsa) il danno conseguenza”;
– che ha resistito all’impugnazione, con controricorso, F.V., chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata;
– che sono, invece, rimasti solo intimati i soggetti già intervenuti in primo grado (e contumaci in appello);
– che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio per il 19 gennaio 2022;
– che la ricorrente ha depositato memoria, insistendo nelle proprie argomentazioni.
CONSIDERATO IN DIRITTO
– che il ricorso va rigettato;
– che reputa, infatti, questo collegio che le considerazioni formulate, in tal senso, nella proposta del consigliere relatore non siano state superate dai rilievi espressi dalla ricorrente, nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380-bis, comma 2, c.p.c.;
– che il primo motivo di ricorso non è fondato;
– che questa Corte ha ripetutamente affermato che “l’esercizio, in concreto, dei potere discrezionale contento ai giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità qualora la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, indicando il processo logico e -valutativo seguito” (tra le altre, Cass. Sez. 3, sent. 13 ottobre 2017, n. 24070, Rv. 645831-01; in senso analogo Cass. Sez. 1, sent. 15 marzo 2016, n. 5090, Rv. 639029-01), essendosi anche precisato che, “al fine eli evitare che la relativa decisione si presenti come arbitraria e sottratta ad ogni controllo, è necessario che il giudice indichi, almeno sommariamente e nell’ambito dell’ampio potere discrezionale che gli è proprio, i criteri seguiti per determinare l’entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al “quantum”” (Cass. Sez. 3, sent. 31 gennaio 2018, n. 9327 Rv. 617.590-01), ovvero che esso “spieghi le ragioni del processo logico sul quale essa è fondata, indicando i criteri assunti a base del procedimento valutativo adottato” (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 14 luglio 2015, n. 14645, Rv. 63609001);
– che, tuttavia, ciò non esige – con specifico riferimento alla liquidazione equitativa del danno ex artt. 844 e 2059 c.c., (come torna, invece, a sottolineare la ricorrente, nella propria memoria) -l’adozione di criteri predeterminati, quali il ricorso ad una percentuale dell’invalidità temporanea o al valore reddituale dell’immobile, giacché la liquidazione del danno ex art. 2056 c.c., è essenzialmente da parametrare alle circostanze del singolo caso;
– che, piuttosto, va assicurato – in caso di immissioni intollerabili – “un consistente risarcimento” (cfr., in motivazione, Cass. Sez. 6-2, ord. 28 luglio 2021, n. 21649, Rv. 661953-01, nonché già Cass. Sez. 3, sent. 16 ottobre 2015, n. 20927, Rv. 637538-01), e ciò anche in conformità alle indicazioni ricavabili dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo;
– che essa, infatti, ha sanzionato più volte gli stati aderenti alla convenzione, i quali – in presenza di livelli di rumore significantemente superiori a quello massimo consentito dalla legge – non avevano adottato misure idonee a garantire una tutela effettiva del diritto al rispetto della vita privata e familiare (cfr. Corte Edu: sent. 9 novembre 2010 Dees v. Ungheria; sent. 20 magio 2010, Oluie v. Croazia; sent. 16 novembre 2004, Moreno Golne v. Spagna);
– che, d’altra parte, questa Corte ha pure sottolineato che il principio della tendenziale insindacabilità della liquidazione equitativa del danno in sede di giudizio di legittimità conosce eccezione solo quando i criteri adottati “siano manifestamente incongrui rispetto al caso concreto, o radicalmente contraddittori, o macroscopicamente contrari a dati di comune esperienza, ovvero l’esito della loro applicazione risulti particolarmente sproporzionato per eccesso o per difetto” (da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 25 maggio 2017, n. 13153, Rv. 644406-01; nello stesso senso già Cass. Sez. 3, sent. 8 novembre 2007, n. 23304, Rv. 6003/6-01,Cass. Sez. 3, sent. 14 luglio 2004, n. 13066, Rv. 574567-01);
– che, in altri termini, affinché la quantificazione del danno in via equitativa abbia a “non risultare arbitraria” i, sufficiente “l’indicazione di congrue, anche se sommarie, ragioni del processo logico sul quale è fondata” (Cass. Sez. 6-3, ord. 17 novembre 2020, n. 26051, Rv. 659923-01), sicché la corretta applicazione degli artt. 1226 e 2056 c.c., mira, in definitiva, a scongiurare solo la c.d. “equità cerebrina”, ovvero ad assicurare un “modello di valutazione equitativa” a mente del quale “il giudice non può farsi guidare da concezioni personali o da mere intuizioni, col rischio di sconfinare nell’arbitrio”, avendo, invece, “il dovere di ispirarsi a criteri noti e generalmente accolti dall’ordinamento vigente, comportandosi come avrebbe fatto il legislatore se avesse potuto prevedere il caso” (così, in motivazione, Cass. Sez. 6-3, ord. 2 luglio 2021, n. 18795, Rv. 661913-01);
– che, nella specie, tale onere di “sommaria e congrua” indicazione delle ragioni della quantificazione risulta soddisfatto, avendo la Corte partenopea ritenuto la liquidazione già disposta dal primo giudice “congrua sia in relazione alle modalità della condotta illecita” (attestando la sentenza che i rumori si sentivano anche nei giorni festivi, nelle ore serali e con gli infissi chiusi), “sia in relazione al lunghissimo arco di tempo in cui si è protratta, da correlare quantomeno alla durata del giudizio di primo grado” (radicato con citazione notificata il 22 febbraio 2001 e conclusosi il 12 luglio 2016);
che, dunque, in relazione a tali criteri — – indicativi della particolare intensità, oltre che perduranza nel tempo, della turbativa recata al diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, della Convenzione, ex art. 8 – la sentenza impugnata ha soddisfatto l’onere di sommariamente illustrare il processo valutativo seguito nella liquidazione del danno;
– che anche il secondo motivo non è fondato;
– che, nella specie, la sentenza impugnata non ha fatto coincidere in un unico fatto (il superamento del limite della normale tollerabilità delle immissioni) la prova dell’esistenza del danno evento, o meglio dell’avvenuta lesione del diritto, e quella delle sue conseguenze pregiudizievoli;
– che la sentenza impugnata, infatti, ha motivato il superamento della normale tollerabilità delle immissioni rumorose sulla base delle risultanze dell’espletata CTU (la quale accertava che il rumore prodotto dalle lavorazioni “oscillava tra un minimo di 44,4 decibel ed un massimo di 50,9 decibel, mentre il rumore di fondo della zona, caratterizzata d’a particolare tranquillità, e pari a 37,7 decibel);
– che essa, poi, ha autonomamente motivato la ricorrenza del danno conseguenza lamentato dall’attrice, escludendo espressamente
che le) stesso potesse sussistere ipsa”, chiarendo che chi agisce in
giudizio al fine di conseguirne il ristoro deve “provare di aver subito un effettivo pregiudizio in termini di disagi sofferti in dipendenza della difficile vivibilità della casa, potendosi al tal fine avvalere anche di presunzioni”;
– che, infine, queste ultime sono state tratte dalla duplice circostanza, per un verso, che l’appartamento dell’attrice “e’ posto al primo piano e presenta quattro vani (su cinque) che affacciano direttamente sul piazzale della società” convenuta, nonché, per altro verso, che i rumori si sentivano “anche nei giorni festivi”, pure “con gli infissi chiusi” e persino “nelle ore serali”;
– che tale conclusione risulta conforme alle indicazioni ricavabili dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, la “accertata esposizione ad immissioni sonore intollerabili può determinare una lesione del diritto al riposo notturno e alla vivibilità della propria abitazione, la cui prova può essere fornita dal danneggiato anche mediante presunzioni sulla base delle nozioni di comune esperienza” (così, in motivazione, Cass. Sez. 6-2, ord. n. 2-1649 del 2021, cit.; in senso analogo anche Cass. Sez. 3, sent. 19 dicembre 2014, n. 26899, Rv. 633753-01), senza che sia necessario dimostrare – come sostenuto dalla ricorrente nella propria memoria – un effettivo mutamento delle abitudini di vita;
– che, invero, la duplice circostanza valorizzata dalla sentenza -vale a dire, che le immissioni interessassero la quasi totalità dei vani dell’appartamento della F. e che le stesse non dessero requie, in nessun momento, a chi lo abitava – consentono di affermare in via presuntiva, secondo un dato di comune esperienza, la ricorrenza eli quella modificazione peggiorativa del diritto al rispetto della vita privata e familiare nella quale si indentifica,, in tale ambito, il danno conseguenza.;
– che, in conclusione, il ricorso va rigettato;
– che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
– che in ragione del rigetto del ricorso va dato atto – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 – della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, se dovuto secondo accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condannando la società GE.MA.CRI DUE S.r.l. a rifondere, a F.V., le spese del presente giudizio, che liquida in 3.000,00, più Euro 200,00 per esborsi, nonché 15% per spese generali oltre accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maglio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dallaL. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, se dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Depositato in Cancelleria il 13 aprile 2022
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