20.3.2022 – Tribunale di Perugia Civile – Sentenza n. 1475 del 2.11.2021

IL PROPRIETARIO DEI CAVALLI E’ RESPONSABILE PER I DANNI DA QUESTI CAUSATI AD UN CICLISTA DURANTE UN MOMENTO DI FURIA


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Trib. Perugia, sent., 2 novembre 2021, n. 1475

Motivi della decisione

Con atto di citazione ritualmente notificato (…) ha convenuto in giudizio (…) per sentirla condannare al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali causati dall’animale di sua proprietà in occasione del sinistro occorso in data 1.10.2016, alle ore 10.15, sulla strada che collega località (omissis) alla frazione (omissis), nel Comune di Città di (omissis). L’attrice ha in particolare esposto: che nelle indicate modalità di luogo e tempo, mentre si trovava alla guida della bicicletta, era stata travolta da un cavallo in libertà, non custodito, che insieme ad un altro proveniva da un terreno adiacente la strada e la attraversava; di essere caduta in terra e di essere stata colpita ripetutamente dal cavallo, fino a finire nel fosso adiacente la strada; che (…), che era con lei ed aveva assistito all’incidente, aveva chiamato il 118 e la Polizia Municipale.

La (…) ha aggiunto che la (…) era stata identificata come proprietaria degli animali dalla Polizia Municipale intervenuta sul posto anche a sentire i testimoni presenti, ed ha precisato di avere subito per effetto del sinistro danni da invalidità temporanea e permanente nella misura indicata nella perizia medico-legale allegata, oltre a danni materiali alla bicicletta, per una somma complessiva di Euro 80.886,00. Ha dedotto sussistere responsabilità oggettiva della convenuta ai sensi dell’art. 2052 c.c., per avere lasciato incustoditi gli animali e non avere approntato recinzioni adeguate ad evitare che i predetti potessero liberamente circolare attraversando la strada.

(…), ritualmente costituitasi per chiedere il rigetto della domanda attorea, ha preliminarmente eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, contestando di essere proprietaria degli animali, evidenziando come detta circostanza, riferita dall’attrice, fosse del tutto sfornita di prova. Nel merito, ha evidenziato la contraddittorietà della versione dei fatti offerta dall’attrice, che nell’atto introduttivo aveva fatto riferimento a due cavalli mentre in sede di denuncia-querela ne aveva menzionati tre, ed evidenziato come non vi fossero elementi a sostegno del fatto che il sinistro fosse da ricondurre a fatto di un animale, ben potendo la caduta essere avvenuta a causa di una svista, di distrazione o di un ostacolo sulla sede stradale, anche tenuto conto del fatto che né i referti né la perizia contenevano riferimenti a segni da calpestamento o a tracce di zoccoli di cavallo riscontrati sull’attrice. La convenuta ha contestato la quantificazione dei danni operata dall’attrice perché spropositata e non provata ed ha comunque evidenziato che in caso di scontro tra veicolo e animale, la presunzione di responsabilità a carico del proprietario dell’animale concorre con quella del conducente del veicolo ex art. 2054 co. 1 c.c..

La causa è stata istruita a mezzo dell’assunzione di prove orali, in esito alle quali è stata disposta CTU medico-legale. All’udienza dell’8.6.21 è stata trattenuta in decisione con concessione dei termini di rito per il deposito degli scritti difensivi finali.

I fatti di causa vanno ricondotti nell’ambito della disciplina di cui all’art. 2052 c.c., ai sensi del quale “Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito”.

Secondo l’interpretazione giurisprudenziale consolidata, la norma citata configura una ipotesi di responsabilità oggettiva che si fonda non su comportamenti (alla stessa stregua dell’art. 2043 c.c.), ma su una relazione di fondo intercorrente tra animale e proprietario, o, in via alternativa, tra animale e utilizzatore.

Sul punto, è stato affermato che “La responsabilità del proprietario, o di chi si serve di un animale, di cui all’art. 2052 c.c., si fonda non su un comportamento o un’attività – commissiva od omissiva – ma su una relazione intercorrente tra i predetti e l’animale, il cui limite risiede nel caso fortuito, la prova del quale – a carico del convenuto – può anche avere ad oggetto il comportamento del danneggiato, purché avente carattere di imprevedibilità, inevitabilità e assoluta eccezionalità” (vedi, ex plurimis, Cass. n. 10402/16).

Dunque, il limite della suddetta responsabilità, basata su una presunzione legale, risiede nel caso fortuito. A tal proposito, è il caso di ricordare che il caso fortuito è configurabile in presenza di fattore che presenti i caratteri della imprevedibilità, inevitabilità ed eccezionalità ed attiene al solo profilo causale della fattispecie, nel senso che solo il fattore eziologico esterno, imprevedibile inevitabile e assolutamente eccezionale dirime la responsabilità de quo, senza che sia rilevante la condotta del proprietario dell’animale o di chi se ne serve.

La prova liberatoria del caso fortuito – che, in base ai principi della regolarità o adeguatezza causale, esclude il nesso eziologico tra cosa e danno – grava sul proprietario o custode o su chi abbia in uso l’animale. Proprio la relazione tra proprietario e animale, che costituisce fondamento della norma de qua ed il cui onere probatorio ricade invece sul danneggiato, è ciò che la convenuta ha inteso contestare, deducendo che la proprietà in capo a sé dei cavalli sarebbe circostanza asserita dalla (…) ma non provata.

Detta difesa appare priva di pregio, risultando ampiamente comprovato dagli esiti dell’istruttoria che la convenuta all’epoca dei fatti fosse proprietaria o comunque persona che aveva in uso ed in custodia il cavallo che attraversò la strada provocando la caduta dalla bicicletta della (…).

In tal senso, depone univocamente il contenuto del verbale redatto, poco dopo i fatti, dagli agenti della Polizia Municipale intervenuti, nel quale si legge: “(…) Sul posto sopraggiungeva la proprietaria degli animali, tale sig.ra (…) nata il (…) ad Arezzo (…), la quale dichiarava che, presumibilmente, i cavalli fossero usciti dall’apposito recinto a seguito dello spavento dovuto allo sparo di alcuni cacciatori. Dichiarava ulteriormente che gli animali non erano coperti da alcun tipo di assicurazione civile per danni contro terzi. Il Sig. (…) e la Sig.ra (…) si scambiavano i relativi recapiti telefonici al fine di risolvere la questione bonariamente vista l’assunzione di responsabilità di quanto accaduto da parte della (…)”. Si aggiunge, inoltre, che fu effettuato un sopralluogo presso il recinto dove venivano tenuti i cavalli ed in particolare: “la pattugli eseguiva accertamento anche sulla recinzione dove normalmente erano custoditi i due animali e dove erano stati riportati dalla proprietaria a seguito del sinistro. La recinzione si mostrava parzialmente abbattuta nella parte alta dello sterrato che va a delimitare e venivano fotografati anche i cavalli ritenuti responsabili del ferimento della sig.ra (…). Uno dei due animali riportava anche ferite sul lato sinistro coscia posteriore”. Che dunque la (…) si presentò sul posto ove è avvenuto il sinistro qualificandosi come proprietaria, che in occasione del sopralluogo la recinzione si presentava agli agenti che la visionarono “parzialmente abbattuta” e vi era un cavallo ferito sulla coscia, sono tutte circostanze provate, perché attestate come avvenute alla presenza degli agenti accertatori in documento (il verbale) assistito da fede pubblica privilegiata.

Per altro, l’agente di polizia locale P. F., che redasse il menzionato verbale insieme ad un collega, sentito in corso di istruttoria, ne ha confermato integralmente il contenuto, ribadendo che si procedette ad identificazione della (…) ed aggiungendo di essere sopraggiunto quando i cavalli erano stati ricondotti all’interno del recinto dalla (…). E’ inoltre ovvio, ad ulteriore conferma della già evidente riferibilità alla convenuta dell’onere di custodia dei cavalli, che gli agenti vennero condotti nel recinto ove i cavalli venivano tenuti ed ove furono ricondotti dopo l’incidente proprio dalla (…).

I cavalli erano dunque certo di proprietà ed in uso alla convenuta, responsabile in virtù di detta relazione dei danni da essi cagionati, e ciò anche prescindendo da ogni considerazione circa i comportamenti che essa avrebbe dovuto tenere per impedire che gli animali si allontanassero dal recinto fino a raggiungere la strada.

Quanto fin qui palesa come il fatto storico debba dirsi ampiamente comprovato. Né del resto l’istruttoria ha consentito di ipotizzare che il sinistro sia anche solo in parte riconducibile a fattori causali diversi dall’attraversamento del cavallo e dall’impatto con la bici condotta dall’attrice.

Si aggiunga che la convenuta non ha provato (né offerto di provare) l’intervento in chiave interruttiva del nesso di causalità di un fatto integrante caso fortuito, dovendo certo escludersi che possa considerarsi tale il fatto – costituente oggetto di mera ipotesi offerta dalla convenuta nella immediatezza dei fatti – che i cavalli si fossero allontanati dal recinto perché spaventati dagli spari dei cacciatori.

Le considerazioni esposte non sono inficiate dal riferimento a “tre” cavalli, anziché due, contenuto nel verbale di denuncia-querela sporta dal fratello dell’attrice ((…)) in data 29.12.16, che può essere semplicemente frutto di una svista o di una leggerezza nel riferire; del resto emerge ampiamente dagli esiti dell’istruttoria orale e dai documenti acquisiti agli atti del procedimento che i cavalli fossero in realtà due (cfr. verbale di esame del teste (…), udienza del 20.11.18; verbali di sommarie informazioni rese dall’attrice e dal fratello nell’immediatezza dei fatti, allegati alla seconda memoria istruttoria di parte attrice). Venendo alla quantificazione dei danni non patrimoniali e da spese mediche derivati dal sinistro, occorre muovere dalle conclusioni cui è giunto il CTU dott. (…), che con valutazione esaustiva ed ampiamente motivata, ha accertato che:

– la (…) in esito al sinistro ha riportato “trauma contusivo della spalla destra con frattura della clavicola destra, un trauma toracico chiuso con frattura della I e II costa a destra, un trauma contusivo della colonna dorsale con frattura del processo trasverso di D2 e un trauma contusivo della gamba destra con frattura diafisaria del perone”;

– l’invalidità temporanea permanente configurante danno biologico è quantificabile nella misura del 9%;

– che la I.T.T. ha avuto durata di giorni 30.

Applicando i parametri di cui alle vigenti tabelle predisposte dal Tribunale di Milano aggiornate all’anno in corso, spettano all’attrice:

– Euro 15.954,00 per danno biologico permanente;

– Euro 2.970,00 per I.T.T. giorni 30.

La somma che così si ottiene è pari ad Euro 18.924,00.

Non spetta alcuna personalizzazione in aumento, perché non sono stati allegati profili che esulino dall’ordinarietà dei danni connessi alle lesioni accertate. Infatti, il sistema a punto variabile, di per sé, è studiato per risarcire tutto ciò che ordinariamente consegue a una lesione biologica, ivi compreso, tipicamente, il danno morale della tradizione, il danno alla vita di relazione, con ciò intendendosi quella congerie di riflessi che il nocumento organico ha sulle attività quotidiane della persona, da quelle ludiche, a quelle sportive, a quelle sociali e così via. È, certo, un sistema convenzionale, ma che ha l’indiscutibile pregio di uniformare la liquidazione, in modo che a nocumenti di analoga portata corrispondano risarcimenti equivalenti, presupposto indispensabile per il rispetto del principio di eguaglianza.

Di recente, la Suprema Corte ha richiamato l’interprete alla necessità di ancorare la personalizzazione esclusivamente a “conseguenze dannose del tutto anomale ed affatto peculiari. Le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l’id quod plerumque accidit (ovvero quelle che qualunque persona con la medesima invalidità non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento” (cfr. Cass. n. 7513/18).

Trattandosi di debito di valore, sulla suddetta somma complessiva, calcolata all’attualità, deve essere computato il danno per il ritardato pagamento, equitativamente determinato nella media tra gli interessi legali calcolati sulla somma interamente rivalutata e quelli calcolati sul capitale puro (che si determina devalutando alla data del fatto la somma rivalutata) (cfr. Cass. SS.UU. n. 1712/95).

La somma finale che così si ottiene ammonta a complessivi Euro 19.166,02 (di cui Euro 242.02 a titolo di interessi), cui vanno aggiunti gli interessi legali dalla data della sentenza al saldo.

L’attrice non ha documentato spese mediche connesse a necessità di cura, ma ha depositato “previsione di fatturazione” a firma del medico che ha redatto la perizia di parte. Della rimborsabilità di detta somma si dirà in sede di regolamentazione delle spese di lite. L’attrice ha inoltre chiesto il risarcimento dei danni patrimoniali per le spese di riparazione della bicicletta – una “mountain bike da competizione di elevato valore” (così nell’atto di citazione) – e l’abbigliamento rovinatosi in occasione dell’incidente, quantificando dette voci di danno, evidenziate nelle fotografie allegate, in complessivi Euro 4.740,00, come da preventivo in atti (cfr. doc. n. 6, allegato atto introduttivo).

Sul punto è il caso di ricordare che in tema di risarcimento dei danni subiti da un veicolo (cui, nella fattispecie, può essere equiparata la bicicletta), il preventivo di riparazione non seguito da una fattura, in difetto di ulteriori elementi di prova di cui costituisca riscontro, è un documento che non può rivestire alcuna valenza probatoria, in quanto trattasi pur sempre di un atto di parte formatosi senza contraddittorio. Quanto affermato vale a maggior ragione nell’ipotesi in cui non venga fornita la dimostrazione che i prezzi indicati siano conformi a quelli di listino e non venga indicato il costo unitario della manodopera e le ore necessarie per il ripristino del veicolo, venendo meno così la possibilità di ogni verifica sulla congruità (cfr., ex plurimis, Trib. Roma sez. XI, 14/10/2019, n. 19631).

Alla luce di detto principio – ed anche considerando il fatto che l’attrice ha dedotto, rendendo detta circostanza oggetto di uno specifico capitolo di prova per testi, che le attrezzature danneggiate erano “irreparabili”, così di fatto confermando di non aver sostenuto le spese di riparazione di cui al preventivo – la richiesta di risarcimento per i danni alla bicicletta ed all’abbigliamento va rigettata, per difetto di prova rigorosa e circostanziata. La regolamentazione delle spese processuali segue la soccombenza.

Parte convenuta, pertanto, è tenuta a rifondere alla parte attrice le seguenti spese, liquidate in relazione allo scaglione da Euro 5.201,00 a Euro 26.000 (tenuto conto del quantum riconosciuto, ai sensi dell’art. 5 co. 1 D.M. n. 55/2014, rispetto alla proposta di liquidazione depositata dal difensore della parte):

– le spese per il presente giudizio, pari a Euro 875,00 per la fase di studio, Euro 740,00 per la fase introduttiva, Euro 1600,00 per la fase istruttoria ed Euro 1620,00 per la fase decisionale, e così complessivamente pari a Euro 4.835,00 per compensi, oltre spese generali forfettarie nella misura del 15%, cpa e iva come per legge e oltre esborsi per CU e per marca da bollo; –

 le spese sostenute dall’attrice per la consulenza tecnica di parte, che devono essere rimborsate alla parte vittoriosa, salvo che il giudice non le escluda dalla ripetizione ai sensi dell’art. 92, comma 1, c.p.c. in quanto manifestamente inutili o eccessive (Cass. n. 30289/2019), ipotesi che qui non ricorre, e dunque Euro 305,00 per la perizia medico-legale del dott. (…) nella fase stragiudiziale.

Secondo lo stesso criterio, infine, vanno poste definitivamente a carico della parte convenuta soccombente le spese di CTU, liquidate come da decreto del 24.9.20.

P.Q.M.

Il Tribunale di Perugia, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando sulla causa in epigrafe, contrariis reiectis:

1) Accerta la responsabilità ai sensi dell‘art. 2052 c.c. della convenuta (…) per i fatti di causa e, per l’effetto, la condanna a corrispondere all’attrice (…), a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale, la complessiva somma di Euro 19.166,02, all’attualità, oltre interessi legali dalla data della presente sentenza al saldo.

2) Condanna (…) a rimborsare a (…) le spese di lite, che si liquidano in complessivi 4.835,00 per compensi, oltre spese e accessori ed oltre ad Euro 305,00 per consulenza tecnica di parte.

3) Pone definitivamente a carico della parte convenuta le spese di CTU, nella misura di cui al decreto di liquidazione in atti.

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