13.2.2022 – Corte di Cassazione Penale – Sezione III – Sentenza n. 3769 del 13.1.2022 (dep. il 3.2.2022)

CONDANNATO PER PROSTITUZIONE MINORILE L’UOMO CHE HA CONVINTO DELLE MINORI AD ESIBIRSI VIA WEBCAM


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Cassazione penale sez. III – 13/01/2022, n. 3769

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’impugnata sentenza, la Corte di appello di Bologna confermava la decisione emessa dal G.u.p. del Tribunale di Bologna all’esito del giudizio abbreviato e appellata dagli imputati, la quale aveva condannato T.F. e F.A. alla pena ritenuta di giustizia per il delitto di cui all’art. 110, art. 600-ter c.p., comma 1, n. 2, art. 600-ter c.p., comma 2, art. 600-bis c.p. (capo A), e, il solo T., anche per il delitto di cui agli artt. 81 cpv. e 600-ter c.p. (capo B).

2. Avverso l’indicata sentenza, il solo T.F., per il tramite del difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e) in relazione all’art. 530 c.p.p..

Il difensore, in primo luogo. eccepisce la violazione dell’art. 106 c.p.p. in quanto i due imputati, nel giudizio di primo grado, erano difesi dal medesimo difensore di fiducia, considerando che il F. aveva dichiarato la propria estraneità ai fatti, accusando il T., sicché il giudice avrebbe dovuto rilevare l’incompatibilità del difensore. Aggiunge il difensore, che, con riferimento al capo A), la Corte di appello avrebbe dovuto pronunciare sentenza di assoluzione con riferimento al delitto di cui all’art. 600-bis c.p., trattandosi di un delitto di natura esclusivamente informatica e caratterizzato dall’assenza di rapporti consumati sul piano fisico con i clienti; ad avviso del difensore, le fattispecie di cui agli artt. 600-ter e 600-bis c.p. si pongono in rapporto di specialità, ciò che esclude il concorso di norme.

2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) in relazione agli artt. 62-bis133 c.p., avendo la Corte di merito, per un verso, negato l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche con un giudizio di tipo morale, attenuanti invece riconosciute al coimputato, e obliterando il buon comportamento tenuto dal T., il quale è incensurato, ha ammesso gli addebiti e risarcito il danno; per altro verso, omesso di considerare i criteri ex art. 133 c.p. nella commisurazione della pena, stimata eccessiva. 

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato in relazione ad entrambi i profili dedotti.

3. Quanto all’asserita violazione dell’art. 106 c.p.p., per essere stato il T. difeso fiduciariamente, nei giudizio di merito, dal medesimo legale che, pure fiduciariamente, ha assistito il coimputato F., si osserva che, come già ritenuto da questa Corte, l’incompatibilità che a norma dell’art. 106 c.p.p., comma 1, vieta l’affidamento della difesa di più imputati a un unico difensore, è causa di nullità della decisione soltanto se il contrasto di interessi tra coimputati è effettivo, concreto ed attuale, nel senso, cioè, che sussiste un conflitto che rende impossibile la proposizione di tesi difensive tra loro logicamente conciliabili, implica una posizione processuale che rende concretamente inefficiente e improduttiva la comune difesa ed è riscontrabile in relazione a specifici atti del procedimento (Sez. 5, n. 39449 del 17/05/2018, dep. 03/09/2018, De Luca, Rv. 273766); di conseguenza, non è sufficiente a integrare l’incompatibilità del difensore la diversità di posizioni giuridiche o di linee di difesa tra più imputati, ma occorre che la versione difensiva di uno di essi sia assolutamente inconciliabile con la versione fornita dagli altri assistiti, così da determinare un contrasto radicale e insuperabile, tale da rendere impossibile, per il difensore, sostenere tesi logicamente inconciliabili tra loro. (Sez. 2, n. 10757 del 18/01/2017, dep. 06/03/2017, H., Rv. 269310).

Nel caso di specie, non sussistono i presupposti dinanzi indicati, posto che il ricorrente non ha documentato, né emerge dalla sentenza impugnata, che la linea difensiva assunta dal F. – il quale ha semplicemente dichiarato che, pur essendo a conoscenza del progetto del T. di organizzare esibizioni pornografiche on line, non aveva fornito alcun apporto causale alla realizzazione di quel progetto – fosse assolutamente inconciliabile con quella del T..

4. Quanto alla ritenuta insussistenza del concorso tra il delitto di cui all’art. 600-bis c.p. e quello previsto dall’art. 600-ter c.p., si osserva che si tratta di fatti diversi e commessi in tempi pure differenti, l’uno non necessariamente implicante la realizzazione dell’altro, in quanto, come emerge dalla seconda parte del capo B), si contesta specificatamente al T. sia il reclutamento e il favoreggiamento di due minorenni a partecipare a esibizioni pornografiche su un sito on line, visionabili in tempo reale ovvero consultando un apposito “archivio” previo pagamento di una somma di denaro – condotta che integra la fattispecie ex art. 600-bis c.p., comma 1, n. 1 -, sia la successiva l’induzione di dette minori al compimento di atti sessuali a pagamento, ancorché per contatto solo “virtuale” con il cliente, ciò che pacificamente è sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 600-ter c.p., comma 1, n. 2, non essendo richiesto, a tal proposito, il contatto fisico tra la minore e il fruitore della prestazione pur a distanza, purché costui possa interagire, mediante webcam, con la minore medesima, chiedendo il compimento di determinati atti sessuali, come è stato accertato nel caso in esame.

5. Parimenti inammissibile è il secondo motivo con riferimento a entrambe le censure dedotte.

5.1. Si rammenta che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 c.p., sicché non è consentita la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione. Nel caso in esame, la Corte di merito, richiamati i criteri ex art. 133 c.p. e, in particolare, la concreta gravità dei fatti, come ampiamente descritti ed accertati, ha ritenuto la pena proporzionata alla gravità degli stessi e alla personalità dell’imputato, che, nella vicenda in esame, ha svolto un ruolo di primo piano.

Si è in presenza di una motivazione adeguata e non manifestamente illogica, che supera il vaglio di legittimità.

5.2. Quanto, poi, al diniego delle circostanze attenuanti generiche, la Corte di merito ha ribadito la valutazione operata dal primo giudice, ossia l’oggettiva gravità dei fatti, che ha riguardato ben due minorenni, e, in ogni caso, non emergendo elementi valutabili a tale scopo, in ciò facendo corretta applicazione del principio secondo cui la concessione delle attenuanti generiche deve fondarsi sull’accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore dell’imputato; ne consegue che, quando la relativa richiesta non specifica gli elementi e le circostanze che, sottoposte alla valutazione del giudice, possano convincerlo della fondatezza e legittimità dell’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante è soddisfatto con il solo richiamo alla ritenuta assenza dagli atti di elementi positivi su cui fondare il riconoscimento del beneficio (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015 – dep. 09/03/2016, Piliero, Rv. 266460),

Si osserva, infine, per un verso, che il risarcimento del danno è stato considerato nella determinazione del complessivo trattamento sanzionatorio, avendo il Tribunale riconosciuto la circostanza attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 6, e, per altro verso, che l’applicazione delle circostanze attenuante al computato è stato giustificata, in maniera non manifestamente illogica – e quindi non censurabile in questa sede – in ragione di una sua ritenuta minore partecipazione ai fatti.

6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo. 

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma delD.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 3 febbraio 2022 

Si riceve su appuntamento a:

Lodi – Lombardia
Corso Archinti n. 31
Pavia – Lombardia
Corso Cavour n. 17
Pietrasanta (Lucca) – Toscana
Via Strettoia n. 181

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