PUBBLICO IMPIEGO: IL SOGGETTO CHE PERDE IL BANDO PER POSIZIONE DIRIGENZIALE DEVE DARE PROVA DI POSSEDERE TITOLI SUPERIORI AGLI ALTRI CANDIDATI
Cassazione civile sez. lav. – 02/12/2021, n. 38132
FATTI DI CAUSA
1. B.E. ha agito nei riguardi dell’Azienda Ospedaliera Universitaria (OMISSIS) (di seguito, AO) al fine di ottenere, in via principale, il riconoscimento del diritto alla conferma quale Direttore del Dipartimento Assistenziale Integrato Medico e, in via subordinata, il risarcimento del danno per la sua mancata nomina, a suo dire illegittimamente conferita ad altro dirigente medico.
2. La Corte d’Appello di Torino, pronunciando in sede di rinvio in esito alla cassazione della pronuncia di appello che aveva definito in rito, per difetto di specificità , il primo giudizio di gravame, ha confermato il rigetto di tali domande, già originariamente sancito dal Tribunale di Novara.
La Corte territoriale riteneva che correttamente la AO avesse valutato, per la nomina al vertice del nuovo Dipartimento assistenziale medico istituito con l’atto organizzativo aziendale, il curriculum vitae scientifico di altro concorrente ed escludeva che fossero state indebitamente valorizzate, quanto a capacità manageriale, anche le sole partecipazioni ad occasioni formative del candidato poi selezionato, in quanto per la scelta discrezionale assunta era stata decisiva la diversa formazione, ospedaliera a discapito di quella universitaria, cui la P.A. aveva ritenuto di dare prevalenza, non sussistendo peraltro obblighi di motivazione comparativa e comunque avendo del tutto omesso di consifdaerare’ il ricorrente, la posizione degli altri candidati, con raffronto indispensabile per poter affermare che, nel caso concreto, il dirigente avesse ragionevoli ed obiettive chances di essere preferito.
La Corte d’Appello escludeva – infine – che fosse necessario, per la nomina, il parere del Consiglio dei Sanitari, trattandosi di incombente previsto solo per altre tipologie di decisioni, riguardanti le attività tecnico-sanitarie ed il loro profilo organizzativo.
3. B.E. ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, cui l’AO ha opposto difese con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria difensiva, il ricorrente in forma telematica e la controricorrente in forma cartacea.
Il Pubblico Ministero, nelle proprie conclusioni scritte, ha concluso per il rigetto del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione ovvero falsa e comunque erronea applicazione del D.Lgs. n. 517 del 1999, art. 3, comma 4, anche in relazione all’art. 1375 c.c., ed all’art. 97 Cost., comma 2, per avere la Corte di merito erroneamente ritenuto che fosse idonea ad integrare il necessario vaglio delle esperienze professionali, attività scientifico-didattiche e capacità gestionali ed organizzative, la mera valutazione delle pregresse esperienze ed attività formative in campo gestionale, cui si era limitata la nomina del candidato infine selezionato.
Nell’ambito del motivo vengono altresì sviluppate argomentazioni rispetto all’insufficienza della valutazione sulle attitudini scientifico-didattiche, di cui la Corte di merito avrebbe presunto l’avvenuta considerazione da parte della P.A., supplendo alle carenze in proposito dell’AO, per il solo fatto che esse fossero incluse nel curriculum del candidato, sottolineando come la lacuna, riguardando la comparazione integrata delle attitudini gestionali con quelle scientifico-didattiche, si appuntava su un profilo valutativo di carattere essenziale ed imprescindibile, non a caso valorizzato sia dalle previsioni normative sia dalla giurisprudenza costituzionale.
Da altro punto di vista nel motivo si afferma l’inconferenza dell’affermazione della Corte territoriale in ordine alla mancanza di allegazione e di offerta di prova rispetto alla posizione degli altri candidati, in quanto l’illegittimità della nomina e il connesso inadempimento esaurivano i fatti costitutivi della pretesa di disapplicazione del provvedimento selettivo o di risarcimento del danno, sostenendosi altresì che l’esistenza di un fatto impeditivo doveva comunque essere allegata e provata dalla parte convenuta e che l’allegazione di prevalenza rispetto al candidato prescelto implicava – come il meno sta nel più – l’allegazione di prevalenza anche rispetto ai candidati non preferiti e non collocati in alcuna graduatoria di posizione rispetto al ricorrente.
Il secondo motivo di ricorso, sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, denuncia la violazione ed erronea applicazione delle medesime norme di cui al primo motivo, avendo l’AO omesso ogni apprezzamento in ordine ai requisiti professionali scientifici ed attitudinali del ricorrente.
Il terzo motivo lamenta, infine, la violazione (art. 360 c.p.c., n. 3) del D.Lgs. n. 517 del 1999, art. 3, comma 4, primo periodo, in relazione al D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3, comma 12, là dove la Corte d’Appello ha incongruamente ritenuto che il conferimento dell’incarico dirigenziale non dovesse essere preceduto dal parere del Consiglio dei sanitari, invece espressamente ed obbligatoriamente prescritto ex lege.
2. La Corte d’Appello ha preso le mosse dal presupposto, da essa ritenuto incontestato, secondo cui i pregressi incarichi di direzione di Dipartimento, ivi compreso quello del ricorrente, fossero “cessati”, rilevando altresì come il nuovo atto aziendale non prevedesse più di Dipartimento di clinica medica generale, cui era stato preposto B.E., ma un Dipartimento (denominato come Assistenziale Integrato Medico) “diversamente articolato”.
Tale base fattuale non risulta efficacemente censurata, attraverso apposite critiche idonee ad inficiarla, dai motivi di ricorso per cassazione.
Ne deriva che l’originaria domanda di “conferma” dell’odierno ricorrente nella posizione di vertice del Dipartimento Assistenziale Integrato Medico (così ancora il ricorso per cassazione, nella narrativa di pag. 3) è superata dall’assetto circostanziale quale ricostruito dalla Corte territoriale ed appena riepilogato; non a caso, nelle conclusioni assunte in sede di riassunzione dopo il primo rinvio, riportate a pag. 17 del ricorso per cassazione si è insistito in via principale per l’accertamento del diritto del ricorrente alla “nomina” a quella direzione.
3. Ciò chiarito, il diritto alla “nomina” del ricorrente per la predetta posizione non poteva che dipendere dalla sua prevalenza nella selezione imposta al fine di attribuire quel posto, posto che ad ogni modo non potrebbe più essere attribuito ad B.E. perché, nel frattempo, pensionatosi.
Quanto alla domanda con cui il ricorrente rivendica la ricostruzione della propria carriera quale conseguenza dell’accertamento del proprio diritto alla nomina de qua e cioè l’attribuzione ex post delle medesime utilità che sarebbero conseguite a quello che il ricorrente assume avrebbe dovuto essere il comportamento cui il datore di lavoro era tenuto, essa ha natura di domanda di risarcimento in forma specifica, essendo in ambito di inadempimento di obbligazioni e, dunque, di responsabilità contrattuale (Cass. 2 luglio 2010, n. 15726; Cass. 30 luglio 2004, n. 3004).
In subordine, il ricorrente ha avanzato domanda di risarcimento per perdita di chances.
4. La stessa Corte di Appello ha dato atto, con affermazione ancora incontestata, che vi erano più candidati a quel posto, elencandone alcuni muniti di formazione ospedaliera e riferendosi ad altri come quello e/o quelli con carriera universitaria (come era B.E.).
A ciò, nella sentenza impugnata, fa seguito il rilievo per cui il ricorrente aveva “del tutto omesso di considerare la posizione degli altri candidati”, mentre egli avrebbe dovuto “allegare ed offrirsi di provare che rispetto a costoro egli avrebbe avuto ragionevoli ed obiettive chances di essere preferito, ove la nomina del Dott. C. (il candidato prescelto, n.d.r.) fosse da considerare viziata”.
5. In effetti, sul piano della prova è indubbio che, data la natura risarcitoria delle pretese, spettasse al ricorrente dimostrare il nesso causale tra le inosservanze da lui denunciate e il danno lamentato.
D’altra parte, rispetto ad una procedura di cernita tra più candidati, in cui il bene perseguito è ontologicamente limitato, va da sé che il riconoscimento del fatto che, adempiendo regolarmente, si sarebbe ottenuto il posto richiesto, ha quale presupposto che il medesimo posto non spettasse ad altro concorrente, sicché chi agisce è comunque onerato della dimostrazione della propria prevalenza sugli altri candidati potenzialmente destinati a colmare i posti per i quali vi era capienza (v. Cass. 24 giugno 2020, n. 12489), mentre, rispetto alla perdita di chances, sarebbe necessaria almeno la dimostrazione in termini di alta probabilità del conseguimento del posto, secondo le regole proprie della fattispecie (Cass. 9 maggio 2018, n. 11165; Cass. 12 maggio 2017, n. 2017; Cass. 1 marzo 2016, n. 4014).
E’ dunque evidente che, a fronte di una scelta che coinvolgeva più concorrenti, risulta corretta l’affermazione della Corte territoriale in ordine alla necessità di considerare le posizioni degli altri candidati, perché solo dal raffronto con esse, oltre che con il candidato prescelto, può derivare un giudizio sul nesso causale tra asserito inadempimento e danno di cui si chiede, nelle due forme sopra dette, il ristoro.
Rispetto alla mancanza in sé di elementi sugli altri candidati, rilevata dalla Corte territoriale, non risultano repliche nel ricorso per cassazione; dunque, rispetto alla decisione assunta dai giudici di merito, l’impugnazione dell’odierno ricorrente si rivela inidonea. In altre parole, non essendo stato dimostrato alcunché rispetto alla posizione e ai titoli degli altri candidati, non è possibile ipotizzare che l’incarico de quo dovesse essere attribuito – di certo o anche solo in via probabilistica – al ricorrente.
E se manca tale prova, resta impraticabile – anche sotto forma di mera perdita di chances – qualunque risarcimento, con conseguente irrilevanza di ogni ipotetico vizio procedurale della nomina adottata dall’azienda controricorrente.
5. Il ricorso va quindi disatteso e le spese del giudizio di legittimità vengono regolate secondo soccombenza.
6. Va formulato il seguente principio: “Nel pubblico impiego contrattualizzato ed in tema di selezione tra più candidati, l’azione di chi, non potendo più ottenere il posto per fatti impeditivi sopravvenuti (nel caso di specie, collocamento a riposo), chieda l’accertamento del proprio originario diritto ad essere prescelto al fine di ottenere la ricostruzione della carriera e, in subordine, il ristoro per la perdita della probabilità di essere nominato, ha natura, nel primo caso, di azione di risarcimento in forma specifica e, nel secondo, di azione di risarcimento per perdita di chances; in entrambe le evenienze, chi agisce ha l’onere di dimostrare l’esistenza del nesso causale tra l’asserito inadempimento e la perdita dell’effetto rivendicato, in considerazione della posizione degli altri concorrenti per quello stesso posto e ciò, rispettivamente, in termini di certezza per quanto riguarda la domanda di tutela in forma specifica, in termini di alta probabilità propri della fattispecie per quel che concerne il risarcimento per perdita di chances”.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità , che liquida in Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 10 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 2 dicembre 2021