5.12.2021 – Corte di Cassazione Penale – Sezione III – Sentenza n. 44368 del 29.9.2021 (dep. il 1.12.2021)

DISPONIBILITA’ DI UN BENE NEL SEQUESTRO PREVENTIVO

Cassazione penale sez. III – 29/09/2021, n. 44368 

RITENUTO IN FATTO

1. A.L., terza interessata, ricorre per la cassazione dell’ordinanza indicata in epigrafe con la quale il Tribunale della libertà di Santa Maria Capua Vetere ha rigettato l’istanza di dissequestro già respinta con provvedimento del giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale Napoli nord, emesso in data 8 marzo 2021.

2. Il ricorso è affidato a due motivi.

2.1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia il vizio di violazione di legge.

La ricorrente chiarisce, in via preliminare, che l’impugnazione è limitata a rimuovere il vincolo posto sull’immobile sito in (OMISSIS) alla (OMISSIS) e non anche a rimuovere il vincolo originariamente impresso sull’autoveicolo (OMISSIS), poiché, nelle more del deposito del ricorso, il GIP presso il Tribunale ordinario di Napoli Nord aveva disposto il dissequestro della vettura.

Ciò posto, premette la ricorrente che erroneamente il Tribunale ha applicato la disciplina del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 12 bis, ritenendo che l’indagato ( D.N.) – nei cui confronti si procedeva per il reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati fiscali, ragione per la quale era stato disposto il sequestro preventivo che aveva attinto anche beni di proprietà di A.L. – avesse la disponibilità del bene sequestrato, circostanza evincibile dal fatto del mero “uso” della res da parte dell’indagato stesso.

Nel pervenire a tale conclusione il Collegio cautelare avrebbe violato, ad avviso della ricorrente, il principio in forza del quale, in caso di sequestro preventivo per equivalente avente ad oggetto beni formalmente intestati a persona estranea al reato, incombe sul giudice una pregnante valutazione sulla disponibilità effettiva degli stessi; a tal fine, non è sufficiente la dimostrazione della mancanza, in capo al terzo intestatario, delle risorse finanziarie necessarie per acquisire il possesso dei cespiti, essendo invece necessaria la prova, con onere a carico del pubblico ministero, della riferibilità concreta degli stessi all’indagato.

Sotto tale specifico aspetto, la motivazione offerta dal Tribunale sarebbe del tutto assente: quanto alla prova della derivazione dell’immobile, la difesa aveva dimostrato, mediante produzione documentale, che i suoceri della ricorrente avevano acquistato il bene che avevano poi donato implicitamente alla ricorrente stessa, con la conseguenza che la provenienza del denaro impiegato per l’acquisto era del tutto lecita e avulsa dai proventi del N..

Il Tribunale del riesame non avrebbe minimamente preso in esame la documentazione prodotta ritenendola non pertinente.

Totalmente erroneo sarebbe poi l’assunto secondo il quale l’imputato avrebbe la disponibilità esclusiva dell’immobile, che soltanto formalmente sarebbe stato intestato alla moglie.

Sul punto, la motivazione sarebbe del tutto assente sulle ragioni per le quali l’immobile fosse solo formalmente intestato alla ricorrente e non anche nella sua effettiva disponibilità.

2.2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione di legge sul rilievo che il Tribunale avrebbe completamente omesso la motivazione in ordine alle ragioni per le quali ha ritenuto che la disponibilità dell’immobile da parte di D.N. fosse da ritenersi esclusiva e connotata dall’esercizio di poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà.

Assume, a tal proposito, che i giudici cautelari avrebbero dovuto effettuare una pregnante valutazione sulla disponibilità effettiva dei beni in capo al D.N., non potendo essere disposto il sequestro preventivo ai fini di confisca nei confronti del soggetto che non ha ricavato vantaggi ed utilità dal reato e che sia in buona fede, in quanto non poteva conoscere – con l’uso della diligenza richiesta dalla situazione concreta – che il bene fosse utilizzato per fini illeciti. 

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non è fondato.

2. I motivi di gravame possono essere congiuntamente esaminati, essendo tra loro strettamente collegati.

2.1. Il Collegio cautelare ha, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, preso in considerazione tutte le circostanze del caso concreto, motivando espressamente sia sulla disponibilità da parte dell’indagato della cosa in sequestro (il bene immobile destinato ad abitazione familiare) e sia sulla provenienza del bene.

Va a questo proposito ricordato che, nella materia delle impugnazioni cautelari reali, non è sindacabile, in sede di giudizio di legittimità, il vizio di motivazione, perché il ricorso per cassazione è ammesso, in questa materia, esclusivamente per violazione di legge (art. 325 c.p.p., comma 1), con la conseguenza che solamente i vizi radicali della motivazione, quali l’omessa motivazione e la motivazione apparente, sono censurabili, in quanto si considerano ricompresi nel paradigma della violazione di legge, e non anche la motivazione insufficiente o illogica, che esula dal perimetro del sindacato di legittimità.

Le Sezioni unite della Córte hanno, infatti, affermato il principio secondo il quale, in tema di riesame delle misure cautelari reali (ma il principio vale parimenti per l’appello cautelare, stante l’espresso richiamo, da parte dell’art. 325 c.p.p., dell’art. 322 bis stesso codice) nella nozione di “violazione di legge” per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325 c.p.p., comma 1, rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta della motivazione stessa (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Ferazzi, Rv. 226710 – 01).

Ciò posto, il Tribunale cautelare – dopo aver ritenuto che l’indagato avesse la piena disponibilità, anche solo concorrente, dell’immobile oggetto del sequestro ha osservato come fosse incontestato che detto immobile fosse stato destinato a luogo dove i coniugi avevano stabilito la propria casa familiare (e dove la misura cautelare degli arresti domiciliari era in corso di esecuzione nei confronti di D.N.), dato di fatto ritenuto chiaramente indicativo dell’utilizzo effettivo e anche continuativo dell’immobile da parte dell’indagato, come se ne fosse proprietario, a nulla rilevando il dato formale della residenza che sarebbe stata fissata in altro luogo, prevalendo il dato sostanziale inequivocabilmente emerso. Il Giudice cautelare ha poi aggiunto che, in considerazione del fatto che il prezzo d’acquisto dell’immobile era stato pagato interamente dai genitori e dalla sorella del N., ciò consentiva di ritenere l’esistenza genetica di un concorrente interesse dell’indagato rispetto al bene, non spiegandosi altrimenti le ragioni di tale impiego di risorse da parte dei suoi familiari, seguito dalla destinazione del predetto immobile a luogo di residenza di tutta la famiglia nucleare (genitori e prole).

2.2. Nel pervenire a tale conclusione, il Tribunale cautelare ha fatto buon governo dei principi che la giurisprudenza di legittimità ha declinato in ordine al concetto, richiamato dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12 bis, a proposito della confisca per equivalente, di “diponibilità” di beni da parte dell’indagato, per essa dovendosi intendere, al pari della nozione civilistica del possesso, tutte quelle situazioni nelle quali i beni stessi ricadano nella sfera degli interessi economici del reo, ancorché il potere dispositivo su di essi venga esercitato per il tramite’ di terzi (Sez. 3, n. 15210 del 08/03/2012, Costagliola, Rv. 252378 – 01).

La nozione di disponibilità di un bene, da parte di un soggetto che con il bene stesso versi in una specifica relazione, va intesa cioè come una situazione di mero fatto per la quale, pur al di fuori di una giuridica titolarità di diritti sulla cosa, il soggetto realizzi pur sempre un’autonoma utilizzazione della stessa.

Nel caso di specie, poi, il Collegio cautelare ha logicamente dubitato persino della formale intestazione dell’immobile alla ricorrente da parte dei genitori dell’indagato, sostenendo come fosse inspiegabile la ragione dell’impiego da parte della famiglia del N. di ingenti risorse destinate non direttamente al figlio ma alla consorte di quest’ultimo.

E se anche si volesse inquadrare lo schema contrattuale utilizzato nell’ambito della donazione indiretta (nel ricorso si parla infatti di una donazione implicita senza alcuna spiegazione in proposito) – che si identifica con ogni negozio che, pur non avendo la forma della donazione, sia mosso da un fine di liberalità e abbia l’effetto di arricchire gratuitamente il beneficiario – resta inspiegabile, anche facendo uso delle massime di comune esperienza, la ragione per la quale dell’arricchimento patrimoniale abbia beneficiato la moglie del N. e non direttamente quest’ultimo, residuando perciò l’ipotesi della simulazione che, nel processo penale, non sopporta, a fini probatori, i limiti di cui all’art. 1417 c.c., e pertanto la prova di essa può essere fornita con qualsiasi mezzo ed anche mediante un complesso di indizi che rispondano ai requisiti di gravità, precisione e concordanza voluti dall’art. 192 c.p.p., (Sez. 5, n. 3949 del 28/02/1991, Cultrera, Rv. 186893 – 01), tanto più che, nel caso di specie, dal testo del provvedimento impugnato emerge che, nonostante l’abitazione fosse intestata alla donna, la quale solo vi aveva la formale residenza, la disponibilità, anche in capo all’indagato, era stata dimostrata, a fini cautelari, sulla base delle intercettazioni da cui si evinceva che i coniugi vi convivevano regolarmente con i due figli (RIT 267/19 progr. 3351) e perciò, a maggior ragione, sarebbe riscontrabile, nel caso in esame, l’assenza di un animus donandi.

Quanto, infine, al vincolo preventivo imposto sull’intero bene, il Tribunale cautelare si è uniformato al principio di diritto in forza del quale il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente può riguardare nella loro interezza anche i beni in comproprietà con un terzo estraneo al reato, qualora essi siano indivisibili o sussistano inderogabili esigenze per impedirne la dispersione o il deprezzamento (Sez. 3, n. 29898 del 27/03/2013, Giorgiani, Rv. 256438 – 01).

3. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere rigettato, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’art. 616 del codice di procedura penale, di sostenere le spese del procedimento. 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 29 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2021

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